Dopo attenta riflessione intervengo nel recente dibattito su sostenibilità/indipendentismo e altro, ospitato da Anthony Muroni nel suo Blog.
Ho letto con interesse le opinioni di Cristiano Sabino, di Bustiano Cumpostu, di Anthony Muroni, Vito Biolchini e di Alessandro Mongili e, in quasi tutte, in un modo o nell’altro, si fa riferimento all’Europa, ambito che seguo da tempo per passione personale e professionale.
Non intendo complicare le cose. Anzi! Spero di dare il mio contributo e qualche elemento di riflessione.
Mi tuffo quindi nell’Agorà di Muroni con due questioni:
– Ê opportuno continuare ad inseguire l’indipendenza, senza aver dimostrato di saper gestire e coltivare l’autonomia?
– Non sarebbe meglio investire su un progetto più ampio e condiviso come l’Europa delle Regioni?
Per quanto riguarda la prima questione, sono da molto tempo fortemente convinto che l’unica via per assicurare alla Sardegna, e a chi ci vive, un’esistenza e un futuro liberi e dignitosi, sia quella di affrancarsi da questo sistema economico-finanziario (sostenuto da una specie di “sistema politico” connivente, opportunamente plasmato, ben oliato e premiato) che sta portando noi e l’intero Pianeta alla rovina.
Dall’altra parte sono anche convinto che per far questo e, quindi, ambire all’indipendenza, non solo da uno Stato ma da un sistema, occorre un elemento fondamentale: un Popolo unito. Elemento che in Sardegna è presente solo in piccolissima parte. È sufficiente guardarsi intorno per notarlo. So che questa affermazione susciterà l’indignazione di qualcuno ma Popolo non si nasce, lo si diventa. Quindi siamo teoricamente ancora in tempo per colmare la lacuna. Basta volerlo.
La via dell’indipendenza, come dicono tutti, è lunga e complessa. Basta guardare la Catalogna, i Paesi Baschi, gli Scozzesi… che, attraverso decenni di lotte, si sono conquistati autonomia e rispetto – non solo da parte dello Stato che li trattiene ma anche a livello internazionale – ma non l’indipendenza. Ogni volta che mi capita di andare in Catalogna o in Euskadi mi vengono i brividi nel constatare il livello di autonomia che hanno raggiunto e coltivato ma, soprattutto, come la usano!
Nei miei primi anni a Bruxelles la Spagna era appena entrata nella “Comunità Europea” e i catalani avevano già li la loro bella lobby, il “Patronat Català Pro Europa”. Sempre nella zona delle istituzioni europee, in una delle vie principali sventolava la bandiera di Euskal Herria.
Oggi, nel 2017, vi invito a fare un salto nel Rond Point Shuman, una famosa “rotonda” di Bruxelles, e vedere come è ridotto l'”ufficio di Bruxelles” della Regione Sardegna. Due misere stanzette subaffittate nella sede della Regione Lazio!
Ma non vi voglio annoiare con questioni di condominio.
In merito alla seconda domanda, ritorno un attimo agli inizi degli anni 90. I tempi di Mario Melis, Euro-parlamentare eletto dai sardi – e non dalle segreterie dei partiti o con il sistema del gratta-e-vinci online, oggi consentiti da una legge elettorale (24 gennaio 1979, n.18) truffaldina con cui, di fatto, la Sardegna tollera di essere discriminata rispetto alle altre regioni -.
Jacques Delors era Presidente della Commissione Europea. Si lavorava tutti all’ “Obiettivo 92”: la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali in un grande Mercato Unico Europeo di oltre 320 milioni di consumatori. Il Muro di Berlino era appena stato abbattuto.
Un fermento europeista percorreva l’Europa e tutte le capitali degli allora 12 stati, che in breve sarebbero diventati 15. Si iniziava a parlare di Unione Politica ed il nuovo Trattato di Maastricht, con la creazione di una nuova Istituzione, il Comitato delle Regioni, poneva le basi per un futuro probabile: L’Europa delle Regioni. Quella che, già tanti anni prima, veniva auspicata da Einaudi(*) e dagli altri “padri fondatori”.
