Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella parteciperà all’inaugurazione dell’anno accademico 2017/2018 dell’Università di Cagliari che si svolgerà alle ore 11 in Rettorato, il 2 Ottobre.

Questo avvenimento non è da sottovalutare nel quadro politico che la Sardegna ed i suoi Atenei stanno vivendo in questa fase storica.

Infatti, la deriva decadente che ha colpito ormai in maniera apparentemente irrimediabile i rapporti tra politica, economia, Università e ricerca in Italia, stanno avendo delle ripercussioni che rischiano di essere devastanti per il futuro della Sardegna.

Includendo anche parte del mondo del sapere e della scienza della nostra Regione, un forte movimento culturale e politico ormai diffuso ed incentrato su un nuovo modo di intendere e vivere i rapporti tra Regione Sardegna e Stato Italiano, cerca di creare un’alternativa alle politiche finora messe in atto.

Gran parte di questo dibattito, presente ormai da anni e totalmente ignorato dalla politica regionale, ha visto un grande lavoro di elaborazione da parte di studenti, docenti, operatori della conoscenza e del sapere sardi.

Negli ultimi anni, numerose sono state le occasioni di tensione tra Sardegna e stato italiano sui temi strettamente universitari come finanziamento, reclutamento, ricerca.

Queste politiche ministeriali universitarie, assieme a quelle su diritto allo studio e accesso al mondo del lavoro volute, coordinate e messe in pratica dagli ultimi Governi, hanno avuto un grosso impatto sulla vita degli Atenei e di conseguenza su quella degli studenti e dei giovani sardi.

È da ormai 10 anni che i nostri due Atenei subiscono attacchi indiscriminati, tagli ai servizi e contrazioni di personale, paventati con la retorica del merito e dell’eccellenza, ma che in realtà si sono dimostrati essere marchingegni legislativi ad hoc per drenare risorse e personale dalle Università sarde e del Sud a vantaggio di quelle del Centro-Nord.

Il disegno è ben preciso: creare una struttura verticistica di offerta didattica e produzione scientifica in cui al Sud e alle Isole (soprattutto la Sardegna) è assegnato un ruolo di formazione base e di bassa/media qualità, e ai pochi centri di eccellenza (ritenuti tali tramite parametri studiati appositamente) il ruolo di nuclei di ricerca e interazione con il mondo delle grandi imprese ed industrie del Centro-Nord, più vicine ai mercati e agli scambi di dimensione europea.

Basti pensare alle modalità di ripartizione dei punti organico, unità di misura del potere assunzionale degli Atenei, che hanno fatto sì che per anni non si siano potuti assumere docenti e ricercatori in maniera adeguata per un servizio di didattica e ricerca all’altezza dei tempi che viviamo. Punti che, guarda caso, è stato dimostrato essere assegnati agli Atenei del Nord.

Paradigmatico è il modello di ripartizione delle esigue risorse che lo Stato italiano riserva agli Atenei, che punta a creare una competizione interna in cui a spuntarla non è il più bravo, ma il più avvantaggiato dal territorio e dalla vicinanza ai centri di potere economico e politico. Un modello che, incurante della posizione da retrocessione dell’Italia nelle classifiche europee su finanziamenti destinati a Università e studenti, punta a far competere per sopravvivere pochi e perire molti: chi parte da una condizione territoriale e storica di svantaggio.

Tutto questo, con il solo obiettivo di tagliare, chiudere, accentrare.

Un modello, questo, che ha anche un linguaggio ormai consolidato: Atenei di serie A e serie B, studenti fuoricorso e studenti eccellenti, teaching University e research University, e come pronunciato recentemente da un esponente di spicco di questo Governo che ci ha abituato ormai a gaffes di ogni tipo, famiglie a basso reddito in qualche modo ritenute responsabili delle cattive posizioni nelle classifiche europee sull’Università.

Non è da dimenticare inoltre come la divulgazione scientifica e la diffusione culturale nella nostra Regione sia ormai ai minimi termini.

Dimostrazione ne è il fatto che, al di là degli addetti ai lavori, complice una stampa non brillante ed attenta, non si faccia altro che riprendere di riflesso il dibattito politico italiano su questi temi, trascurando le specificità e ciò che accade nel mondo culturale e scientifico sardi, e le ormai stridenti, agli occhi dell’opinione pubblica, interazioni tra Atenei sardi ed esercito italiano. Appare inoltre drammatico lo scarsissimo collegamento e scambio tra Atenei ed imprese, settori produttivi, scuole e centri di produzione culturale: come se le Università venissero viste come oggetti estranei e inarrivabili. A piangerne sono, come sempre, i giovani ed i territori lontani dai poli sassarese e cagliaritano.

Il diritto allo studio inoltre, nonostante le trionfanti dichiarazioni di esponenti della Giunta del centrosinistra italiano in Sardegna, versa in condizioni disastrose.

Case dello studente pericolanti, se non chiuse e fatiscenti, contributi destinati a studenti e famiglie sempre più faticosamente reperiti nelle pieghe del bilancio regionale e senza una visione strategica e politica coordinata e chiara. Un dato, su questo fronte è allarmante: la perdita del numero di iscritti (seppur con qualche timida ripresa ultimamente) nelle università sarde dal 2008 ad oggi: solo a Cagliari, quasi 15.000 unità. E ancora, il malumore di dottorandi, ricercatori e giovani talenti che si vedono costretti sempre più ad emigrare o a sottodimensionare il loro curriculum per accedere ad un mercato del lavoro incapace di assorbire le loro competenze specialistiche, che tuttavia sono altamente richieste nel mondo produttivo e tecnologico del 2017.

Una scarsa attenzione alle tematiche dell’Universitá e della ricerca da parte politici sardi a Roma ha complicato questo quadro, sfiduciando studenti e docenti, che più volte in questi anni hanno provato a lanciare il grido di allarme su ciò che stava e sta accadendo nel mondo accademico sardo.
La denuncia e la resistenza contro queste politiche finora è stata esercitata in modo infaticabile esclusivamente da associazioni studentesche (UniCa2.0 in primis), alcuni docenti e dal Rettore dell’Universitá di Cagliari. Sono stati in questi anni gli unici ad ergersi contro il soffocamento delle Università e della ricerca in Sardegna, vigili e propositivi su quello che accade, ma spesso isolati strumentalmente dalla politica sarda, evidentemente impegnata in campagna elettorale da mesi.

In un quadro in cui nessuno a Roma si è interessato di come stessero le Università in Sardegna, in un contesto politico in cui si pensa che la Sardegna sia una tra le tante periferie, bisognerà far presente al Presidente della Repubblica una realtà, lampante ed evidente.

La Sardegna è diversa dalle altre Regioni italiane.
E come tale, anche su Università, ricerca e diritto allo studio, dovrà essere trattata in futuro.
Un territorio senza Università è come un deserto. E questa isola non deve diventarlo.