Il Coordinamento pro su Sardu Ufitziale – Csu è comparso sul pianeta Sardegna, la prima volta, nel mese di giugno del 2014.

Con l’intento di mettere a disposizione delle istituzioni e di tutti gli interessati, documenti, materiali, consigli e strategie per la valorizzazione della lingua sarda in qualunque contesto sociale. Per sostenere una vera ed efficace politica linguistica. Poteva essere una meteora, caso frequente, invece no.

Il Csu ha trovato vita nei tanti appuntamenti organizzati e, evento dopo evento (solo nell’estate 2014 dopo Santa Giusta c’è stata Neoneli a fine agosto e Sedilo a fine settembre, per la prima edizione della Festa de sa Limba Ufitziale, senza dimenticare i tanti eventi disseminati in 3 anni tra cui l’affollatissima Bonarcado 2016), ha raggiunto un pubblico sempre più ampio e concretizzato la maturazione e il consolidamento di una posizione nota, nella forma e nella sostanza, in merito alla questione della politica linguistica sul sardo e le altre lingue minori presenti in Sardegna.

Non solo appuntamenti canonici però. Una gran mole di lavoro è stata sviluppata sul web: traduzioni, blog, animazione digitale, diffusione sempre più ampia dell’uso della Lingua Sarda Comune che ormai è diventato il modo più affermato di scrivere in sardo. Non solo standard per gli atti della Regione Sardegna, dunque, ma anche standard per chiunque voglia scrivere, apprendere, favorire un proprio avvicinamento al sardo.

La Lingua Sarda Comune, al di là delle critiche di parte, veste ormai il colore del popolare.
Il titolo dato all’appuntamento del 13 giugno 2014 era: “Sardigna 2014. Polìtica linguìstica: annu zero?”.

Giuseppe Corongiu, portavoce del Csu dalla prim’ora, personalità del movimento linguistico in grado di essere viva e mitica allo stesso tempo, aveva aperto gli interventi affermando che «in questa nuova fase nella quale la politica dice di avere bisogno di tempo per valutare e studiare, il rischio è che qualcuno lavori per distruggere quello che è stato fatto». Per quale motivo? Dopo 9 anni, poche settimane prima, era stato oggetto di dispidida e fatto fuori dal ruolo di Direttore del Servizio Lingua Sarda della Regione, proprio in concomitanza con la presa del potere da parte degli “universitari”.

Quella stessa élite accademica contro di cui aveva formulato un preciso j’accuse di auto-razzismo linguistico e che aveva individuato quale fonte originaria del problema da risolvere: il senso comune antilinguistico che ostacola l’affermazione delle politiche linguistiche. Un modo diretto e coraggioso di comunicare la radice della questione. Per chi ci crede e ha la strutturazione e il coraggio intellettuale di farlo.

Con il Csu, quindi, fin dall’inizio, è entrato in gioco l’elemento importante della vitalità e della forza dei temi sviluppati e proposti. Nel linguaggio del Canto a Tenore una bella voce per essere brava deve saper tenere su puntu, la nota cardine, e favorire così la miglior cantata possibile del terzetto (su tenore) che l’accompagna.

Il Csu è stato questo, il fronte interno al movimento linguistico capace di tenere su puntu, la barra dritta e il principio cardine, e non mutare di tonalità e posizione a seconda dei venti o dei venticelli. Quel che si dice coerenza, nelle azioni come nelle strategie, nei principi fondanti come nello sviluppo operativo dei temi che ne scaturiscono.

Il Csu ha fatto qualcosa che in fondo ai sardi piace, ha dato l’idea di essere performante sia a tavolino che nell’estemporaneo. Ha gettato e combinato aggettivi e fatto girare tutti come trottole intorno alle proprie battute, ai propri slogan e ai propri eventi.

Manifestazioni che hanno oltrepassato tutti gli ambiti della politica linguistica: presentazione delle traduzioni in sardo dei grandi classici della letteratura mondiale, promozione delle più importanti soluzioni tecnologiche incamerate in un contesto di lingua sarda, partecipazione, se discorsiva in sardo, secondo una logica di testimonianza nei fatti e non a parole, a decine e decine di incontri e iniziative del mondo politico, culturale e artistico isolano.

Ma non solo. Dal 2016 è stata avviata una collaborazione con il CNR di Pisa che ha portato il sardo a essere scelto tra le quattro lingue minoritarie europee per il progetto “The Digital Language Diversity Project” (DLDP), coordinato proprio dal CNR, una ricerca sui bisogni digitali delle lingue minori.

Il Csu ha fornito agli studiosi del Centro Nazionale per le Ricerche supporto logistico e un servizio di traduzione del questionario dedicato ai sardi che è stato somministrato, oltre che in italiano, anche in Limba Sarda Comuna. I risultati della ricerca serviranno a decidere come fornire a queste lingue il supporto digitale che necessitano, nella forma di un Digital Language Survival Kit, ovvero un insieme di raccomandazioni per promuoverne l’uso digitale. Epica, nel febbraio 2017, la lettera del Csu al Segretario Generale del Consiglio d’Europa Thorbjrn Jagland. Obiettivo: sollecitare una presa di posizione del Comitato dei Ministri in merito ai ritardi e alla debolezza dell’Italia sulla politica linguistica a protezione delle lingue minoritarie e delle minoranze nazionali.

