Fluorsid / I toni apocalittici non mi piacciono.
Pensare a un mondo senza industria è impossibile e nemmeno è auspicabile. Le industrie devono rispettare le norme di legge. Gli organismi di controllo devono controllare e rendere pubblici i risultati dei controlli.
Le istituzioni devono verificare, nell’interesse dei cittadini, che gli organismi di controllo facciano il loro lavoro e devono definire regole capaci di tutelare sempre meglio la salute pubblica e l’ambiente.
I partiti politici e le forze sociali devo discutere democraticamente sui modelli produttivi da sviluppare. Possiamo decidere che in Sardegna non vogliamo la Fluorsid, la SARAS, l’Euroallumina e nessuna altra industria ad alto potenziale inquinante. Possiamo e dobbiamo discuterne. E’ giusto, è democratico.
Nel mentre però, da chi abbiamo eletto per governare la Regione e per amministrare i nostri comuni, pretendiamo, subito e con forza che tuteli la salute dei lavoratori e quella della collettività, che tuteli l’ambiente e il territorio nel quale viviamo in un intreccio indissolubile con le altre specie animali e vegetali.
Il silenzio della Regione incapace di articolare tempestivamente una qualsiasi posizione pubblica – in relazione a un possibile disastro ambientale alle porte di Cagliari che inficia la qualità ambientale della Laguna di Santa Gilla e rischia di compromettere l’economia legata alla pesca in laguna – è talmente inadeguato da diventare inquietante.
Se è giusto informare la gente – anche su cose che l’informazione “mainstream” a volte tace – non si può mettere in scena il numero della “vergine dal candido manto” ogni volta che determinati problemi emergono, vellicando l’istinto di chi legge una notizia per un fine che a volte è lontano dalla mera informazione.
Ho letto con interesse questo articolo e quello sul dott. Vincenzo Migaleddu (che riposi in pace), dove il titolare di questo blog evidenziava il concetto di “business bias”, ovvero la traduzione scientifica e politicamente corretta del non ignoto conflitto d’interessi, applicato alla ricerca scientifica. È stato un articolo illuminante, perché mi ha concesso di capire che non sapevo cosa volesse dire “bias”, dandomi modo di riflettere sul concetto. Questa parola ha vari significati, connessi con il concetto di “filtro in grado di influenzare qualcosa”, che spaziano dalle musicassette alla politica: nelle musicassette è un artificio elettromagnetico che, applicato allo strato attivo del nastro che scorre nel riproduttore, migliora la fedeltà del segnale audio; in senso lato, nelle scienze sociali, indica l’azione di supportare (od opporsi a) una persona o una cosa in modo non corretto, consentendo alle opinioni personali d’influenzare il giudizio che di quella persona o cosa si ha. Lasciando da parte la fisica e la musica, tutti dovremmo capire – molto semplicemente – che applichiamo praticamente sempre e tutti quanti questo filtro, perché non sarebbe umano fare altrimenti: chi vede il “Progresso” come cosa buona e giusta e ritiene che sia critico ed imperativo assicurarsi fonti d’energia indipendenti da altri Paesi vedrebbe con favore le ricerche di metano ad Arborea; al contrario, chi invece pensa che toccare la Madre Terra sia un atto sacrilego vedrà quelle stesse ricerche come il fumo negli occhi. Un’espressione innocente del nostro bias è il tifo calcistico: se tifo per il Cagliari leggo più volentieri gli articoli dove si descrive una vittoria della mia squadra del cuore, invece di quelli dove se ne raccontano le sconfitte. Espressione meno innocente di un bias è quando cerchiamo d’influenzare chi ci legge per scopi che siano diversi dall’informarlo su qualcosa e cerchiamo di mettere in campo qualche astuzia per convincerlo che diciamo il giusto, per un nostro secondo fine. Questa predisposizione a vedere le cose in un dato modo è una brutta bestia, perché tutti ne abbiamo e, quando qualche politico tocca quello giusto per la maggior parte di noi – oppure quando ci fan vedere quel politico sotto una luce favorevole a quel bias – il politico allora ha successo. Il nostro bias è quella cosa (a volte, anche più di una) che ci fa leggere con maggior piacere solo quanto viene incontro a questa nostra “polarizzazione intrinseca”, tendendo a dar più valore alle nostre opinioni che ai meri fatti, quando questi vanno contro le prime.
Cosa dovremmo dire di chi vuole mettersi alla testa o catalizzare le volontà di chi lo circonda e sfruttandone i bias per interesse personale o per ambizione politica? Fino a che punto potremmo dire che è giusto – o sbagliato – quello che fa? Non è certo questa la sede per discettare di etica – cosa che fin troppi fanno e normalmente a sproposito – ma senz’altro potremo dire che questo è ammissibile ed auspicabile fino a che resta nell’ambito della legge, entro i confini di uno scontro democratico corretto. Sembra facile, certo, ma non lo è per nulla: nessuno si muove senza un interesse dietro, sia esso concreto e diretto come il potere, dei soldi, una posizione in vista o un posto di lavoro, oppure più aulico e sottile come il mero piacere di sentirsi alla guida ed a capo di una massa. Quello che manca, sistematicamente e in genere al nostro avversario di turno, è il senso del servizio che si deve svolgere quando si è a capo di qualcosa.
