Il principale femminismo italiano insegna alla donna sarda che esistono differenze tra uomo e donna ma non ne esistono tra donne, tra donne ricche e donne povere, così come le donne di una nazione e le donne di un’altra, le vuole omologate, naturalmente al modello italiano!

Le donne sarde dovrebbero riscattarsi alla stessa maniera delle donne italiane, e le donne povere devono riscattarsi alla stessa maniera di quelle ricche.

Per questo oggi dobbiamo indagare maggiormente sulla condizione delle donne sarde, liberandoci dagli stereotipi colonial-femministi; esiste infatti una oppressione che non è solo sessuale ma anche antropologica, in quanto ogni colonialismo ha bisogno di una morale razzista per solidificare il suo rapporto di dominazione, e non solo, esiste anche una appartenenza di classe che spesso caratterizza l’appartenenza antropologica, ovvero quando la discriminazione antropologica va a definire la condizione di classe.

La donna sarda può non essere discriminata esclusivamente per il suo genere femminile, ma può essere discriminata simultaneamente per il suo genere, la sua cultura nazionale e la sua classe, che ne formano la sua identità sociale.

Esistono quindi sovraposizioni di discriminazioni che rendono la condizione femminile più difficile e complessa, se da un lato vi è un maschilismo atavico appartenente al proprio gruppo sociale e nazionale, fatto anche di retaggi del passato, dall’altro c’è la promulgazione attiva di un maschilismo coloniale, di potere, che discrimina le donne secondo un metodo e una gerarchia: la donna sarda se non adeguatamente italianizzata non è elegante e presentabile come la donna italiana; le donne delle città, in quanto più influenzate dalla cultura coloniale, sono più colte e evolute delle donne dei paesi, la donna che lavora in campagna non è aperta mentalmente come quella che serve i vip nei villaggi turistici, la donna che parla in sardo è grezza e ignorante, la donna “a sa sarda” non è una vera signora…

Esistono tanti esempi che creano un ambiente marginalizzante per la donna sarda, specialmente se tradizionale, un clima ancor più penalizzante di quello dedicato all’uomo tradizionale e fomentato di riflesso dagli stessi sardi colonizzati, uomini e donne.

La questione femminile non è una questione astratta e statica ma composta da vari livelli di disuguaglianza sociale, che interagiscono fra loro determinando delle identità sociali che vengono discriminate sotto molteplici forme.

Il femminismo italiano ha ignorato la condizione di ingiustizia multipla che subiscono le donne sarde, le donne sarde a loro volta non hanno sviluppato un femminismo adatto alle loro condizioni, non hanno cambiato i loro sentimenti, le loro azioni, le loro parole, non c’è stato un cambiamento nel loro intimo e nemmeno nella loro esteriorità.

Il femminismo italiano, italocentrico, di classe medio alta, appartiene al potere dominante, infatti universalizza la donna omologandola a un unico gruppo sulla base esclusivamente del genere, trascurando la loro condizione economica, le loro relazioni sociali, il loro contesto, le loro esperienze, mentre invece se vogliamo capire la complessità della condizione femminile in Sardegna, dobbiamo capire quale sia il ruolo della donna in un ottica di liberazione sociale e nazionale.

La donna in Sardegna deve sapersi affermare come sarda in quanto componente artefice del popolo sardo. La donna sarda ha dovuto sottostare a un regime culturale maschilista autoctono e allo stesso tempo subire anche quello coloniale, oppure in alternativa subire l’attacco culturale italiano, che offriva la castrazione dell’identità nazionale e la rinuncia della coscienza di classe in cambio di quella di genere.

L’importanza della lotta femminista sta soprattutto nella sua organicità con la causa comune della liberazione del popolo. Le donne sarde, le prime a essere derise, disprezzate, escluse per la loro cultura sarda, dovrebbero essere il simbolo dell’orgoglio sardo e del riscatto del genere umano da qualsiasi discriminazione, il recupero della nostra identità troverebbe una grande forza morale dalla azione cosciente femminile, l’intervento delle donne nella riacquisizione della dignità nazionale è fondamentale.

Se noi dovessimo chiederci cosa potrebbe spingere la società sarda a cambiare atteggiamento verso la donna, tenendo conto del nazionalismo represso dei sardi, capiremo anche l’importanza di primo piano che svolgerebbe una categoria come la donna (che più di tutti ha dovuto affrontare la discriminazione culturale), nel riaffermare con fierezza la sua identità nazionale, nell’essere esempio di coraggio partendo da una condizione di svantaggio, nel rivalutare se stessa per rimettere in discussione tutti.

Occorre quindi, non solo reagire alle antiche origini del maschilismo, ma riuscire anche a dare al femminismo una funzione più ampia, rendere le donne protagoniste di un nuovo umanesimo sardo, popolare, dare a questa categoria un obbiettivo non solo di genere, ma nazionale, anche perchè le donne assecondano la loro condizione di inferiorità assorbendo l’inconscio collettivo che le raffigura tali, come subalterne, incapaci, quindi superare la semplice contrapposizione uomo donna, il generico antagonismo nei confronti degli uomini, per arrivare a un qualcosa di costruttivo che non sia il senso di autorità nei confronti dell’altro sesso, ma l’ incarnazione di un compito di difesa dell’identità e di rivoluzione culturale, una responsabilità che mostri la loro grandezza e maturità.

Nonostante l’importanza primaria del femminismo nella riacquisizione della identità sarda -dai sardi considerata spesso una cosa da uomini, dal suprematista italiano una cosa da selvaggi- penso che questo tema debba essere affrontato tenendo uno stretto rapporto fra entrambi i sessi, non con separatismi o estremismi, ma con la piena collaborazione tra uomini e donne. Dico questo perchè tutti dovrebbero sentire come propria ogni tipo di lotta contro l’oppressione e la discriminazione, ma anche in virtù del fatto che il maschilismo ha impregnato tutta la società senza distinzioni di sesso e età, il nemico è il maschilismo e non propriamente il maschio.

Non ritengo nemmeno valide certe forme di femminismo di facciata come le “quote rosa”, che pretendono di cancellare il maschilismo con scorciatoie, senza un processo storico che ne mini le fondamenta, e dove con trovate propagandistiche ci si ripulisce la coscienza, facendo correre il rischio di eleggere persone inadatte o dannose purchè di sesso femminile, oltretutto presupponendo che le donne non debbano superare il 50%, escludendo poi altre categorie svantaggiate o deboli, come i disabili, i giovani, i poveri, gli omosessuali di entrambi i sessi, gli immigrati ecc… Il maschilismo non si risolve con la bacchetta magica.