In questo articolo discuterò delle leggi elettorali sarda (per le elezioni regionali) e italiana (per il Senato) e del perché possano essere un’opportunità per un fronte sardista unitario.

A partire dai dati delle ultime regionali, se si osserva la distribuzione dei voti tra i partiti e le coalizioni, tre cose catturano l’attenzione, a parte la frammentazione della galassia indipendentista/sovranista/autonomista, che per semplicità d’ora in avanti chiamerò “sardista” in senso lato: la prima è che senza i voti “sardisti” Pigliaru non avrebbe vinto le elezioni; la seconda è che neanche Cappellacci ci sarebbe riuscito; la terza, e la più importante, è che mettendo insieme tutti i voti “sardisti” (da destra, da sinistra e le liste autonome) viene fuori una forchetta di 170-240 mila voti, a seconda di dove è posto il confine del “sardismo”.

Lasciando da parte la questione “se sei stato con gli italiani non sei un vero sardista/sardo”, che ritengo inutile e che serve esclusivamente ad allontanare gli elettori dall’interesse verso un nuovo progetto, è curioso notare quante persone già votano per partiti e coalizioni di questo tipo, nonostante questi siano tantissimi, nonostante il continuo tentativo di eliminarsi a vicenda, e nonostante non siano accomunati da un’istanza unitaria.

Giusto per non passare per ingenuo: so bene che molti di quei voti sono stati racimolati con pratiche pseudo-clientelari o sono legate al singolo personaggio politico; tuttavia, credo che la constituency potenziale sardista stia più o meno nelle cifre riportate in alto.

L’altra cosa da sottolineare è che già nel 2014, malgrado la disastrosa frammentazione ricordata in precedenza, il sardismo era la seconda forza politica: levando i voti sardisti a destra e a sinistra e sommandoli a liste e coalizioni autonome si contano quasi 240 mila voti, che sono meno di quelli di Pigliaru (circa 266 mila esclusi i sardisti) ma più di quelli di Cappellacci (230 mila esclusi i sardisti).

Ciò vuol dire che sebbene non si sia fatto niente niente per essere competitivi, e non avendo alcuna coscienza di questa forza potenziale, il fronte sardista è potenzialmente già competitivo.

Certo, va considerato che alle scorse regionali non era presente il M5S, che aveva preso 240 mila voti al Senato l’anno precedente.

La differenza di votanti tra 2013 (politiche) e 2014 (regionali) era di 100 mila, probabilmente lo zoccolo duro del Movimento che aveva deciso di non prendere parte alle regionali.

Destra e sinistra nel 2014 avevano più o meno confermato i risultati del senato – 270 mila Bersani, 270 mila Berlusconi+Monti -, quindi è possibile che in una futura tornata elettorale sardisti e M5S competano per un bacino elettorale in parte comune.

Eppure c’è la necessità di organizzarsi se, come sembra, la legge elettorale rimarrà la stessa: con un progetto unitario il sardismo è già potenzialmente competitivo, e alle regionali un voto in più degli altri vuol dire ottenere il diritto a governare.

Sarebbe necessario capire la strategia dei cosiddetti sardisti. “Chentu concas” così come è stato finora? Oppure un percorso fatto di primarie (di idee e di persone), di condivisione e di unità che vada oltre le singole posizioni politiche?

Agli elettori credo freghi poco delle diatribe che ricordano le “guerre dei righelli” tra ragazzini: “io sono più indipendentista di te!”, “nessuno è più sardo di me!”, e via dicendo. Sono strategie esclusive che hanno tenuto i cittadini lontani dalla partecipazione politica durante questi anni, fino al paradosso che a forza di dire “non sei abbastanza sardo” si è finito per consegnare costantemente il potere in mano agli italiani.

Altrettanto può essere detto riguardo la legge elettorale del Senato italiano. Dalla sentenza della Corte Costituzionale è emersa una legge proporzionale su base regionale con la possibilità di indicare le preferenze, con una soglia di sbarramento dell’8 per cento alla lista e del 20 per cento alla coalizione.

È evidente la non convenienza a presentare una moltitudine di liste, né è ottimale la scelta di una coalizione: con un’unica lista (scegliendo i candidati attraverso primarie, magari) è probabile che si ottenga almeno un senatore superando lo sbarramento; con 240 mila voti è possibile addirittura ottenerne 2.

E l’Alto Adige è spesso lì a ricordarci quanto conta avere dei senatori a difesa della propria minoranza.

Il sardismo vuole continuare a sventolare bandiera bianca a ogni tornata elettorale italiana?

Il discorso è lungo e complicato, mi rendo conto, e merita una discussione più approfondita. In sintesi: le leggi elettorali attuali non sono le migliori del mondo, nondimeno possono rappresentare un’opportunità unica.

Se solo la smettessimo di piangere per le cose che non possiamo fare e provassimo a fare ciò che si può.