Ci sono gesti che cambiano il mondo, che restano nella storia. Ci sono gesti che diventano il trampolino di lancio per questioni complesse e le portano sulla bocca di tutti.
“- Mamma perché quel signore ha fatto così?
– Per questo e quest’altro motivo…”
Incuriosiscono, creano dibattito, aprono nuovi orizzonti.

Chi può dimenticare il pugno alzato col guanto nero di Tommie Smith e John Carlos alle olimpiadi di Città del Messico nel 1968? Un gesto che ha moltiplicato nello spazio e nel tempo la lotta contro la discriminazione razziale negli Usa.

Chi può ignorare il messaggio di un minuscolo bambino che lancia una pietra contro un carro armato sionista? Una innocua, ridicola pietra che diventa un macigno mediatico contro tutti i carri armati coloniali.

Nella nostra civiltà dell’immagine e dell’informazione sono infiniti gli esempi.
E’ questo che ho proposto ai sindaci presenti, sabato scorso a Gonnosfanadiga alla manifestazione contro il termodinamico.

Un gesto. Chiaro, inequivocabile, clamoroso.
“…Colgo l’occasione per chiedere ai sindaci di dare anche loro un segnale forte, di togliersi di dosso la bandiera di chi è contro la nostra volontà, di chi è contro la volontà dei Sardi, di chi vuole imporre ai Sardi, contro la loro volontà, una decisione antidemocratica, impositiva e ingiusta”

Questo è stato l’invito nel filmato poi pubblicato sul mio profilo facebook..

Mi hanno riferito che una sindaca barbaricina, che questo inverno ha provato sulla sua pelle l’indifferenza delle istituzioni nei confronti delle comunità in difficoltà, ha commentato “Io non l’ho nemmeno portata”. Un’altra sindaca, approvando l’invito, se l’è tolta. Un sindaco ha detto “Io non me la tolgo di certo”.

Liberissimi tutti e tre di aver fatto ciò che hanno reputato più opportuno: è alla loro coscienza che devono dare risposte, non certo a me.
Nelle ore successive ci sono stati diversi commenti su facebook, con altri che hanno portato un po’ oltre il mio invito, arrivando a fornire ai sindaci quasi un vademecum di come dovevano scendere in piazza ecc. A mio parere questo va un po’ troppo oltre, nel senso che (oggi!) non posso realisticamente pretendere che tutti i sindaci siano indipendentisti o che ripudino l’Italia. E diciamo che un po’ oltre sono andate anche le risposte da parte di alcuni uomini delle istituzioni, che hanno scomodato anche esoterismi e pantaloni di velluto in polemiche di botta e risposta un po’ esagerate e fuori luogo che travalicano di gran lunga la proposta iniziale.

Io inviterei un po’ tutti a riavvolgere il nastro e a riportare tutto all’inizio.

Non ho mai “preteso” di giudicare i sindaci che indossano o non indossano la fascia tricolore, e non sono nessuno per poterlo fare. Ho solo invitato a fare un gesto clamoroso.

Ho implicitamente chiesto che loro, che rappresentano le comunità a cui questo Stato nega ogni dignità, a cui vuole tappare la bocca, a cui vuole imporre con prepotenza un impianto che loro hanno rifiutato, a cui vuole espropriare la terra fertile per produrre l’energia per gli industriali chiamandola “pubblica utilità”, si togliessero di dosso il simbolo che rappresenta quello Stato e restassero presenti, insieme a noi, a rappresentare quelle comunità che questo Stato vuole danneggiare.

Ho chiesto quindi di dimostrare platealmente che loro erano lì come istituzione per rappresentare gli interessi delle loro comunità, criticando quello Stato che prepotentemente calpesta quegli interessi, rifiutando di poter stare sia dalla parte del danneggiato sia dalla parte del danneggiante.

Qualcuno ha provato a disquisire sulla differenza tra protestare contro governo e Stato, asserendo grande diversità concettuale. La stessa più o meno che porta Pigliaru a dire che non può immaginare uno Stato che va contro i nostri interessi. Una condizione che, governo dopo governo, decennio dopo decennio, alcuni non riescono a immaginare ma noi Sardi conosciamo bene.

Ecco, comunque, in definitiva queste righe vogliono essere una mano tesa e conciliante, la spiegazione che tra la piazza e i rappresentanti delle comunità non c’è rottura ma profonda collaborazione, apertura, stima reciproca. C’è stato un invito, solo un invito, a fare un passo avanti clamoroso, un gesto, un simbolo di rottura tra interessi opposti e contrastanti tra le comunità e uno Stato schierato al fianco delle multinazionali.

Questo invito da alcuni è stato seguito, da altri no. Pazienza, non è successo niente. La lotta va avanti in maniera unitaria, mettendo insieme sensibilità e opinioni diverse, ruoli e responsabilità differenti, nella certezza che i gesti di rottura non devono materializzarsi tra noi, ma solo tra il popolo sardo e chi non rispetta i suoi interessi.