Un Sardo, Mario Melis, che ebbi l’onore di conoscere, contribuì fortemente a quella conquista delle regioni europee e di noi “europeisti sino al midollo”. Conservo ancora le copie cartacee del suo intervento al Parlamento Europeo nel febbraio del 1990 e della sua Relazione alla “II Conferenza Parlamento Europeo-Regioni della Comunità” che si tenne a Strasburgo nel 1991.
Si trattava, tra l’altro, del “ruolo delle regioni, quali forze emergenti per articolare e organizzare una moderna democrazia nel governo dell’Europa”, e della “Rappresentanza delle regioni e della loro partecipazione all’elaborazione, applicazione e valutazione delle politiche strutturali e delle politiche comuni”.
Ma torniamo ai giorni nostri.
Purtroppo l’Europa è andata verso un’altra direzione, divenendo un comodo giocattolino degli stati membri. Anzi, di qualche Stato membro o forse solo di uno. Noi “europeisti sino al midollo” abbiamo perso diverse battaglie. Ma la Guerra non è finita. Nonostante coloro che, con EXIT o minacce di EXIT, deposte le armi scelgono il disonore della ritirata.
L’Europa dei Popoli. L’Europa delle Regioni. Ecco l’Europa che vogliamo. Ecco il grande ideale per cui vale la pena di continuare a lottare!
Poi rientro in Sardegna, mi guardo intorno e mi chiedo: perché continuare testardamente a percorrere un cammino solitario, invece di investire su un progetto comune come l’“Europa delle Regioni”, condiviso con le altre regioni e “nazioni senza stato” europee?
Chiudo con qualche parola sulla Sostenibilità, divenuta ormai un comodo slogan buono per tutte le stagioni e dietro cui si celano scelte che di sostenibile hanno ben poco (e questa giunta regionale ne sa qualcosa). Oggi la sostenibilità è un concetto considerato da troppi come “studiatamente opaco”, se non addirittura “ambiguo” e sulla sostenibilità, purtroppo, ci si può costruire di tutto.
Se si intendesse usare la Sostenibilità come base per un progetto politico, occorrerebbe chiarirla bene, ripulirla e riportarla alle origini. Cosa non facile se non impossibile.
Personalmente, ritengo che per fondare una nuova proposta politica che sia credibile e efficace, occorra avere il coraggio di ispirarsi ai principi della Decrescita e, in particolare, agli 8 punti programmatici proposti da Serge Latouche. Sembrano scritti per noi!
(*)”Scrivevo trent’anni fa e seguitai a ripetere invano e ripeto oggi, spero, dopo le terribili esperienze sofferte, non più invano, che il nemico numero uno della civiltà, della prosperità, ed oggi si deve aggiungere della vita medesima dei popoli, è il mito della sovranità assoluta degli stati. Questo mito funesto è il vero generatore delle guerre; desso arma gli stati per la conquista dallo spazio vitale; desso pronuncia la scomunica contro gli emigranti dei paesi poveri; desso crea le barriere doganali e, impoverendo i popoli, li spinge ad immaginare che, ritornando all’economia predatoria dei selvaggi, essi possano conquistare ricchezza e potenza.”.
Luigi Einaudi. Da: La guerra e l’unità europea – Discorso alla Costituente, 29 luglio 1947.
Caro Sergio, trovo molto interessante e in gran parte condivisibile ciò che scrivi. A volte diamo troppo significato alle parole ( che alcuni, purtroppo di frequente i giornalisti) usano e storpiano a loro piacimento. Quel che è veramente importante non è la parola in se, ma quello che si intende veramente con quella parola in concreto, e come quella parola si traduce nei fatti. La sostenibilità ne è un chiaro esempio, per cui ti invito a leggere il contributo di Rita Cannas (che non hai citato fra gli altri nomi), alla discussione
È tragico scoprire che, per quanti individui vogliano contribuire alla causa sarda, la maggior parte di loro è cresciuta nel brodo di cultura del pensiero unico dominante, e per quanto si voglia intervenire per cambiare lo Status Quo, alla fine si ricade sempre sugli stessi modelli, decisi dalle èlite del pensiero dominante.
