Tira un bel vento fresco sulla nostra isola. Fioriscono le assemblee, le associazioni e gli incontri che pongono al centro delle proprie elaborazioni la questione sarda e i suoi mille nodi. Inoltre ormai da un anno è stato messo su A foras, un movimento pieno di giovani energie che si battono contro l’occupazione militare.

Nonostante la scomparsa del grande medico civile Vincenzo Migaleddu i comitati in difesa del territorio vanno avanti spediti a portare avanti la loro bataglia contro le speculazioni energetiche, le devastazioni ambientali, il monitoraggio e la salvaguardia del bene comune. Gli indipendentisti sono sempre presenti e operativi nelle lotte e continuano la loro preziosa opera di propaganda e denuncia politica e culturale.

Parallelamente intellettuali e operatori culturali non intruppati nell’industria culturale coloniale moltiplicano la propria attività paese per paese coinvolgendo in dibattiti di alto livello le comunità della Sardegna e riscoprendo la storia, la memoria la centraità della nostra lingua, il valore strategico di una politica culturale autocentrata e non più marginale e subalterna.

Però questa Sardegna non riesce ancora a tracciare una strada unitaria per opporsi a quell’altra Sardegna facente capo al sistema oligarchico e clanista affiliata ai partiti italiani e alle loro “stampelle” sedicenti sovraniste o indipendentiste che dir si voglia. Sto parlando di quella classe politica che – tanto per fare un paio di esempi – condanna l’isola a produrre il 4% dell’energia dello Stato a fronte del 2,5% di popolazione senza alcun razionale beneficio per le comunità ospitanti gli impianti e senza alcuno sgravio sulla bolletta elettrica. La medesima classe politica che ha varato la nuova legge urbanistica rendendo cementificabili le coste nonostante tutte le promesse e le aspettative ambientaliste degli ultimi anni (ricordate le crociate del Centrosinistra contro il PPR di Cappellacci? Soru dichiarò che sulla difesa delle coste si fondava l’identità del centro sinistra sardo. Ora invece gli alberghi sul mare potranno aumentare le volumetrie del 25 % perché – a detta dell’assessore Erriu – «questi interventi sono necessari in 40 strutture costruite negli anni sessanta, ormai fuori mercato e che non rispondono più agli standard internazionali» (fonte Nuova Sardegna).

Vogliamo parlare di altro? Lo scandalo del ravamping di Tossilo, la legge elettorale oligarchica, la mannaia sulla sanità pubblica fatta passare come una “riforma”, la mancanza di una legge sulla scuola sarda che ci condanna ad applicare il dimensionamento scolastico così come ci viene da Roma, l’assenza di una politica linguistica, la mancanza di una politica agricola e di una linea sui saperi artigiani. Potremmo continuare per ore e non sarebbe proficuo perché le sfilze delle lamentele non servono e sono anzi dannose.

Non ci vuole il master in scienza della politica per capire che il Governo Pigliaru è uno degli esempi più scellerati di subalternità e che ci serve un’alternitiva seria, strutturata, democratica fondata su pratiche di autogoverno e autodeterminazione e anche su una scommessa pedagogica di fondo, cioè quella che concepisce il popolo sardo capace di uscire dallo stadio di minorità e di diventare un soggetto storico che conosce i suoi diritti e li fa rispettare.

Eccoci al punto. Come speriamo che ciò accada se non accettiamo di costruire una alternativa politica di tutte quelle forze disponibili alla discontinuità con il blocco di potere centralista e colonialista? A voglia a ripetere quotidianamente sui socials e a mezzo stampa che “non si uniscono le mele con le pere”, che i tentativi di convergenza in atto sono “scatole vuole” e altre cose del genere. Facciamoci una domanda semplice semplice: oggi qualcuno in Sardegna può dichiararsi egemone socialmente? C’è qualcuno che può vantare di non avere bisogno di tutte le altre forze in campo, siano esse piccole o grandi o anche microscopiche?

È vero, si moltiplicano le riunioni e le assemblee “aperte a tutti”, “fuori dalla contesa dei partiti”, e si moltiplicano gli appelli all’ “unità sui temi”, ma nessuno o quasi parla delle regole e dei metodi che dovrebbero vederci collaborare per obiettivi e fini comuni. Senza questi chiarimenti come li scegliamo i punti programmatici comuni? Come ci coordiniamo per lavorci? Come possiamo sperare di selezionare una classe politica antagonista a quella messa puntualmente in campo dalla macchina da guerra dei partiti centralisti e delle loro guide indiane che anche alle ultime amministrative hanno dimostrato una notevole tenuta nonostante tutte le previsioni crolliste?

Lo dico fuori dai denti così ci capiamo e nessuno perde tempo prezioso: o qualche soggetto di quelli presenti sulla scena indipendentista pensa di essere in grado di fare da solo e di funzionare da locomotore egemonico (come un tempo aspirava a fare IRS in campo sardo) e allora deve dimostrarlo con dati alla mano e non con le autodichiarazioni o i like collezionati sui socials, o si accetta l’idea di stabilire un percorso regolamentato e ufficiale capace di diventare un punto di riferimento solido e costante per i sardi che vogliono rompere con i vari Pigliaru e Cappellacci e che non si fidano dei finti liberatori in franchising.

La novità della Mesa Natzionale consiste in ciò, vale a dire stabilire un campo comune basato sulla democrazia e sulla necessità di creare una alternativa politica per la nostra nazione. Nessuna egemonia, nessun leaderismo, nessun gioco delle tre carte, nessuna “associazione temporanea di impresa politica”, ma un progetto lungimirante e strategico per iniziare a strutturare un cammino reale di emancipazione. Non piace per un motivo o per l’altro? Va bene. Fuori altre proposte migliorative o superiori, ma fatele subito e nero su bianco. Ogni giorno che passa il blocco italiano riguadagna terreno e noi andiamo incontro ad una sonora ed epocale sconfitta in uno dei momenti storici più favorevoli alla rottura con lo stato italiano e le sue espressioni politiche colonialiste.

Finisco questo intervento con una domanda. Vogliamo davvero fare questo o stiamo puntando su atro? Non è una domanda retorica. Voglio capire, anche perché una nota giornalista qualche giorno fa mi ha fatto pensare dicendomi – a ragione – “dai Sabino, se l’indipendenza fosse stata davvero l’obiettivo avreste già trovato l’accordo”. E non mi parlate di “partito unico”, a parte qualche buontempone nessuno ha realmente avanzato questa proposta.

Nessun cambianto è stato mai possibile senza una linea chiara che lo rendesse intelleggibile e in questo momento in Sardegna ci sono tante belle esperienze e risorse intellettuali e morali, ma appunto manca questo: una linea chiara per capire come arrivare all’obiettivo di un percorso fondato sull’autodeterminazione. Si accettano proposte, ma facciamo in fretta e smettiamo per un attimo di misurarci le grandezze come fanno i piccoli ometti in pubertà e parliamo di cose più serie!