Domani (6 luglio), i sindacati, la Rete Sarda, gli operatori sanitari, semplici cittadini, scenderanno in piazza in difesa di quel che rimane della sanità pubblica in Sardegna.

Le Associazioni mediche, dei veterinari, dei biologi e dei farmacisti, sono scese in campo contro le politiche sanitarie della giunta regionale, con un manifesto dal titolo assai significativo “Un cuore a difesa del Sistema Sanitario Regionale”.

Al centro della protesta, che ha pochi precedenti nella storia della nostra regione, vi è la cosiddetta “riforma” sanitaria. Una mobilitazione massiccia che si salda alla protesta contro le politiche neo liberiste che stanno cancellando il principio universalistico del Servizio Sanitario nazionale: l’accesso gratuito ai servizi sanitari.

In Sardegna, sempre di più i cittadini sono discriminati in base al censo: sono tanti, troppi, coloro, sopratutto giovani ed anziani, che rinunciano alle cure mediche perché non possono pagare il ticket. Tutto questo in una regione che da oltre sessant’anni subisce quell’odioso ricatto che contrappone due diritti costituzionalmente garantiti: diritto alla salute e diritto al lavoro.

Lo sciopero sarà contro una giunta regionale che poco ha fatto per modificare una organizzazione sanitaria tanto costosa quanto inefficiente, basti pensare alle liste d’attesa. Una organizzazione sanitaria profondamente segnata da quella che, con un termine assai brutto, viene chiamata la “distorsione ospedalocentrica”: si continua ad accentrare nei grandi ospedali a tutto discapito degli ospedali territoriali e dei servizi di prevenzione.

Le conseguenze sono inevitabili: oltre il settanta per cento degli accessi in Pronto Soccorso è inappropriato; il tasso di ospedalizzazione, a causa dei ricoveri ingiustificati, è tra i più elevati. Gli ospedali non riescono così a svolgere la loro funzione primaria: la diagnosi e la terapia più fine e sofisticata, perché ingolfati dalla routine, dalla mancanza di servizi territoriali che facciano da filtro, dalla assenza di una adeguata continuità terapeutica ed assistenziale tra ospedale e territorio.

Il colpevole abbandono in cui è stato lasciato l’unico ospedale di alta specializzazione presente in Sardegna, il Brotzu, ne è la prova diretta. Il nodo cruciale è il territorio. Ecco perché le scelte della giunta regionale appaiono illogiche e irrazionali. Ad essere benevoli il frutto di un limite politico e culturale. A pensare male una scelta puramente propagandistica.

La cosiddetta “riforma” sanitaria è un pasticcio senza capo né coda, che risponde ad un imperativo categorico: tagliare, tagliare e ancora tagliare. Il percorso individuato è imbarazzante per l’illogicità: prima la ASL unica, poi il riordino della rete ospedaliera, poi ancora l’Emergenza-Urgenza e per ultimi, forse, i servizi territoriali. Esattamente il contrario di una scelta razionale, logica, ineccepibile sul piano culturale e scientifico, che avrebbe privilegiato il territorio e il sevizio di Emergenza.

Si è preferito invece puntare sulla costruzione della ASL unica: una macrostruttura capace di generare sprechi, inefficienze e persino corruzione, che già ora sta gettando nello sconforto gli operatori sanitari. Il riordino della rete ospedaliera – in nome di una imperante “dittatura” dei numeri, dei parametri, degli zero virgola, che si fa beffe dei bisogni di salute dei cittadini – si traduce in un’ulteriore centralizzazione nei due poli di Cagliari e Sassari e in una penalizzazione del territorio: si svuotano i piccoli ospedali, si chiudono i servizi, si spostano gli operatori sanitari.

La risultante sarà che il territorio verrà privato dei servizi essenziali, si accentuerà il processo di spopolamento, si acuirà la desertificazione economica e produttiva: un genocidio sociale e culturale. Oramai in ballo non vi è solo il diritto alla salute ma l’esistenza stessa di interi territori.