Come ci hanno insegnato i vari Profeti del sistema partitocratico-parassitario italiano non occorre conoscere il funzionamento delle istituzioni e dell’economia è sufficiente scimmiottare ciò che si è visto negli anni, e non stiamo parlando degli ultimi vent’anni ma di ciò che ci è stato trasmesso a livello di DNA dalla Corona spagnola.
Le istituzioni create secoli fa, avevano il compito di impedire qualsiasi forma di arricchimento imprenditoriale, perché soggette al controllo di un apparato, legato al sistema burocratico parassitario, studiato oltremare, che cooptava o vendeva a personaggi, disponibili a mantenere lo Status Quo in essere.
I dati statistici confermano che, le poche imprese (locali) redditizie in Sardegna abbiamo il loro sbocco naturale fuori dalla Sardegna, oppure dipendano dai flussi di turisti, per tutto il resto è impedito, quantomeno soffocato, l’esercizio di libera impresa per il mercato interno.
Se non è la burocrazia parassitaria a uccidere l’impresa, lo sono il peso degli interessi che ruotano intorno alle èlite locali, che decidono chi far vivere (e taglieggiare) o far abortire, per mezzo del sistema di convivenze.
Solo gli Hidalgo possono spartirsi le risorse disponibili o impedire che altri lo facciano.
L’attuale sistema economico si è generato dalle ceneri della Fenice spagnola aragonese, arricchita grazie alla spoliazione di risorse altrui, mantenendo ben salde le redini delle istituzioni e di conseguenza del potere.
Sentire ancora elogi nei confronti di questo tipo di Europa, assolutista, estrattiva e ostile alle libertà dei popoli, conferma il mio sospetto su quanto poco si conoscano le istituzioni, il funzionamento di un economia e su quali leve agire per generare sviluppo e un benessere quanto più diffuso.
Come si può sperare in un cambiamento se le stesse istituzioni sono controllate da un certo numero di persone NON elette dai cittadini?
Come pensiamo di risolvere i problemi finanziari e bancari se il controllo del sistema Bce e Banca d’Italia è sottomesso alle decisioni dei grandi azionisti privati che agiscono di conseguenza, con norme che impediscono una libera concorrenza e restringimenti tali che a disporre dei flussi di cassa sia la stessa èlite dominante?
Lo stesso mantra della Sostenibilità è figlio diretto delle èlite sostenuto dai radical chic del politicamente corretto.
Insomma, con questa mentalità non possiamo andare da nessuna parte, ma aspettare che la Sardegna si desertifichi definitivamente.
Per concludere, solo un dibattito pubblico sul futuro della Sardegna, mettendo di fronte le idee e le diverse possibili soluzioni, potrà permette alla maggior parte dei sardi di comprendere, non dei post sterili e privati della possibilità di in un confronto pubblico, altrimenti ci comporteremmo ne più ne meno come le èlite che grazie alla stampa di regime, sostengono il pensiero unico.
Pensare altrimenti è l’unico modello a cui ispirarsi, senza è come sostenere inconsciamente il pensiero unico.
Condivido quasi tutta l’analisi di Seri, l’unica speranza che ci rimane e’ uscire da questo sistema di collusioni politiche che hanno come obiettivo tenere basso il livello economico e sociale della nostra regione, il controllo finanziario basso per non far crescere niente e nessuno. Attenzione questa e’ una guerra!… e non se ne esce senza feriti!…
A parte l’inizio (da applauso a scena aperta la frase “È opportuno continuare ad inseguire l’indipendenza, senza aver dimostrato di saper gestire e coltivare l’autonomia?”) l’articolo è deprimente. L’Europa “delle regioni” qui tratteggiata sembra una congerie affastellata di riserve indiane circondate da colossi a ben altro preparati. Ai commentatori che chiedono il “dibattito pubblico” ricordo che fra questo ed una riunione di condominio litigioso la strada è molto breve e, in Sardegna, veramente soltanto una passeggiata digestiva. A tutti proverei a ricordare solamente cosa sia l’uomo e quale sia la sua natura: fra attori piccoli, frammentati, abbandonati a sé stessi e pigri ed altri grossi, coesi, attrezzati e motivati è solo questione di tempo e non dovrebbe essere difficile capire come potrebbe andare a finire…
Per chiudere, la ricerca della sostenibilità (quando non addirittura della “Sostenibilità” – caspita!) svincolata da percorsi di crescita è una foglia di fico davanti all’incapacità di crescere dell’homo occidentalis, bolso ed a crescita zero, quando non addirittura una mera condanna all’estinzione. Al di là del rispetto legittimo verso le opinioni di qualsiasi uomo pensante, secondo me quelle di Serge Latouche esprimono un’ideologia elitaria ed aberrante: quella della fine dell’umanità. Se la sola alternativa percorribile a modelli economici dissennati e sbilanciati è quella di Latouche siamo solo dei lemming evoluti, lanciati verso il precipizio della nostra estinzione.
