Un amico che stimo ha scritto che a volte proporre una discussione sulla lingua sarda è come mettere del sale in una ferita: a molti duole volerne parlare o ascoltare gli argomenti a favore di una presenza più degna del sardo nella società e in ogni sua manifestazione artistica, culturale, religiosa o sportiva.

Gli argomenti che si adducono per non volerne parlare e per scusarsi dal non voler usare il sardo sono i più vari e fantasiosi che si possan dare: io lo capisco ma non lo parlo, in casa non si parlava sardo, ora son in pochi quelli che lo parlano, pochi lo capiscono, a scuola si studiava in italiano, e così via. Son tutte scuse si potrebbe dire.

Io penso però che le ragioni ultime della negazione all’uso del sardo le dobbiamo ricercare non tanto in queste scuse infantili quanto in meccanismi psicologici di difesa del proprio “Io”, meccanismi descritti dalla psicanalisi.

Quando una persona non è capace di armonizzare i propri sentimenti, quando non può evitare con metodi razionali il turbamento interno che lo agita, allora usa delle forme illusorie o, come ci ha insegnato Sigmund Freud, meccanismi di difesa per evitare di entrare nel corridoio della nevrosi.
Il primo di questi meccanismi di difesa è la “dislocazione”, cioè la deviazione verso altri argomenti della realtà che non si accetta. “Esistono ben altri problemi, molto più importanti del problema linguistico”, quante volte l’abbiamo sentito dire.

Altro meccanismo è la “rimozione”, cioè il collocare nel cassetto dell’inconscio ciò che non piace, far in modo che gli argomenti che turbano non vengano a galla. “Non mi piace e se non ci penso, l’argomento non esiste.” Il problema linguistico, di cui non piace parlare, è quindi un problema che non esiste, inventato.

Si aggiunge inoltre il meccanismo della “proiezione” dei propri turbamenti interni verso il mondo esterno; non ci si responsabilizza di un fatto e si da sempre la colpa a un’altra persona o gruppo sociale per evitare il senso di colpa. È un meccanismo largamente usato: “Non sono io a odiarti ma sei tu che odi me e quindi mi comporto in questa maniera.”

Quando un sentimento genera ansietà nella propria coscienza, può essere messo in movimento un altro meccanismo, quello del “cambio o reazione” con il suo contrario: inferiorità – superiorità, odio – amore. Ne sono un esempio le dichiarazioni esagerate di amore per la lingua sarda, che il più delle volte muovono da una base di disprezzo.
Tipica è inoltre, come meccanismo di difesa, la “identificazione” con norme e valori di un’altra persona o gruppo sociale considerato superiore, più importante, di maggior prestigio, che salverà la persona dal pericolo che le produce la propria angustia.

Per ultimo si dà la “giustificazione” del proprio comportamento, che la persona sente che è da condannare, con motivazioni che sono accettabili. È ormai un classico sentire: “Io non sono per una norma unica, voglio salvare tutte le varianti del sardo”, quando in realtà ciò che non si vuole è la normalizzazione della lingua, non si vuole che questa viva.

L’ha scritto qualche giorno fa un altro amico che stimo molto: “I sardi hanno bisogno di alcune sessioni di psicanalisi”. Mi pare proprio che ha tutta la ragione.