“Mi verrebbe da invitare gli appassionati di scarti industriali e agenti inquinanti vari a stoccarseli in casa, dato che in fondo sono buoni e giusti. Ma evito, perché il livello delle argomentazioni pro-inquinatori è già fin troppo basso”.

Questa amara constatazione è dello storico Omar Onnis ed è riferita all’indegna reazione di alcuni commentatori al pensiero esposto dalla cantante Claudia Aru, prima sulla sua bacheca Facebook e poi sul nostro blog. Un duro attacco ai vertici della Fluorsid e agli inquinatori in genere, con un condivisibile chiosa sull’atteggiamento del proprietario dello stabilimento di Macchiareddu Tommaso Giulini, che ha manifestato preoccupazione per i sette destinatari delle misure cautelari e praticamente nulla ha detto sull’inquinamento ambientale che emerge dalle indagini.

Che dire di questi commentatori che ancora una volta, in maniera miope, barattano il miraggio di una duratura busta paga per pochi con la certezza di un attentato alla salute di tutti?

Niente. Ogni parola sarebbe sprecata. Niente, se non che senza un’adeguata operazione culturale che ci sottragga dal ricatto su cui si fonda il baratto ambiente-lavoro (in sostanza, un doppio sfruttamento che porta all’arricchimento di pochissimi soggetti) niente potrà cambiare.

Ma la coscienza bisogna avere voglia di formarsela. Il problema è che siamo troppo anestetizzati o incavolati col mondo, spesso impegnati a sparare a zero su tutto quello che ci passa davanti, per impegnarci. Ma si tratta di un dovere civile.

Un buon modo per disturbare i manovratori che – a prescindere dalle elezioni, dai governi e dalle Giunte regionali – sono convinti di poter utilizzare a proprio piacimento il territorio sardo, sarebbe quello di chiamare le cose col proprio nome.

Perché è vero che questa terra ha bisogno di lavoro. Ma il lavoro non può fondarsi sul ricatto collettivo della distruzione dell’ambiente e di chi in quell’ecosistema vive.

Inquinamento. È quello che per decenni i colossi della chimica, della petrolchimica e dell’alluminio hanno prodotto in alcune vaste porzioni di Sardegna. Scarichi abusivi, accumuli di materiale altamente nocivo, falde acquifere avvelenate, aria resa irrespirabile e malsana. L’effetto dannoso per l’uomo e per l’ambiente è incalcolabile. E, come dimostrato dalle recenti sentenze, nessuno paga.

Bonifiche. Sono quelle che nessuno ha fatto. Un ex ministro dell’Ambiente ha candidamente ammesso che in Sardegna non le sta facendo nessuno. Né a Porto Torres, né nel Sulcis. L’effetto? La terra, le falde, il mare, tutto resta inquinato. E le grandi lobby dell’energia e della trasformazione dei prodotti chimici e petroliferi possono continuare a fare utili, senza affrontare il capitolo dei costi per il risanamento.

Lavoro. In quei settori si è dissolto ed è sempre meno garantito, sia dal punto di vista qualitativo che economico. Eppure in tanti non gradiscono parlarne. Prevalgono i discorsi del tipo «ma se vanno via le grandi industrie – va bene, inquinano e ci pagano poco – noi cosa facciamo?». Stati d’animo comprensibili. Ma forse ci vorrebbe una politica capace di offrire alternative. Con le idee chiare sul fatto che questo modello di (sotto)sviluppo vada presto abbandonato, prima che altro territorio venga sottratto a idee nuove, più affini alla storia, alle caratteristiche dell’ambiente naturale, alla naturale predisposizione dei sardi.

Non sarebbe male, poi, che su questi temi si svegliasse la Giunta regionale, grande assente nelle prime 48 ore dall’esplosione dell’inchiesta Fluorsid.