Cun salude,
KK
E quindi?
Quindi, se i coloni americani avessero insistito a seguire il modello del Regno Unito oggi sarebbero una nazione d’oltremare assoggettata politicamente ed economicamente e sottoposta al rigido controllo del Regno Unito.
Se ancora non comprendiamo, che nelle Colonie Americane sono intervenuti fattori che messo al posto la libertà individuale e la crescita economica, non possiamo comprendere il perché della reazione del variegato popolo americano.
Oggi in Sardegna non sono presenti reazioni da parte degli illuminati locali, per lo più invischiati a mantenere serrati i ranghi del potere dispotico, per non perdere i privilegi parassitari acquisiti.
Questa è la terra delle occasioni perdute, perché da qualunque parte la si guardi, tutti la vogliono mantenere come una riserva indiana, sia gli indipendentisti che i sostenitori del sistema partitocratico parassitario italiano, e ancor di più i tecnoburocrati dell’Unione europea.
Ho scritto queste righe ponendo/mi delle domande e aspettandomi delle risposte o quantomeno delle proposte alternative. Di analisi son pieni gli scaffali. Gli illuminati stanno in paradiso.
Grazie
Comunque: “e quindi?” era rivolto al commento di KKotik. Il tuo primo commento lo condivido, in linea di massima, e mi ha dato spunti interessanti. Ti ringrazio ancora.
Se è certamente corretto parlare di Europa come risposta ai problemi che ci assillano (sono dalla Sua parte, sig. Sergio) non ritengo essere tale parlare di Europa come serie di fochiles di dimensioni microscopiche, se visti su scala mondiale, uniti nella “decrescita”, specie se unilaterale.
La soluzione a questo non è però la crescita come l’abbiamo vista oggi – sebbene sia certo meglio questa del nulla cui ci condannerebbe l’adesione unilaterale alle facezie del mitico Latouche – ma una crescita bilanciata e sana, attenta allo spreco, in un ambito multilaterale e di reciprocità. Altri paesi ed altri attori mondiali hanno già tolto il terreno sotto i piedi di gran parte del nostro settore produttivo, perché aveva smesso di essere tale. Bisogna continuare ad esplorare TUTTE le opportunità che abbiamo, come Isola, come Paese e come Unione Europea: sono molte di più e molto migliori dell’adagiarsi sugli otto punti del sig. Latouche, fenomeno luddista mascherato da nostalgia del bel tempo andato. Bel tempo andato in cui la gente viveva meno e peggio, schiattando a ogni età per colpa di germi che adesso non ammazzano nessuno, in cui nelle case i bagni erano fuori dalla porta e le fogne in molti posti a cielo aperto. Bel tempo andato in cui le città europee puzzavano molto più delle attuali ma – signor mio! – si mangiava un’insalata che sapeva di campo o uova che sapevano di uova, prendendosi subito dopo la salmonella. Latouche crede di risolvere i problemi del mondo decapitando il benessere invece che cancellando il malessere. L’uomo è per sua natura competitivo e non cambieremo oggi la sua natura, ma noi – oggi – stiamo diventando sempre più vecchi e bolsi e abbiamo cercato di cancellare ogni asprezza dalla nostra sempre più lunga vita, dimenticando che chi si ferma è perduto.