Oggi – e tanto più in Sardegna – sembra si affacci all’orizzonte un senso cupo di sfascio e distruzione, in cui appare che tutti facciano qualcosa solo per interesse e per secondi fini, alimentato da molte voci e movimenti che appaiono essere a turno la mano salvifica contro la degenerazione: chi parla di decrescita, chi si impanca a censore dell’eolico o del solare termodinamico, chi tira (solo verbalmente, mi auguro) contro i militari e contro i poligoni, chi chiede “la Sardegna ai Sardi” senza dire chi siano questi ultimi e cosa voglia dire “dare la Sardegna ai Sardi”. Ogni azione è vista come funzionale a qualcosa di nascosto e losco, sia quando c’è (la diffidenza aiuta, a volte), sia – e questo va meno bene – quando il secondo fine non c’è. Un esempio: di per sé, non credo ci sia nulla di male a far soldi costruendo e vendendo case. Bene. Detto questo, , è lecito e un bene costruire e vendere case – che so – vicino alla spiaggia di Murtas o attorno a Capo Teulada (ipotizzando per un momento che non siano servitù militari)? È lecito che quei luoghi siano urbanizzati per farne seconde case, creando un posto ancor più lontano dallo stato di incontaminato? Che tipo di beneficio arreca alla collettività (non parlo di quello verso quanti hanno costruito – e venduto…) un ancor maggiore flusso di turisti in zone oggi non contaminate, sempre nello stesso breve periodo estivo dell’anno? Se non si dà retta al nostro bias è facile capire che tutto questo dipenda solamente da quello che si vuole fare, da cosa vuol dire “costo” e cosa vuol dire “beneficio”, da cosa si reputi “sostenibile” e cosa no. In assenza di questi paletti, il tempo speso a valutare qualcosa sarebbe semplicemente buttato via.
Quali sono i paletti che vogliamo per la Sardegna? Qui è pieno di persone pronte ad adirarsi oltremodo quando si tocca la “sacralità” della nostra terra, ma non penso ci siano molte persone che hanno chiaro in testa quel che vogliono, perché sembrano invero pronte a vendersi al primo politico o al primo tribuno che dia loro spazio di lamentarsi, pettinandole per il loro verso.
Tempo fa leggevo l’intervista ad un signore, capo dell’antiterrorismo di un certo Stato, che diceva che la cosa importante nel suo mestiere non era tanto capire “perché” un certo evento (un attentato, o una strage) era accaduto, ma il “come mai” era accaduto e cosa aveva reso possibile che qualcuno attuasse un determinato disegno: dalla logistica di base alle circostanze fattuali che avevano reso possibile attuare quel disegno nei modi in cui si era svolto (la disponibilità di un certo mezzo in un determinato posto, ad esempio). Noi, oggi, facciamo la corsa a capire e a giudicare i perché delle cose, dimenticando che la filosofia alla base delle cose stesse a volte conduce troppo lontano per essere chiara, mentre agire sul come certe cose si possano fare può più efficacemente frenare chi volesse farle o rendere le potenziali conseguenze delle stesse meno gravi. La stessa differenza di un comportamento reattivo rispetto a quello attivo. Noi reagiamo, e pure in modo secondo me erroneo, a quello che ci circonda: se un’industria inquina chiediamo di cacciarle tutte e urliamo a gran voce pietendo sanzioni draconiane sia se qualcuno ha reso la nostra Terra un deserto (e allora va bene processarle, giudicarle, condannarle e chiuderle in galera, buttando se del caso via la chiave), sia se ha buttato una cartaccia per terra (parliamone: forse una bella multa basterebbe…), dimenticando di vedere se davvero quell’industria non può far altro che inquinare (e allora la chiudiamo) o può lavorare senza farlo, salvaguardando anche quelli che ci lavorano e il loro stipendio.
Cun salude,
KK
Sig. KK, mi scusi, sono una persona poco preparata, questo suo fiume di parole mi ha frastornato, e per mia incapacità non ho capito il senso del suo scritto. Se cortesemente lo condensa, se possibile, in poche parole, forse riuscirei a capire. Signor KK da alcune sue frasi, mi sembra di intuire che lei sia un continentale o un sardo-continentale, non vorrei sbagliare anche con poco amore verso la Terra Sarda. Le chiedo cortesemente di non usare il termine ” Cun Salude” parola che si usa con gli amici e famigliari. Sino a quando non dimostra un amore sincero per la Sardegna, non usi “Cun Salude”: Ma il solito tanti saluti, alla continentale. Shardana. Tanti saluti P. Bruno
Si. Pinna,
Anche a Lei, “cun bona salude”
KK
Ho fatto confusione con la tastiera: intendevo ovviamente “Sig. Pinna” e me ne scuso
Cun salude,
KK
Sig. KK, Come pensavo nessuna cortese spiegazione alla sua lunghissima lettera.Sicuramente ho indovinato sulla sua non Sardità, forse non di nascita,ma sicuramente di mancanza di amore per la nostra Terra Sarda. Lei sicuramente è un continentale o un sardo-continentale, se lei fosse un vero Sardo, con a cuore la Sardegna,avrebbe sicuramente difeso con tutto il suo essere la sua appartenenza alla nostra Sardegna. Si sta lottando per la libertà del nostro Popolo Sardo e per l’indipendenza, abbiamo bisogno di gente di cuore, non abbiamo bisogno di continentali o sardo-continentali. Buonasera. B. Pinna.