Premessa:
Condivido lo spirito e la lettera della recente Proposta di legge dell’Associazione SARDOS. Certo, si possono fare aggiustamenti e ritocchi, ma nella sua parte essenziale è da sottoscrivere e, come tale, da divulgare e proporre all’opinione pubblica, ai Media,ai Partiti, ai Consiglieri regionali.
La riflessione che segue vuole sviluppare una serie di valenze che lo studio e l’apprendimento della storia “locale” – e dunque per noi la storia sarda – implicano e comportano, ma soprattutto i riverberi e le conseguenze che producono sulla formazione dei giovani studenti.
La scuola italiana, nonostante qualche timida apertura, da secoli, nei confronti della storia locale nutre e manifesta sospetti, riserve e, spesso, vera e propria insofferenza. Di qui il sostanziale interramento, censura, mistificazione e, persino, vera e propria falsificazione.
Ma non solo la scuola: i Media in genere. A mo’ di esempio ricordo che La Biblioteca del Quotidiano Repubblica, nel 2006 ha pubblicato e diffuso a migliaia di copie un volume di 800 pagine sulla preistoria, nel quale Nuraghi e Sardegna non vengono citati, neppure per errore. Un’occasione mancata per la cultura italiana che pur pretende, – e con quale spocchia – di dominare sull’Isola.
Ma tant’è: accecati dall’eurocentrismo, evidentemente costoro dimenticano che quella nuragica è stata la più grande civiltà della storia di tutto il Mediterraneo centro-occidentale del secondo millennio avanti Cristo.
Al contrario – ma è solo un esempio – della Francia in cui, soprattutto in seguito alle significative posizioni di storici come Marc Bloch e Lucien Febre con la creazione nel 1929 degli Annales e con il pensiero di Fernand Braudel, la storiografia più avveduta ha superato il paradigma storiografico secondo il quale solo la “ Storia generale “ è degna di essere studiata. Superando e rifiutando in tal modo la storia come grande evento militare e rivalutando la storia locale, che si pone come “laboratorio” della nuova concezione storiografica secondo la quale non vi è una gerarchia di rilevanza fra storia locale e storia generale.
a. Valenze identitarie
La Storia è la radice del nostro essere, della nostra realtà collettiva e individuale, della nostra Identità. Nessun individuo può vivere senza la coscienza e conoscenza della sua identità, della sua biografia, dei vari momenti del suo farsi capace di ricostruire il suo vissuto personale e storico.
Un filo ben preciso lega il nostro presente al passato: il filo della nostra identità e diversità, come individui e come collettività-comunità. Se non fossimo diversi non potremmo neppure dialogare, confrontarci, conoscere: noi conosciamo in quanto siamo diversi. Avremmo altrimenti l’hegeliana notte nera in cui tutte le vacche sono nere. La diversità ci salva dalla omologazione- standardizzazione. Sia ben chiaro: la coscienza di essere diversi non esclude la consapevolezza di essere e di vivere dentro un universo più vasto.
La coscienza dell’Identità esiste anche come coscienza collettiva e non solo come coscienza individuale: a livello di famiglia, società, comunità, gruppo. Il legame fra i membri di una comunità sono la lingua, la religione, i valori, i comportamenti che la comunità stessa ha acquisito attraverso i tempi lunghi della storia. Il bisogno di appartenenza, il radicamento, le radici, la memoria storica rappresentano il collante dell’Identità. La biografia personale si intreccia con la biografia collettiva, la storia locale con la storia generale.
b. Valenze conoscitive
Dicevo prima che vi è stato e ancora vi è, nei confronti della storia locale, un atteggiamento di insofferenza e di incomprensione, una tendenza a vedere gerarchie: la storia generale più alta, più dignitosa della storia locale e, dunque, la storia “nazionale” più importante della storia “regionale”. Di qui – per esempio – le diffidenze verso le specificità e identità etniche. La ripulsione è fra l’altro frutto di equivoci e di incomprensioni alimentate in gran parte dall’insegnamento della storia a scuola, risultato di quel paradigma unitarista imposto al momento dell’Unità d’Italia, dalla necessità risorgimentale del d’azegliano fare gli italiani, cucire lo stivale, realizzando di fatto, un’unità artificiosa che prescindeva dalla composita realtà culturale, storica e linguistica. Il paradigma unitarista nasceva inoltre dal mito della generalizzazione e dalla scarsa attenzione al locale, al diverso, al particolare, alla periferia.
