Il Sardinian Socio-Economic Observatory lancia l’allarme: entro sessant’anni la Sardegna perderà il 34% della sua attuale popolazione e si attesterà sul milione di abitanti, diventando l’isola europea (esclusa l’Islanda) con la minore densità di popolazione.
Pur essendo privi delle basi scientifiche necessarie allo sviluppo di un’analisi seria in materia, e dunque con estrema umiltà, presentiamo un ragionamento che collega la questione dello spopolamento (e dell’emigrazione giovanile) alla struttura attuale dell’università in Sardegna.
Il punto di partenza è una ricerca dell’ERSU Cagliari del 2012 (qui), che è stata ripresentata però qualche settimana fa suscitando un po’ di dibatitto. Gli autori della ricerca dicono: “è emerso che gli universitari a Cagliari spendono in media 607 euro al mese. In totale: circa 8 milioni al mese e quasi 100 milioni all’anno se si considerano i fuori sede”. Non intendiamo entrare nel merito dei singoli aspetti della ricerca, tutti molto interessanti e che potete scaricare da un link alla fine della pagina dell’ERSU richiamata più in alto. Sottolineiamo solo che la maggior parte degli studenti iscritti all’Università di Cagliari sono fuorisede.
Ora, cosa significa, fra le altre cose, tutto questo? Significa fondamentalmente che ogni anni 100 milioni di euro vengono drenati dalla ricchezza di tutto il resto dell’Isola e trsferiti a Cagliari. La stessa Cagliari che in quanto città capoluogo (ormai metropolitana) ha un maggior accesso ai finanziamenti regionali e nazionali, la stessa Cagliari che per il suo peso demografico ha una maggiore rappresentazione degli interessi all’interno del Consiglio regionale. Inoltre una cifra variabile tra i 15 e i 20 mila giovani si allontana dal proprio paese o città e si trasferisce a Cagliari per almeno tre anni, e questo significa una sottrazione di risorse culturali e lavorative enorme.
La considerazione di questi fatti ci sembra imprescindibile nell’ambito dell’analisi dei problemi dello spopolamento, perché questo fenomeno si verifica su due livelli: quello generale della Sardegna e quello particolare, che vede sul lato in guadagno Cagliari e su quello in perdita tutto il resto dell’Isola. E non è un problema solo dell’interno, anche se lì è sicuramente più grave; senza bisogno di dati, ci rendiamo conto da soli che a Oristano siamo sempre di meno, fra chi parte fuori per lavoro e chi per studiare.
Arriviamo dunque alla proposta, che forse potrebbe essere definita meglio uno spunto di riflessione. La presentiamo con umiltà e senza alcuna velleità di fornire la ricetta contro lo spopolamento e l’impoverimento della Sardegna. Siamo poco più di un milione e mezzo e, se non fosse per il pessimo livello del sistema di trasporti, il territorio che occupiamo sulla terra non è così spropositato e gli spostamenti interni non sarebbero così impraticabili. Sia in una prospettiva indipendentista, che in una autonomista, dobbiamo imparare da ciò che abbiamo subito sulla nostra pelle: il centralismo è un male, l’indipendenza con Cagliari al posto di Roma è un obiettivo non degno di essere perseguito, il potere va diffuso quanto più possibile sul territorio e ogni comunità deve potersi autodeterminare. Nel caso dell’Università potrebbe sembrare che la presenza di due atenei sia un antidoto contro il centralismo, ma se vai a vedere nel concreto ti accorgi che quegli atenei, rappresentanti fondamentalmente degli interessi delle città in cui sorgono (Cagliari e Sassari), rafforzano anziché indebolire la condizione di marginalità del resto dell’Isola: progetti di ricerca, investimenti, ricaduta e indotto economico riguardano quelle due grandi città. Esempio lampante è che nelle ultime settimane solo una forte mobilitazione ha portato la rettrice dell’Università di Cagliari a rinunciare alla chiusura dei corsi tenuti presso il Consorzio UnO di Oristano, chiusura che avrebbe implicato l’attivazione di corsi uguali ovviamente a Cagliari.
Crediamo che la creazione di un ateneo unico, a determinate condizioni, potrebbe essere un modo per invertire la tendenza allo spopolamento e all’impoverimento della Sardegna. Quali sono queste condizioni? Intanto che l’Ateneo non sia sotto il controllo del Ministero, ma sotto quello della Regione; Regione che, con le opportune modificazioni della legge elettorale, deve garantire una sovrarappresentazione dei territori che non rientrano nell’area metropolitana di Cagliari. Inoltre quest’ateneo unico della Sardegna dovrebbe essere diffuso, come funziona adesso a Cagliari, ma in grande su tutto il territorio regionale: determinate città (pensiamo a Oristano, Olbia, Nuoro, Iglesias, o ad Alghero che già adesso ha la facoltà di architettura dell’Università di Sassari), che funzionano da poli di attrazione per il territorio circostante e che hanno le caratteristiche infrastrutturali adatte, dovrebbero ospitare alcuni dei dipartimenti universitari. Non parliamo di doppioni, per fare un esempio se a Oristano ci metti il dipartimento di Studi Umanistici, chi vorrà fare lettere si trasferirà a Oristano; se a Nuoro ci metti Scienze della Formazione, chi vorrà farlo si trasferirà a Nuoro, e così via.