Diverse le prese di posizione, spesso aspre, nei confronti delle più alte Istituzioni dello Stato, per ricordare che la Repubblica ha impiegato 50 anni ad approvare una legge in materia (la 482 del 1999) che non viene neppure dotata di risorse sufficienti.

E non solo: anche che il Parlamento non ratifica la Carta Europea delle Lingue per non prendere impegni con i partner dell’Unione in merito alle minoranze interne. Indirettamente una frecciata anche alle istituzioni sarde accusate di non fare il loro dovere.

Sprint e verve che non hanno mai fatto mancare le ragioni e le radici dell’atto di nascita: la schiena dritta sullo standard unico e, dunque, sulla Lingua Sarda Comune; il favorire l’ascesa definitiva della lingua sarda all’interno dell’agenda politica isolana. Ma anche dare gamba a quel lavoro di «rivolta dell’oggetto», concetto coniato da Michelangelo Pira e molto caro a tanti, facendolo muovere dalla questione linguistica. E questa è stata un’intuizione di Giuseppe Corongiu, rileggere l’intero percorso sardo dalla fusione perfetta all’era autonomistica tramite is craes della politica linguistica negata (il più delle volte) o concessa (raramente).

Il suo libro cult “Il Sardo una lingua normale” coglie queste sfumature e mette in risalto come leggendo e interpretando l’intera bibliografia isolana di storici, letterati e intellettuali, si possa riflettere sul fatto che la crisi della civiltà sarda non può più essere interpretata senza is craes della politica linguistica, ma deve essere letta soprattutto come una conseguenza dell’eccesso di fiducia in altri modelli culturali e linguistici che ha portato l’aristocrazia (e anche la grande e piccola borghesia) culturale a chiudersi «orgogliosamente» nei confronti di una politica linguistica in sardo.

Arroccata nella tristezza dei suoi pregiudizi culturali e garantita dalla legittimazione degli stereotipi, la Sardegna si è resa sempre più impermeabile al significato della differenza linguistica. Secondo Corongiu la delegittimazione della lingua ha prodotto e sta producendo il deserto dell’identità, sta rovesciando il senso e il valore di quel processo tramite il quale si riconosce come propria un’identità e un’immagine ben precisa.

Senza dimensione linguistica la rappresentazione vacillante e sfuocata di noi si riscopre sovente attraverso lo sguardo altrui. E questa identità che salta fuori è folklore, esotismo, l’espressione di una visione folklorizzata che parassita il bisogno di identità della gente e lo anestetizza, pur se a parole proclama ampollosamente di promuoverlo e di valorizzarlo. Ma non è tutto.

L’aspetto più interessante è che sul banco dei cattivi Corongiu fa sedere l’universo spensierato de is babbumannos del Movimento Linguistico. Personalità che non riescono a sottrarsi dal piacere della carezza del potere e non accettano il gioco democratico dell’alternanza governo-opposizione restando in qualche modo “impigliati” in una retorica della mediazione che squalifica il Movimento Linguistico come movimento assistito e servo del potere.

Per Corongiu il ruolo dell’intellettuale deve essere anche di novità e rottura. Altrimenti che intellettuale è? Ma in fondo, a mio parere, la scelta della polemica non è fine a se stessa e per niente interiorizzata o tarata. Lo strumento della polemica è un artificio comunicativo derivante da quella vocazione e formazione giornalistica sempre presente nel suo stile comunicativo. Fuoriclasse della politica linguistica e intellettuale non allineato e non bisognoso dell’asse mediano.
Su questa scia, il Csu ha compiuto scelte di campo coraggiose basate su una visione strategica di lungo periodo che non può mutare a seconda di chi detiene il governo della Regione.

Oltre 3 anni di continua attività, proclami, annunci, eventi, proteste, celebrazioni, missive, posizionamento sui social, hanno fatto del Coordinamentu pro su Sardu Ufitziale il soggetto del movimento linguistico più noto e accreditato. D’altra parte, in ambito linguistico, non esistone una continuità di eventi partecipati in numero importante come quelli del Csu. Si può stare a discutere e a obiettare quanto si vuole ma i fatti mostrano tutta la loro evidenza. La squadra di lavoro è ormai consolidata ed è fatta di militanti veri del movimento linguistico, stoici e digitali allo stesso tempo.

Oltre Giuseppe Corongiu e lo scrivente ne fanno parte Giagu Ledda, Mario Sanna, Sarvadore Serra, Martino Faedda, Paolo Mugoni, Pietro Solinas, Salvatore Mele, Giuseppe Corronca, Giommaria Fadda, Peppe Pala, Gianni Garbati, Renato Oggiano, Nicola Merche, Gonario Carta. Da non scordare le diverse donne vicine al Csu e protagoniste di un lavoro fondamentale per migliorarne la vita e la forza.

Insomma, tutte persone che senza la presunzione di essere is babbumannos di nessuno promuovono ogni santo giorno il loro interesse e il loro desiderio di una efficace politica linguistica con oggetto quella splendida creatura che è la lingua sarda. Perché è una giovane creatura, o no?