Negli anni ‘30 – l’ho a già accennato – con gli Annales degli storici francesi e in modo particolare di Lucien Febre e Marc Bloch prima e Fernand Braudel poi, ovvero alla luce della dissoluzione dell’eurocentrismno storiografico, che metteva al centro l’analisi dei fondamenti materiali della civiltà, si pervenne alla conclusione che nella ricerca storiografica, locale o universale, non fosse possibile individuare gerarchie.
Così oggi la storia locale ha acquisito un ruolo importante e stabile, così uno storico italiano come Franco Catalano può scrivere che “la storiografia si è liberata dalle innaturali concezioni che celebrano la grande storia, per cui la “nuova storia” oltre che abbattere le vecchie recinzioni storiografiche, per una storia aperta e senza barriere disciplinari, è capace di valorizzare la vita degli uomini nel tempo indagando a tutto campo: dalla cantina al solaio.
La storia insomma è come il maiale nelle tradizionali famiglie agropastorali: quando si ammazza, non si butta niente, serve tutto, dalle orecchie agli occhi. Come non si butta niente di ciò che è opera degli uomini: e la storia è come l’orco delle favole, che corre e va dove sente odore di uomini.
In sintesi, la valenza conoscitiva della storia locale va individuata nella possibilità di interpretare i fenomeni generali:
– Come verifica della ricaduta a livello locale del fenomeno generale (pensiamo per esempio alle conseguenze, a livello sardo, delle politiche economiche e fiscali della Destra e della Sinistra storica o del Fascismo).
– Come individuazione degli effetti che scelte e spinte che provengono dal locale, dal basso, inducono e producono nelle scelte di ordine generale.
– Come modelli di comportamenti locali che vengono generalizzati.
c. Valenze educative
La conoscenza e la coscienza delle nostre radici etno-storiche e linguistico- culturali ci aiutano a superare i conflitti fra le diversità. Essere se stessi, con le proprie caratteristiche peculiari è infatti condizione per dialogare con gli altri, per relazionarci. Senza conoscenza, consapevolezza e sviluppo continuo della propria Identità, della propria e specifica fisionomia vi è solo omologazione, vieppiù oggi con la civiltà dei consumi, con la standardizzazione delle merci e dunque dei gusti, con la globalizzazione che tende a tritare tutto e tutti, potando diversità e peculiarità.
Conoscere e prendere coscienza della nostra peculiarità etno-storica, etno-culturale e etno-linguistica non significa ne può né deve significare esaltazione acritica del nostro passato in termini mitologici e neppure etnocentrismo o peggio chiusura verso l’esterno e/o il diverso.
d. Valenze didattiche
Se riconosciamo alla storia locale una funzione, un ruolo, una valenza altamente formativa ed educativa, occorre inserirla nelle scuole di ogni ordine e grado – di qui la proposta di Legge di SARDOS – organicamente, dentro i curricula scolastici, non come appendice, come elemento marginale da ghettizzare nel doposcuola o in contro turno), da raccordare con la storia generale, da studiare parallelamente, per così dire, in modo sinottico e contestuale.
Ma non basta studiarla la storia locale: occorre scriverla o meglio riscriverla, perché, spesso. la storia sarda è stata scritta dagli altri, dai dominatori, dai “Vincitori”, che evidentemente – dai Romani agli Spagnoli, dai Piemontesi agli Italiani – avevano ed hanno, visioni e interessi “altri” – per non dire contrapposti – rispetto ai nostri, di Sardi.
Scriverla partendo dalle condizioni sociali, facendo verifiche sul campo, utilizzando tutte le fonti ad iniziare dai documenti, non solo scritti ma da tutto quell’arcipelago di testimonianze che “parlano” forse più dei papiros e dei documenti degli archivi (paesaggio agrario, resti archeologici, monumenti, nuraghi, pozzi sacri ecc. ecc.)
Senza la ricostruzione degli elementi più significativi della vita della gente comune, la storia continua ad essere storia evenementiel, cioè storia dei re e imperatori, di Papi e di generali. E perciò è sostanzialmente mistificazione e falsificazione.