Quindi, egregio sig. Sergio, a noi serve crescere. Certo, dobbiamo farlo rispettando chi eravamo, chi siamo e la natura che ci circonda, ma senza chiuderci in una riserva indiana pretendendo che gli altri facciano finta di nulla e ci lascino stare nel nostro comodo brodino. I libri dicono che – forse – eravamo i popoli del mare; appare che abbiamo deciso fosse meglio restare piccoli ed invidiosi perché abbiamo lottato contro chi era incomparabilmente più forte sul terreno dov’era tale. In Sardegna era sorta un’azienda leader nell’informatica, che adesso si sta impegnando allo spasimo per perdere la corsa. Vogliamo riappropriarci delle coste per lasciarle a chi e a farne cosa? Per far gl’interessi di qualche palazzinaro, cementificandole e facendone seconde case (vuote) come in troppi posti, anche in Italia? La Sardegna ha spazi da offrire e opportunità da sfruttare perché sta messa dov’è e ha quel che ha. Questo dovrebbe far studiare la gente su cosa si possa fare che renda abbastanza per farci campare e stare meglio, assicurando questo ai posteri. Agropastorale? Alta tecnologia? Artigianato? Cultura? Espansione della stagione turistica oltre i due mesi di luglio e agosto? Servizi online? Terziario? Queste sono aree in cui si può lavorare, ma bisogna investire seriamente soprattutto sulla formazione, senza lasciare che i professori passino il tempo fuori dalle aule a lamentarsi di quanto lo Stato padrone sia stato cattivo, dimenticando che finora resta solamente quello Stato a pagarli. Qualsiasi cosa serva o vogliamo rivendere, ricordiamoci che il costo che dovremo sostenere per trasportarla fuori dall’Isola non dovrà incidere eccessivamente sul prezzo di vendita, per non intaccare il margine di utile e crescita. È difficile? Certo. Ma questa dovrebbe essere la sola strada praticabile. Dall’altra parte c’è solo l’estinzione.
Molti – anche e soprattutto sardi – vogliono mettere quest’Isola sotto una campana di vetro per lasciarla ai posteri. Non sarebbe male, forse. Peccato che abbiano deciso di farlo con un sistema particolare: facendo sì che fra quei posteri non ci siano né i figli, né i nipoti dei Sardi. Allora sarà forse risolta la questione sarda…
Cun salude,
KK
Ti ringrazio Cristina, purtroppo mi era sfuggito l’intervento di Rita Cannas che ho trovato molto utile, interessante e condivisibile. Ringrazio anche KKotik e Roberto Seri per i loro contributi ad un dibattito che si fa interessante. In sintesi, mi pare di capire che tutti concordiamo su un punto: se si vogliono cambiare veramente le cose in Sardegna bisogna smetterla di ricorrere a schemi (politici, programmatici, filosofici, culturali, etc..) PRECONFEZIONATI (che alla fine, per quanto validi, si tramutano regolarmente in pericolosi slogan) e, armandoci di pazienza e buona volontà, costruire il nostro proprio schema, cercando di applicare alla nostra realtà il meglio che c’è. É Così?
Quando ho scritto di sostenibilità, decrescita, indipendenza, autonomia, etc.. sottintendevo sempre la necessità di “ispirarsi” a dei principi, a dei modelli, a delle buone prassi, a degli esempi virtuosi, etc… Ma MAI cadendo nel grave errore, in cui ci dibattiamo da tempo, di applicarli ad occhi chiusi così come sono, forse per sentirci “alla moda”, senza mai cercare di capire se facciano al caso nostro o se sia invece il caso di ADATTARLI alla nostra realtà, alla nostra identità, alla nostra cultura. Ho apprezzato e, in parte, condivido le riflessioni di KK ma ritengo che, nel momento in cui i principi della competitività, della crescita, dello sviluppo, della decrescita, della sostenibilità, etc.. si calano nella realtà della nostra Isola, si apra un fronte che merita un dibattito più approfondito e aperto possibilmente anche ad altri volenterosi/e con cervello ed esperienza. Si tratta, in sintesi, del tentativo di costruire uno – o alcuni – approcci economico-programmatici efficaci, concreti, giusti – per tutti – e misurabili, su cui fondare una nuova proposta politica per la Sardegna. Obiettivo, mi pare, anche del blog che ci ospita.
Ringrazio io Lei: l’educazione e la signorilità che mostra meritano ogni rispetto.
