“E’ diverso se a gestire la nostra terra, promuoverla, accompagnarla verso il futuro siamo noi con la nostra testa, con la nostra intelligenza, con la nostra cultura, con le nostre proverbiali tenacia e determinazione, con la volontà di continuare a viverci piuttosto che affidarci a chi arriva con l’orizzonte temporale di un fondo di investimento oppure con progetti di cementificazione che in cambio di pochi spiccioli desertificano un inestimabile patrimonio”.

Questo si poteva leggere nel programma della giunta regionale di Renato Soru nel 2004. Sembra passato un secolo, una stagione di speranze si è consumata tra non pochi errori, ma non è accettabile che su quegli obbiettivi possa scendere l’oblio dell’indifferenza.

E sopratutto non è pensabile che sia venuta meno, in tutti questi anni, quell’idea di Sardegna che, attraverso strumenti quali il PPR e la legge urbanistica, si voleva preservare, nella consapevolezza che la nostra isola è una terra di struggente bellezza: un bene che una volta consumato non può essere reintegrato perché per crearlo i nostri padri hanno impiegato millenni.

Il paesaggio è una peculiarità della nostra identità. Conservare e gestire responsabilmente il paesaggio “prodotto del millenario lavoro dell’uomo su una natura difficile, significa conservare l’identità di chi lo abita. Un popolo senza paesaggio è un popolo senza identità e memoria”. Una terra, il suo popolo, sono il suo paesaggio, la sua cultura, la sua lingua, la sua storia, la sua musica.

Ecco perché non dovrebbe essere consentito a nessuno di continuare a consumare il nostro patrimonio ambientale e paesaggistico. E non dovrebbe essere consentito neanche a questa giunta regionale che si definisce di centro sinistra, sovranista e, pare, anche indipendentista.

Questo governo regionale si accinge a fare quello che alla destra non era riuscito: smantellare parti importanti del PPR. Si è iniziato con l’azzeramento della Conservatoria delle Coste, si è continuato con la sostanziale accettazione del “Piano casa” voluto da Cappellacci ed ora si completa l’opera con il DDL sul “Governo del territorio”. Ancora una volta il consumo del territorio sembra essere l’idea dominante.

Come è possibile tradire con tanta leggerezza uno degli strumenti normativi più efficaci di tutela del nostro patrimonio costiero contenuti nel PPR? Per di più spacciandolo per una grande idea: per allargare la stagione turistica sarebbe sufficiente “allargare” gli alberghi, consentendo di aggiungere nuove volumetrie nella fascia costiera dei trecento metri dal mare.

Una norma che sembra fatta apposta per avvantaggiare il turismo per ricchi, i grandi alberghi, gli interessi dell’emiro del Qatar in Sardegna.

Nel frattempo, con una apposita delibera, si è provveduto a rendere inefficaci le fastidiose interferenze di qualche coraggiosa Sovrintendenza e ad eliminare gli altrettanto fastidiosi lacci e lacciuoli che potrebbero intralciare i progetti gasieri, escludendo dall’operatività del vincolo paesaggistico le grandi aree industriali ricadenti nella fascia costiera.

E allora perché stupirsi se l’iniziativa della giunta ha trovato il sostegno dei cementificatori di professione, della Confindustria, degli ordini professionali e di quanti non perdono occasione per plaudire a quei volenterosi che si impegnano a smantellare quel che rimane della politica ambientale, paesaggistica ed urbanistica della giunta Soru.

Il rischio è che si possano vanificare le conquiste faticosamente raggiunte e ripristinare il vecchio ordine messo in discussione da un visionario quanto innovativo riformismo. Un balzo all’indietro che riapre le coste sarde al pericolo cementificazione e che rischia di compromettere irrimediabilmente il nostro straordinario patrimonio ambientale e paesaggistico.