Fintzas a cando amusascurtare sociologos manipoladores ki santificana Sa Die, e dedicana lustros a massones italianos, s’istoria de su Populu Sardu ataessere contada e arrantzada dae sos chierichettos indotrinaos dae sas iscolas de santa romana cresia. Pro torrare a iscriere s’istoria VERA de su Populu Sardu tocada a torrare a su A.C. prima ki su juu de roma e sa cresia sua s est supraposta a sa Cultura Sarda. Bonu traballu pro kie tene coratzu a lu narres e l’iskriere.
Tenes resone, Frantzí! Est fintzas dae tropu tempus ora de che la finire cun cust’irbéntiu presumidu de “storia locale” e “storia generale”! Si no nos lassamus intzegare de s’etimologia de “istória” (chentza mancu pessare a chie l’at iscrita, canta ndhe at contadu e proite, e canta ndhe at cuadu o lassadu pèrdere e proite ma che cosa de perunu contu, s’istória est su chi faghet sa zente pro sa vida, e zente est totu sa zente in totu su Pianeta. Proite, poi, un’istória tiat èssere locale? Sa zente in donzi tempus e logu at triballadu, “gherradu” comente namus in sardu, pro si campare (e campare fintzas sos parassitas dominadores), pro si mediare, pesare fizos e istare carchi cosa menzus líbbera e in paghe ca su domíniu est gherra, morte e distrutzione: bi at fossis carchi istória prus generale de goi? Tiat èssere prus generale s’istória chi ant fatu sos dominadores chi cumandhant in logu issoro e faghent e iscontzant in domo anzena seghendhe sas ancas a sa zente? Tiat èssere prus istória generale su machine personale de Hitler chi at abbutinadu totu s’Europa e fintzas su mundhu, o “le gesta” de Napoleone e Giúliu Cesare (pro no ndhe chircare àteros) de sa chi at fatu sa zente chi ant fatu prànghere e ispérdidu? O cussa chi ant fatu sos negrieros e colonialistas? Namus chi istória est totu s’istória. E pro istare a nois e a su bisonzu nostru: ite istória est a no ischire mancu chie semus e inue zughimus sos pes, comente semus postos e ite tenimus o podimus tènnere e fàghere, de ue benimus e a ue e comente semus andhendhe personalmente e coment’e colletividade/natzione chi nos distinghet? Ite cultura istórica est sa chi nos daent si bi mancat própriu s’istória nostra e solu pro sa dortidúdine e presumu chi no est de pònnere in contu? (e fossis mancu la connoschent sos ‘mastros’ chi compilant sos “manuales” chi zirant in “adozione”, cosa no prus pagu grave de totu sas àteras!) S’iscola italiana nos at dadu una cultura istórica in parte manna assurda e dorta, a dannu nostru; e ca tocat chi fetemus sos contos cun nois etotu tocat fintzas a narrere chi l’at fatu cun sa responsabbilidade sempre prus prena de sos Sardos etotu chi ant fatu e faghent sos docentes (pro no chircare s’iscallamentu e responsabbilidade de sos ‘políticos’), ca sa responsabbilidade de su chi faghimus nois la tenimus personalmente nois etotu fintzas a cumandhu anzenu, e no sos Buzinos chi guvernant s’iscola! A issos s’issoro, e a nois sa nostra, si no semus buratinos, puru cumprendhindhe totu sas dificurtades de sos Docentes! (e pro las miminare e lis andhare in azudu depet pessare sa leze proposta).
E tenes resone manna chi s’istória de sos Sardos tocat a la torrare a iscríere ca meda l’ant iscrita “ad usum delphini” e no solu ponindhe ifatu a Massimo D’Azeglio chi teniat de fàghere “gli Italiani”! Nois no tenimus mancu de nos fàghere a Sardos, ca a Sardos nos faghet sa Sardigna: tenimus invetze de èssere zente nois puru, chi cheret nàrrere a èssere líbberos e responsàbbiles pro su bene nostru e fintzas anzenu.
La storia è sempre
quella dei vincitori ,o meglio la scrivono sempre i vincitori. Noi sardi siamo stati conquisati dai,Romani , dagli Aragonasi e dai Piemontesi,
sempre trattati come nemici da colonizzare, per cui la nostra storia
e la nostra civiltà sono sempre state ignorate e sminuite.
Entrando nel merito della nostra civiltà, in particolare della civiltà nuragica e del periodo giudicale, di ciò
non si fa alcun cenno nei libri di storia.Scadaloso e ingiusto per una terra che ha dato all’Italia sangue, onore e ricchezza.
Direi che sia ora di farsi sentire e rispettare.