Come nasce e si sviluppa la presenza di Fluorsid a Macchiareddu e ad Assemini?

E come quest’azienda ha via via organizzato il suo business, passando fin qui indenne per crisi dei mercati, nuova legislazione ambientale e un paio di generazioni di politici regionali?

Chi avrà voglia potrà leggere qua una ricostruzione effettuata dal sottoscritto, frutto da incrocio tra diverse fonti.

Un lavoro che mi porta a fare tre domande, che anticipo all’inizio di questo ragionamento, per chi non avesse voglia di leggerlo tutto.

Quale fu l’accordo economico in base al quale la Regione decise di acquistare (e a quale prezzo) il ramo aziendale costituito della miniera di Silius in clamorosa perdita (80%, contro il 20% della Fluorsid) e di acquisire solo una quota di minoranza (40%) della società che macinava utili?

Perché, per quanto e tempo e con quali perdite si vendette una materia prima essenziale per il ciclo produttivo della fabbrica, addossando i costi delle perdite della miniera in capo alle casse regionali e, da ultimo, dei minatori che hanno poi perso il lavoro?

Quale fu il prezzo a cui la Regione vendette le quote di maggioranza al soggetto privato, la Giulini Investiments?

La storia ha un primo snodo alla fine degli anni ’80, in cui furono messi al bando i cloro-fluoro-carburi, meglio conosciuti come gas propellenti. Questo generò una forte crisi nell’industria chimica legata alla produzione di floruri, in particolare acido fluoridrico.

Fu allora che la Mineraria Silius, di proprietà della Giulini Investiment, si trovò a essere praticamente fuori mercato, decidendo di restituire le concessioni minerarie alla Regione.

Di conseguenza, circa 400 minatori da un giorno all’altro, sarebbero rimasti senza lavoro. La Regione ne acquistò quindi le azioni, impegnandosi a un piano di rilancio.

Fu allora che la Mineraria Silius venne divisa in due realtà: una si occupava dell’estrazione, l’altra della trasformazione della fluorite.

L’estrazione fu assunta da Nuova Mineraria Silius spa, la verticalizzazione dalla Fluorsid di Macchiareddu, di proprietà della famiglia Giulini. La stessa che prima controllava l’intera Mineraria Silius.

Mentre l’azienda di estrazione divenne di proprietà della Regione per l’80%per cento, quella di “trasformazione” rimase per il 60% di proprietà dei Giulini.

Così la Fluorsid comprava oltre il 70% della fluorite da Nuova Mineraria Silius, a prezzi mediamente più bassi del 50% rispetto a quelli di mercato, facendo tanti più utili quanto più perdeva la Nuova Mineraria Silius.

Nel frattempo la forza lavoro diminuì del 75%, passando da 400 a 100 addetti.

A metà degli anni ’90 nuovo giro di valzer. Il valore della fluorite schizzò sui mercati europei ma la Regione non trovò comunque il modo di attuare un piano industriale virtuoso.

Il sistema di estrazione non venne adeguato tecnologicamente e presto si rivelò obsoleto, contribuendo a far esplodere i costi di gestione.

E le crescenti spese per l’estrazione non erano minimamente ammortizzate dai prezzi del maggior acquirente (la Fluorsid), che continuava a divorare il valore aggiunto.

A questo è da aggiungere che l’interruzione dell’esportazione dalla Cina portò in brevissimo tempo al raddoppio del prezzo della fluorite, con ottime prospettive per gli asset sardi.

Nella legislatura a guida centrodestra (1999/2004) la Regione investe altri 17 milioni per ammodernare l’azienda controllata, mentre Soru prima nicchia, poi apre all’investimento e successivamente incassa una clamorosa bocciatura dall’Europa, che per tutta risposta apre una procedura di infrazione contro l’Italia e la Regione Sardegna per un totale di 98 milioni di euro. Pagati da noi.

È questo il momento in cui si fa di nuovo viva la Giulini Investiment, messa in allarme dalla possibile scomparsa del suo principale fornitore.

La strada che viene scelta dalla Regione è quella di liquidare la Nuova Mineraria Silius, revocando le concessioni ed espletando un nuovo bando. Nel frattempo, viene creata una nuova società, con la finalità di farla concessionaria dei giacimenti di fluorite.

La Nuova società si chiama Fluorite Silius SPA, con un capitale di quattro milioni.

Ma l’Ue contesta anche questa soluzione. Si passa dunque alla procedura di liquidazione e all’individuazione di soggetti privati.

In campo scendono, dunque, la Fluorite Italia e la Fluorite Sarda, entrambe riconducibili a Giulini, che si aggiudicano la gara.

Ma prima, nel 2008, non rilevano il sito, giudicandolo non conveniente economicamente, e poi nel 2012 si scontrano con le lentezze dell’assessorato all’Ambiente.

Sta di fatto che, nei cinque anni di gestione Cappellacci la miniera è costata alle casse pubbliche oltre 25 milioni di euro.

Sullo sfondo, un altro problema: il minerale di Silius e San Basilio andrebbe portato nella laveria di Assemini, sempre di proprietà della Regione.

Il terreno si estende su 30 ettari che, però, l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Mario Puddu ha vincolato per farci un parco.

Dal 2014 governa Pigliaru. Ma tutto tace, come è nello stile della casa.