Le fiamme che ieri a tarda sera sono state appiccate nel territorio di Torpè, hanno ancora una volta messo in allarme una comunità indifesa, rispetto alla furia devastatrice delle fiamme che, alte si sono levate sostenute da un maestrale federato.

Torpè, in ginocchio forse ma si risolleverà immagino così com’è accaduto dopo l’alluvione.

Acqua e fuoco un tempo alleati dell’uomo e che oggi invece sono diventati il nemico dal quale difendersi. Acqua e fuoco, una simbiotica ed inesorabile equazione benefica in grado di salvare, proteggere e preservare la vita umana ed insieme infausta, quando incontrastata si abbatte su di essa con furia di uragani o di infernali fiamme.

Così Torpè adesso, ma prima ancora Budoni e le sue frazioni, San Teodoro, Alà dei Sardi, il Montalbo nel versante della Baronia, Buddusò, l’Ogliastra e altri centri ancora bruciano sotto le fiamme audaci che nulla temono, in un gigantesco inferno moderno. Nemico innescato dalla stupida, malvagia arroganza dell’uomo, incapace di custodire l’immenso patrimonio ambientale ereditato. 300 ettari solo a Torpè dicono gli esperti, andati in fumo, divorati dalle fiamme inemendabili che dietro di se lasciano i cadaveri anneriti di interi boschi di querce, sughere e ginepri secolari, Cuore e polmone di una terra antica, vanto del Mediterraneo che ha impiegato secoli per prosperare e che scellerati pendagli da forca senza onore rinnegano.

Brucia la Sardegna intera, espiazione di una colpa ancestrale forse, o maledizione biblica a seconda delle interpretazioni. Acqua che straripa e sommerge, neve e tormenta, arsura nelle antiche vene dove un tempo scorrevano sacre acque di fonte, pianure sterili, ingrigite dai fumi acri di antiche violenze, fiamme demoniache appiccate all’imbrunire, con la certezza che il dolo compia la sua miserabile opera dinanzi all’impotenza dei buoni, degli eroi come coloro che instancambilmente si adoperano per sterminare il nuovo germe del male.

Questo il quadro drammatico di questi ultimi giorni di Luglio,” triulas” nel calendario degli antichi pastori, mese di tormenti “ triulaiolu” maltrattare, ghermire, insultare il significato più prossimo nella lingua Italiana. Nulla si porta a compimento nelle annate agricole in questo mese, nulla si dispone nella vita sociale delle comunità: non ci si sposa, non si cambia casa, ne si acquistano nuovi capi di bestiame e i campi, dove a giugno (Lampatas il mese dei fuochi) si bruciano le sterpaglie e si raccoglie il fieno dopo la trebbiatura del grano, tutto si ferma, immobile per rispetto di una terra in grado di saziare i bisogni della sua gente.

Solo i miserabili si muovono, silenti ed invisibili come serpenti velenosi, spostandosi sotto l’alito del vento per non essere rintracciati, avvistati, individuati e li attaccano, fieri della loro infamia e della loro mediocrità e mentre intorno tutto muore, si sentono per una volta degli invincibili.

Hanno ataccato la nostra terra già esangue alla giugulare, hanno accelerato la sua agonia e ascoltato il suo ultimo respiro prima della morte e verso questi esseri non può esserci pietà, non comprensione o vie che portino attenuanti sociologiche. Il rogo di Torpè, non sminuisce tutti gli altri roghi dell’isola, ma certo rappresenta un danno ingente,sorprendentemente arrivato in un momento fatidico per l’intero territorio circostante e per i comuni limitrofi.

L’area toccata dalle fiamme è parte integrante del Parco Tepilora Rio Posada e a giugno, giusto qualche mese fa è stato insignito del marchio MaB Unesco quale riconoscimento mondiale per l’interrelazione fra uomo e ambiente: Men and Biosphere. Il primo in Sardegna, il 15° in Italia su 621 nel mondo distribuiti in 117 paesi nei cinque continenti.

Al MaB Montalbo-Tepilora-Rio Posada prendono parte 17 comuni vfirtuosi con una popolazione di 50mila abitanti, caratterizzati “dal rapporto armonico con il territorio, lo sviluppo della cultura, la preservazione delle tradizioni locali, quale conservazione attiva del paesaggio e delle biodiversità ed ecosistemi..” recita questo il testo del riconoscimento mondiale. Cosa resta di questo magnifico angolo di natura, cosa si può e si deve fare per salvare ciò che rimane ancora, come ci si potrà difendere da questi ‘elementi che snaturano l’animo umano restituendolo alla follia.
Questi esseri miserevoli, meritano lo sdegno forte ed impetuoso di un’intera regione, prima che sia troppo tardi, non meritano il respiro di questa terra martoriata, non il cibo che verrebbe loro dato in carcere.

Troppe morti in Sardegna per il fuoco, troppe vite finite nel tentativo di salvare il salvabile, troppo dolore ed ancora troppe lacrime mai asciugate per questo terribile male. Allora lo sdegno deve per forza essere corale, non vi dev’essere in questa terra un angolo dove questi assassini possano trovare riparo, una casa che possa riaccoglierli; prima che sia troppo tardi, prima che ci seppelliscano sotto la lastra spessa dell’ ignavia sulla cui targa stamperebbero l’epiteto: “Qui giacciono i Sardi, un tempo popolo di orgogliosi pastori ed austeri massai, antichi guerrieri in una terra fertile e ospitale, ricca di acque sorgive, di boschi millenari e secolari ginepri piegati dal vento ma mai spezzati. Qui giacciono, seppelliti dalla loro stessa accidia, domati dall’indifferenza, vinti dall’esitazione”.