Ecco qualche punto fermo, di cornice, sull’indipendentismo che sta nel mondo reale con testa, mani e piedi.

Lavora per l’autodeterminazione dei sardi. Perché i sardi, cioè, possano un giorno scegliere il proprio destino statuale: decidere attraverso un libero referendum popolare se stare con l’Italia o edificare uno Stato proprio. Questo è l’obiettivo ultimo. Nel mezzo: conquistare fette sempre più ampie di potere e promuovere leggi che tutelino gli interessi e l’avanzamento dei sardi, anche e soprattutto quando questi vengono soverchiati dalla pretese dello Stato centrale italiano.

Lavora per durare nel tempo. L’obiettivo del referendum per l’autodeterminazione non è raggiungibile immediatamente. A suo servizio devono porsi un movimento e un gruppo politico capaci di radicarsi nelle coscienze, territorializzarsi e darsi da fare per molto tempo. Se serve, anche per decenni, ben oltre le singole scadenze elettorali e i potenziali leader. Si tratta insomma di costruire una formazione che negli anni assuma la rilevanza di uno Scottish National Party o altri simili.

Non legge o interpreta la realtà attraverso filtri ideologici. Legge e interpreta la realtà partendo prima di tutto dai dati di fatto. La mancanza di concretezza e pragmatismo impedisce di parlare agli interessi e ai bisogni reali dei sardi. È anche alieno da estremismi, retorica, slogan e parole d’ordine altisonanti, che infiammano gli animi ma non riempiono le urne.

Lavora con e per tutte le fasce della società sarda. Aggancia i consensi e tutela i diritti del ricco e del povero. È trasversale, perché tutti i sardi, di ogni ceto, guadagneranno dalla maggiore libertà della Sardegna. Al contempo, punta al centro dell’elettorato per raccogliere l’attenzione dei moderati di destra e di sinistra. Il consenso del centro è indispensabile per entrare in forze negli enti locali e in consiglio regionale, laddove si può lavorare concretamente per l’autodeterminazione dei sardi.

Convince i moderati che il loro interesse non coincide più con quello italiano ma con quello di una Sardegna libera. Erode dall’interno le convinzioni del blocco sociale che sostiene oggi i partiti italiani per portare tale blocco all’autodeterminazione. È l’impresa più difficile e va realizzata senza passare per la costruzione di clientele e la politica di scambio. Altrimenti, si sostituirebbe semplicemente un nuovo blocco di potere al vecchio, perpetuandone le pratiche peggiori: ciò che di più lontano può esserci da una vera autodeterminazione.

Mostra agli indecisi esempi d’autodeterminazione di successo, nell’imprenditoria e nell’amministrazione pubblica. Costruisce nuovi esempi d’autodeterminazione di successo, guidando l’imprenditoria e l’amministrazione pubblica. In Sardegna non manca chi ce l’ha fatta fuori dall’assistenzialismo, senza favori e raccomandazioni, competendo sul mercato con tenacia e bravura. Solo il vedere e toccare con mano un modello riuscito spinge all’autodeterminazione chi oggi ritiene sia meglio stare con l’Italia, o entro le clientele, o entro l’alveo dell’aiuto pubblico. Economia e buon governo del territorio sono i due campi d’azione concreti su cui misura il proprio successo.

Crede nell’individuo e nella comunità. Non vede opposizione tra cultura urbana e cultura rurale, ma interessi complementari. Nella Sardegna del nostro secolo, le due culture si salveranno o moriranno assieme.

Considera l’arco politico indipendentista speculare e alternativo all’arco politico italiano. Favorisce la massima diversificazione delle formazioni indipendentiste, perché l’offerta politica sia larga e tale da soddisfare la domanda dell’intero bacino elettorale sardo. Non lavora con i partiti italiani, il cui orizzonte non contempla l’autodeterminazione dei sardi. La collaborazione è semplicemente impossibile, se non il giorno in cui i partiti italiani, negli enti locali o in consiglio regionale, si convertano all’obiettivo dell’autodeterminazione.