Ateros annos menzus, cun salude,
KK
ho letto con attenzione l’articolo, ma alla fine della lettura mi resta sempre in gola quel qualcosa di indefinito, come succede sempre quando qualcosa che hai mangiato non ti è poi dispiaciuto cosi tanto, ma neppure entusiasmato………basta a titolo esemplificativo, l’annoso interrogativo, rispolverato ogni volta dagli Autonomisti/Dipendentisti, per troncare sul nascere ogni discussione sulla sostenibilità o meno della Indipendenza Sarda…..Ê opportuno continuare ad inseguire l’indipendenza, senza aver dimostrato di saper gestire e coltivare l’autonomia?…….mi verrebbe da chiedere all’Autore : ma secondo Lei, il fatto che un isola al centro del Mediterraneo sia presa per la gola ogni estate da un imprenditore napoletano che è diventato monopolista nei mari sardi, grazie ad una legge del Parlamento italiano, nel quali erano presenti i più fervidi sostenitori dell’Autonomismo sardo ( che non alzarono un dito quando quella legge fu concepita, e che non hanno mosso un dito in seguito quando si sono accorti del danno che avevano fatto ) è SOSTENIBILE o non lo è…..??? proviamo ad immaginare per un attimo, che improvvisamente ci sia un sussulto di dignità fra i nostri deputati e senatori, e si sveglino improvvisamente per chiedere di ridiscutere immediatamente tutta la questione Cin………mi spiega cortesemente in quale maniera ” i nostri ” potrebbero avere una sola possibilità di riuscita, in un parlamento nel quale di fatto contano ZERO rispetto a quelle che sono le forze in campo che rappresentano interessi di lobby che hanno cuore e testa in altre regioni italiane e che dunque potranno sempre contare su un peso elettorale ben più significativo di quello sardo……….?????
Condivido. Occorre lavorare a un nuovo approccio ma occorre mettere in moto cervelli disinteressati. Cercasi patrioti! Comunque mi chiedo come mai nessun leader indipendentista partecipa al dibattito e interviene sulle tue domande. Neppure quelli che in Sardegna si riempiono la bocca di decrescita e sviluppo sostenibile…le cose sono due, o hai detto qualcosa di scomodo ma hai ragione e quindi non vogliono ammetterlo (a sa sarda), oppure, tu non sei del giro loro e non vogliono quindi legittimarti degnandoti della loro considerazione.
Ehh, caro Antonio, la stessa sensazione, forse di amaro in bocca, che è rimasta a me dopo aver terminato la nota! Purtroppo, essendo ospite di uno spazio virtuale non mio e volendo evitare lunghe e noiose disquisizioni che farebbero scappare i già pochi interessati, non posso sviluppare il discorso come vorrei… In merito alla domanda che poni posso risponderti con un’altra domanda? Le cose che evidenzi sono accadute e accadono solo da noi? Lo Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna è, se non erro, del 1948. In Spagna, dal 1939 al 1975 “governava” Francisco Franco che, mi pare, non fosse proprio favorevole all’autonomia regionale e, figuriamoci, all’indipendenza! I membri dell’allora movimento nazionalista basco furono perseguitati, costretti alla clandestinità o all’espatrio e l’uso dell’Euskara proibito. Franco cancellò l’autonomia della Catalogna e il catalano fu dichiarato illegale…Vogliamo paragonare quelle – e altre – realtà con una Regione che ha avuto diversi presidenti della Repubblica? Forse c’è qualcosa che non funziona e che non si ha il coraggio di affrontare. Condivido il commento successivo al tuo, quello di Carlo. Occorre lavorare a un nuovo approccio e coinvolgere cervelli onesti e disinteressati, nel senso che non vedono la Politica come un investimento per il proprio futuro. Anzi, io ritengo che vista la situazione è dovere di ciascuno di noi fare la propria parte! Ha ragione Noam Chomsky: “Not one of us who has been trained to think critically and to write lucidly has the option to remain silent now.”. In riferimento al commento di Carlo…beh…Sappiamo tutti benissimo di chi è la ragione! E poi, sinceramente, l’unica “legittimazione” che cerco è quella di persone oneste e ragionevoli che, con il loro contributo, mi accompagnano nella ricerca di un continuo miglioramento. Di me stesso e della realtà che mi sta intorno.
