Il 3 agosto – quindici giorni fa – passeggiavo con tutti i miei familiari più stretti per le ramblas di Barcellona.

Accalcati, uno sull’altro, preda di un caldo quasi soffocante. Piazza de Catalunya, il mercato della Boqueria, una strana sensazione di soffocamento.

“Non siamo gente da posti così affollati”, scherzavamo, mentre cercavamo di sottrarci alla calca, alla ricerca di un bar e di una “clarita”.

Di fronte a noi una muraglia umana: turisti e figuranti, giocolieri e camerieri, uomini di fatica e qualche “eroe” (data la temperatura) in giacca e cravatta.

Il solito miscuglio di razze, colori, idiomi e sorrisi, in zona ramblas-Porto. Un miscuglio che mi pareva gioioso, a Barcellona, che mi era sempre parso ben riuscito.

Mai più potevamo essere sfiorati dall’idea di un attentato. Mai abbiamo guardato con sospetto ai pochi mezzi che pure si facevano spazio con fatica in mezzo a quel fiume di gente.

E invece è accaduto anche là. Come a Nizza, come in Germania.

Più recentemente ho letto il romanzo “Chourmo”, di Jean-Claude Izzo, scritto a metà degli anni ’90 e ambientato nella Marsiglia di quei giorni. Attraverso quella difficile storia ho appreso che già oltre vent’anni fa è iniziata la radicalizzazione delle seconde e terze generazioni di immigrati dai Paesi arabi, fino ad allora – in maniera apparente – perfettamente integrati. Ho appreso che sotto la cenere covava la violenza e un malato desiderio di rivalsa per via della ghettizzazione, delle disparità, del non dialogo.

E ho capito che quel che è accaduto in questi anni non è episodico, né improvviso, ma affonda le sue radici in cinquant’anni di storia europea.

Sotto i miei occhi, mentre scrivo questi pensieri sparsi, scorre la home di Facebook.

C’è già chi parla di vendette e guerre di religione.

Ma io non ho ancora capito qual è la soluzione che propugna chi ci parla di guerra di religione.

Cosa propongono? Passiamo per le armi tutti i musulmani?

Creiamo campi di concentramento in cui radunare tutti gli africani e i mediorientali che si sono da decenni trasferiti in Europa?

Radiamo al suolo con la bomba H una cinquantina di Paesi mediorientali, asiatici e africani?

Ci vendichiamo perseguitando i poveracci che arrivano coi barconi, nonostante nessuno degli attentati sia stato commesso da uno di loro?

Oppure iniziamo a interrogarci davvero sull’origine di questa violenza?

E se odiamo così tanto gli islamici, perché noi sardi facciamo la fila a migliaia per essere raccomandati e assunti dal Mater Olbia di proprietà degli arabi del Qatar

Piango con tutti voi per tutti i morti e per la perdita della nostra sicurezza. Ma cerco di non diventare cieco a causa di quelle lacrime.