I formaggi DOP – Pecorino Sardo, Pecorino Romano e Fiore Sardo e l’agnello sardo IGP, rappresentano la grande opportunità mai pienamente sfruttata per la vera valorizzazione delle produzioni sarde.

Le DOP sarde però non hanno avuto lo stesso successo e non riescono ad avere la stessa immagine di mercato di quelle del continente italiano, come ad esempio il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano.

La loro qualità è eccezionale, ma probabilmente non si è ancora riusciti a raggiungere una impostazione di marketing, strutturata in modo tale da creare una richiesta di mercato che ne sostengasufficientemente i prezzi.

C’è da dire che le cooperative, cioè coloro che avrebbero il massimo interesse alla diffusione e il sostegno alle DOP, essendo espressione dei produttori,generalmente non le vedono di buon occhio anzi, giudicano il disciplinare come un impaccio che finisce per ostacolare le loropolitiche di commercializzazione le quali però spesso, sono approssimative o inesistenti.

L’eccezione è Pecorino Romano, probabilmente dovuta al fatto che il Romano segue un tipo di commercializzazione a grandi stock, mediante i mediatori commerciali e prende la strada dei mercati internazionali. Detta così potrebbe sembrare una cosa molto positiva, se non fosse che il Romano è utilizzato prevalentemente come formaggio da grattugia da miscelare con altri formaggi meno robusti come gusto, e di conseguenza tale destinazione non ne facilita la differenziazione e valorizzazione di prezzo.

Anche il Fiore Sardo in verità riesce a spuntare prezzi alti, qui il motivo potrebbe essere il basso quantitativo prodotto e la concentrazione delle produzioni nelle zone vocate di della Barbagia. Un altro motivo è sicuramente quello della fortuna di avere un nome che è già un marchio, come vedremo più avanti.

Il disciplinare del Fiore Sardo prevede anche la lavorazione antica che si faceva negli ovili e l’affumicatura naturale. Ciò determina caratteristiche di prodotto molto peculiari e questa è una nota di differenziazione importante.

È previsto anche che la produzione possa avvenire su tutto il territorio della Sardegna, ciò potrebbe essere un’arma a doppio taglio, perché se da una parte da l’opportunità di produrre dappertutto un prodotto di nicchia di successo, dall’altra potrebbe tendere in futuro a inflazionare la produzione causando anche per esso turbolenze di mercato.

Per queste tre produzioni DOP, non sembra che si sia ancora riusciti a decidere per una politica promozionale e di marketing che ne possa finalmente sancire il successo definitivo sui mercati. Oggi un prodotto deve essere raccontato in maniera adeguata, deve raggiungere il consumatore e coinvolgerlo, creare in esso la necessità, il desiderio di averlo sulla propria tavola.

È necessario raccontarne le doti e fare in modo che sia percepito come un prodotto eccellente, naturale e sano. Cose che le grandi agenzie pubblicitarie sanno bene e applicano quotidianamente a prodotti che queste caratteristiche a volte nemmeno le hanno, ma riescono nonostante ciò a dargli un’immagine che riesce ad affermarne il successo sui mercati.

Negli ultimi anni sta cominciando a crescere l’agnello IGP. Anche qui si sono viste con diffidenza e con fastidio le imposizioni del disciplinare di produzione, sentite come un’imposizione calata dall’alto. Invece la classificazione delle caratteristiche del prodotto è il suo punto di forza ed evita la concorrenza delle produzioni che quelle caratteristiche non riescono ad averle. E qui sembrerebbe che le associazioni di categoria abbiano faticato a riuscire a comunicare adeguatamente ai propri associati i benefici che derivano dalla corretta valorizzazione del prodotto a Indicazione Geografica Protetta.

Oggi tutti i mercati agroalimentari sono finiti in mano alla Grande Distribuzione Organizzata. In Sardegna in modo particolare, la sua dominanza è schiacciante, vendere senza tener conto di ciò è impossibile. La valorizzazione delle produzioni mediante i marchi di tutela diviene ogni giorno di più uno strumento indispensabile per difendere le nostre produzioni dalle minacce della concorrenza.

La Sardegna vanta anche formaggi innovativi e dalle caratteristiche concorrenziali anche con formaggi tipo il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, si pensi al Granglona ad esempio. Nonostante ciò, la loro diffusione, riconoscibilità, presenza capillare sui punti vendita è molto inferiore.

Per questi formaggi manca totalmente un’azione costante ed incisiva di promozione di immagine, senza la quale continueremo a vedere sulle tavole dei ristoranti, la formaggera del Reggiano o Grana come prima proposta e continueremo a sperare che ci venga proposto un buon formaggio da grattugia sardo.

Lo stesso discorso vale per le produzioni DOP Sarde, le quali non sono adeguatamente valorizzate. Le cooperative in special modo dovrebbero avere grande interesse a sfruttare le produzioni tutelate, anzi dovrebbero concentrare molte forze su un’adeguata valorizzazione e partecipare attivamente al funzionamento dei consorzi di tutela.

Purtroppo oggi le DOP in Sardegna sono viste da molte cooperative più come un intralcio che come un’opportunità. Si fa fatica a rispettare i disciplinari, si vorrebbe eludere le regole e contemporaneamente trarre beneficio dai loro effetti. Non si riesce a porre in connessione il valore della tutela con il ritorno economico. Emblematica la polemica sul latte rumeno.

Una produzione DOP deve essere obbligatoriamente prodotta con materia prima delle zone individuate dal disciplinare. Questo basta da solo a garantire che quel prodotto, basterebbe informare i consumatori che quel prodotto non può contenere latte importato. Il marchio DOP è la sua garanzia, basta solo il controllo da parte delle autorità.

Probabilmente non si è ancora riusciti ad addentrarsi nei meccanismi delle strategie di marketing. Se i disciplinari servono a fare un prodotto unico, questa unicità, questa qualità superiore, deve essere comunicata e resa riconoscibile con grande evidenza.

A questo proposito è esemplare il caso del Pecorino Sardo DOP. I formaggi che non rispettano il disciplinare non possono essere chiamati col nome Pecorino Sardo ed infatti tantissimi pecorini equivalenti hanno dei nomi-marchio, ma non si chiamano Pecorino Sardo e non sono obbligati a rispettare il disciplinare. Questi sì, potrebbero tranquillamente utilizzare latte non sardo a differenza del DOP. Ma hanno comunque gran successo sul mercato.

Come è potuto succedere che un marchio di un produttore privato possa superare in valore quello di un consorzio di tutela? Semplice, il Pecorino Sardo non beneficia di una massicciapromozione strategica. D’altronde la DOP Pecorino Sardo è nata male dal punto di vista del marketing a partire dal nome che più che un nome è una descrizione generica, quasi anonima. Invece ci sarebbe bisogno di un marchio riconoscibile e immediato, un brand, come viene chiamato oggi.

Invece a differenza, il Fiore Sardo, un formaggio “impegnativo”, dal gusto molto forte, per amatori, riesce a ritagliarsi un buon successo attualmente confermato dalla crescita sostenuta sul mercato extra sardo. Il Fiore Sardo ha però un nome più accattivante, molto riconoscibile e memorizzabile.

Ha un nome-marchio. Questo l’ha aiutato a differenziarsi e il nome ha funzionato. Questo esempio ci fa capire quanto potrebbe essere importante come anche solamente un dettaglio come la scelta del nome potrebbe dare un grande impulso di immagine ad un prodotto. Ma per fare scelte vincenti bisogna ricorrere a dei veri professionisti. Nel mercato di oggi non c’è posto per l’approssimazione.