In merito a questa mia nota, invito chi non l’avesse ancora fatto a leggere due interessanti contributi. Quello di Maurizio Onnis, pubblicato nello stesso Blog (https://www.anthonymuroni.it/2017/05/02/indipendentismo-mondo-reale-maurizio-onnis/) e quello di Anthony Muroni, postato su FB e che riporto qui sotto. Interventi incisivi, onesti e concreti che condivido. Io credo che la direzione è quella giusta.
Adesso occorre iniziare a lavorare sul “come”, sulla rotta e sulla flotta da utilizzare. Sono purtroppo convinto che NON si possa percorrere la stessa rotta di sempre. È piena di squali, di insidie ed è infestata dai pirati. Occorre tracciarne un’altra. E non si possono usare gli stessi vascelli che, purtroppo, sono usurati e ormai da rotamare, a causa del pessimo modo in cui sono stati trattati sinora da pessimi capitani.
Dalla Pagina FB di Anthony Muroni
L’altro giorno parlavo con un mio amico molto molto molto indipendentista.
Un amico, una persona che stimo e da cui mi auguro di essere stimato.
Il tema era proprio quello dell’indipendenza.
Del discorso che a volte ho fatto in alcuni eventi pubblici, legato al fatto che l’indipendenza (nel senso comunemente inteso di Repubblica di Sardegna) non è prospettiva di oggi, di domani o di dopodomani.
A me è sempre sembrata persino un’ovvietà.
Certo, il mio orizzonte è quello dell’autodeterminazione e dell’indipendenza.
Ma è un orizzonte dal quale ci separa un lungo percorso che occorre immediatamente iniziare.
Il mio amico, dicevo.
Siamo finiti a parlare di oggi, di domani, dell’anno prossimo, del 2019, del 2024 e del 2050.
E siamo tornati a chiederci cos’è l’indipendenza.
Ho ragionato a voce alta: “Pensa ai metodi. Pensa alla sanità, al rapporto Regione-enti locali, al sistema di enti e agenzie. Pensa a tutto questo liberato dal sistema clientelare, senza deroghe. Pensa non solo al fatto che sarebbe onesto ed etico ma pensa a quanto sarebbe educativo, culturalmente. Questo non ti sembra un percorso di indipendenza?”.
E poi a servitù militari, trasporti interni e continuitá, entrate e leva fiscale: “Pensa ai mille tavoli inutilmente e strumentalmente aperti con lo Stato. Pensa a un presidente della Regione e a una maggioranza in Consiglio realmente liberi dai partiti romani. Pensa a cosa sarebbe mettere in una stanza i cinque migliori avvocati ed esperti su ognuno di questi temi e farsi mettere in condizione – leggi alla mano – di aprire vertenze politiche fondate su diritti reali mai rivendicati. Pensa al cambio epocale di non derogare mai, se non nell’interesse della Sardegna. Questo non ti sembra un percorso di indipendenza?”.
La nostra campagna: “Pensa a quanti soldi sono arrivati dall’Ue negli ultimi trent’anni e allo stato delle nostre campagne, della nostra zootecnia e della nostra agricoltura. Poi ripensale inserite in un organico piano di infrastrutturazione, formazione, accompagnamento sul mercato. Non è questo un percorso di indipendenza?”.
Scuola, cultura e istruzione. “Pensa a un bilancio regionale “pettinato” voce per voce, al fine di reperire ogni singola risorsa da investire su scuola, cultura e istruzione, con tutti i conseguenti benefici sociali, culturali e – anche e soprattutto – economici. Questo non ti sembra un percorso di indipendenza?”.
E poi i cittadini: “E poi pensa all’effetto moltiplicatore che le pratiche di buongoverno possono avere nel profondo dell’opinione pubblica. Pensa a cosa vuol dire avere un intero popolo dalla tua parte quando sarai sottoposto alle pressioni di chi vuole resistere al cambiamento. Questo non ti sembra un discorso di indipendenza?”.
Ecco, questo è quello che io intendo per “l’indipendenza non è una questione di oggi”.
#fortzaparis
P.s. Il mio amico ha risposto “Sì a ognuna delle mie domande”.