(Questo è un estratto dal reading “Il sangue della festa – Mortu in die nodida”, che ha accompagnato le presentazioni dell’omonimo libro)

Quand’ero poco più di un ragazzo, a Tresnuraghes – sì, perché anch’io, come Jaime, sono cresciuto a Tresnuraghes – avevo un amico, anzi era un amico di mio padre, che mi aveva involontariamente fatto riflettere sulle cose della vita e della morte.

Quand’è il tuo compleanno? – gli chiesi. E lui mi rispose: “il 17 marzo, ma non l’ho mai festeggiato”. E perché mai?

“Beh, quand’avevo 5 anni proprio quel giorno mio padre morì d’infarto. Quella data è diventata il ricordo di un lutto, non c’è niente da festeggiare”.

La vita e la morte. Tenetelo a mente. Anzi, pensateci.

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Pietro Casu era un sacerdote e insegnante di Lettere, nato a Berchidda nel 1878 e morto nel gennaio del 1954.

A lui si deve il vocabolario sardo logudorese, scritto tra il 1934 e il 1947. Oltre 50 mila parole, su 2034 pagine manoscritte, per volontà testamentaria dello stesso canonico, diventate patrimonio della Regione.

Alla voce “nodidu”, in quel vocabolario si trova la definizione “noto, chiaro, notabile, distinto”.

Ma c’è dell’altro. Associando l’aggettivo “nodidu” al sostantivo “Die” (giorno, giornata), Casu ci racconta che “sa die nodida” è la festa solenne, il giorno festivo. E per dar corpo alla definizione aggiunge: “Bisonzat distingher sa die nodida dai sa die fettiana”, ovvero bisogna distinguere il giorno festivo dal giorno di lavoro.

Il compleanno, il Ferragosto, il giorno di Pasqua, quello dell’anniversario di matrimonio, Capodanno, il giorno di Natale.

Ricordate? Abbiamo lasciato Jaime nel Duomo di Cividale, con davanti il corpo di una vittima senza nome, con la testa immersa nell’acquasantiera. E lo abbiamo lasciato che si chiedeva “Chie ses tue? E puitte t’hana mortu in die nodida?”. Chi sei tu e perché ti hanno ucciso in un giorno solenne?

Gli uomini del commissariato, quelli della Procura, quelli di chiesa, là – nel Friuli che è quasi Slovenia – nessuno capisce perché Jaime si sia fissato tanto con questa cosa dei delitti nel giorno della festa.

Se avesse avuto voglia di spiegare loro cosa vuol dire – per un sardo – uccidere in “die nodida”, Jaime avrebbe dovuto raccontare molte cose che nel libro non ci sono.

Avrebbe dovuto introdurre il tema della pena accessoria, che pure Antonio Pigliaru ha tralasciato di inserire nel suo codice della vendetta barbaricina, che spesso nel centro Sardegna consiste nello sfregio di consumare i delitti nel giorno solenne.

Al dolore per la perdita del congiunto, infatti, ai familiari superstiti viene comminata anche l’aggiunta della sottrazione della sacralità della festa, vita natural durante. Ricordate il mio amico e il suo compleanno diventato, pur a causa di una morte naturale, giornata nella quale ricordare un lutto?

Se Jaime avesse voluto dare spiegazioni avrebbe, ad esempio, dovuto parlare di don Graziano Muntoni.

Era nato a Fonni nel 1942. E a Fonni aveva a lungo fatto l’insegnante di Educazione musicale e il militante della Democrazia cristiana. Si era anche candidato in Comune, la gente lo aveva eletto come consigliere ed era pure diventato assessore. Benvoluto anche dagli avversari, per il suo buonsenso e la sua naturale predisposizione alla mediazione.

Attorno ai 45 anni aveva sentito, irresistibile, il richiamo della fede. Oh, non che la fede gli fosse mai mancata, ma parlavo del richiamo alla veste sacerdotale.

E quella vocazione lo aveva portato il giorno dopo il Natale del 1990 – sì, il giorno di Natale – a essere ordinato sacerdote nella chiesa di San Giovanni Battista, a Fonni. Da lì il vescovo di Nuoro Pietro Meloni lo aveva mandato a Orgosolo, a fare il vice del parroco don Michele Casula.

E quella comunità lo aveva adottato sin da subito, nel suo impegno sempre così disponibile e comprensivo. Don Graziano Muntoni lavora in parrocchia per otto anni, ogni santo giorno. E si fa apprezzare, stimare, amare.

Il giorno della vigilia di Natale dell’anno del Signore 1998 a Orgosolo è ancora buio, quando don Graziano lascia la sua casa per prendere la strada della parrocchia. Deve celebrare la messa del mattino ma è in anticipo. Sono le 6.40 e quel prete minuto ha un appuntamento con la morte. Mancano due giorni e saranno passati otto anni dalla sua ordinazione.

In quel vicolo stretto del centro storico di Orgosolo, un budello di muri antichi, buio e dal fondo ghiacciato, c’è chi ha deciso di non lasciargli nemmeno il tempo di un segno della croce. Una sola fucilata, a pallettoni. E don Graziano cade in una pozza di sangue, stringendo forte il breviario.

Perché don Graziano è stato ucciso e perché quest’agguato è stato organizzato proprio alla vigilia di Natale? Perché, da quel giorno di 14 anni fa, la festa più lieta per i cristiani è stata trasformata in un giorno di lutto, nel ricordo di quell’uomo buono, nelle comunità di Orgosolo e Fonni e non solo nelle case di chi a Graziano Muntoni aveva voluto bene? Bisognerebbe chiederlo all’assassino.

Bisognerebbe entrare nella sua mente e capire perché.

Bisogna entrare nella mente degli assassini, per capire il motivo dei loro delitti.