Siamo nel Terzo millennio e il discorso che andare a studiare a Cagliari è un passaggio fondamentale della vita di un giovane sardo, che gli permette di ampliare le proprie vedute e di iniziare a conoscere il mondo non sta più in piedi. L’Erasmus, la maggiore facilità nel muoversi, le nuove tecnologie sociali smontano completamente questo discorso. Una prospettiva come quella che abbiamo tratteggiato sopra probabilmente comporterebbe una rivitalizzazione, culturale ed economica, dei territori che oggi attraversano la crisi demografica. Culturale perché i progetti di ricerca che nascono nelle università potrebbero essere maggiormente centrati sulle esigenze del territorio rispetto a quanto lo siano adesso nelle sedi cagliaritane e sassaresi, ma anche perché la presenza di giovani studenti comporta sempre un arricchimento della vita culturale di un luogo; economica perché come abbiamo visto l’indotto dei fuorisede nella sola Cagliari è enorme e la sua redistribuzione nell’intero territorio isolano non potrebbe che produrre vantaggi per le altre regioni sarde. Siamo sicuri che lo spopolamento e l’impoverimento non si possono combattere solo con misure di questo tipo, e non è neanche detto che siano effettivamente risolutrici, ma chiediamo in primo luogo alle associazioni e ai collettivi universitari di provare a ragionare sulla questione che stiamo ponendo e rispondere alla nostra proposta.
* collettivo Furia Rossa – Oristano
Ateneo unico e diffuso contro lo spopolamento della Sardegna
Ho letto questo articolo con grande interesse. Ogni sforzo di idee per combattere lo spopolamento ha un valore e deve esssere accolto con sguardo curioso e mente aperta. Ne ho apprezzato lo stile e con la stessa apertura al dialogo voglio condividere il mio pensiero.
Vado in ordine:
1) Strategie
Esiste un problema strategico delle università in Sardegna.
Oggi il sistema universitario sardo si presenta frantumato in due atenei di piccole dimensioni, deboli nella competizione con quelli italiani; quasi insesistenti nel contesto europeo. Pochissimi sono i settori di eccellenza, spesso sottoutilizzati, privi di strutture adeguate e male organizzati. La Sardegna non riesce ad attrarre studenti stranieri con la qualità della sua formazione ma solo con il programma Erasmus. Abbiamo bisogno di coordinare i due atenei e definire dei settori strategici su cui la Regione dovrà investire.
2) I doppioni.
Sassari e Cagliari che hanno delle stesse facoltà che si sovrappongono. Un problema, perche indeboliscono la Sardegna nel suo complesso e la capacità di realizzare innovazione e ricerca di qualità. Unificare ed evitare inutili ripetizioni può migliorare il sistema universitaio sardo e offrire una offerta fomativa di qualità -concorrenziale rispetto a quella italiana- che eviti che i giovani si spostino per studiare in europa a causa della scarsa qualità che si attribuisce alla nostra università. Meglio avere pochi corsi ma di qualità.
3) Il mondo.
La Sardegna ha la necessità di attirare nuovi residenti: cittadini stranieri che decidono di trasferirsi in Sardegna. Questo vale anche per gli studenti. Da poco Cagliari ha vinto un premio come luogo di interesse per gli investitori nel settore delle start up. Offrire almeno due o tre indirizzi/corsi di alto livello nei quali investire tanto denaro, magari scegliendo docenti di fama, con strutture all’avanguardia, può attirare molti studenti stranieri. Penso al settore archeologico, alla tecnologia legata al turismo o al settore dell’ingegneria ecosostenibile. Settori che si legano naturalemente al carattere economico della Sardegna. Una relazione tra università e tessuto economico che la Regione potrebbe sostenere, ad esempio, con iniziative e leggi: investimenti sulla tecnologia turustica, sulla valorizzazione della civiltà nuragica o con delle leggi che impongano il consumo zero tutte le nuove costruzioni; ma è solo un esempio.
5) Policentrismo
Nel vostro articolo proponete una università unica e policentrica che distribuisca in tutto il territorio i veri corsi di laurea. Credo che in alcuni casi questa distribuzione possa avere un senso. Penso ad esempio che sarebbe molto sensato se Oristano ospitasse un corso di archeologia, visto il potenziale di Monte Prama; la Gallura uno sul turismo e Sassari le scienze politiche.
Ma il motivo per cui voi proponete una università sarda policentrica ha a che fare con lo spopolamento. Riconoscete anche voi che non una sola azione lo può risolvere e concordo con voi.
Penso però a cosa vuole uno studente universitario. Penso al fatto che per la maggior parte di ragazzi le esperienze universitarie non sono solo esperienze formative. Penso al fatto che andare all’università ha a che fare con la socialità, con lo sperimentare una indipendenza rispetto alla famiglia e -legittimamente- anche al divertimento. Mi chiedo allora se spostare da Cagliari le facolà possa veramente risolvere il problema. Potrebbe invece rendere la scelta di rimanere in Sardegna meno accattivante per i ragazzi sardi e pure per quelli stranieri che oggi scelgono la Sardegna. Credo che le nostre università diventerebbero molto meno attraenti. Certo, in alcuni casi, quando il legame col territorio ha un senso, può essere la scelta giusta; ma credo che, diversamente, potrebbe togliere prestigio al nostro sistema formativo.
6) Casteddajos papadores
Sappiamo che Cagliari e la sua elefantiaca struttura burocratica non godono di grande affetto fuori dai confini della “capitale”. Questo fastidio per la vita comoda che cagliari genera, in quanto centro politico e amministrativo della nostra terra, non viene da un pregiudizio o da una invidia superficiale. Cagliari ha il difetto di essere capitale di se stessa e non della Sardegna. Cagliari si basta. Hanno ragione le zone interne a pretendere attenzione e chiedere maggiore autonomia. Cagliari è un gigantesco elefante burocratico e con lei la Regione. Ma una Sardegna senza Cagliari srebbe ancora più a rischio spopolamento. Senza un grosso centro che garantisce servizi di alto livello la Sardegna sarebbe una regione inconsistente, più simile alla Basilicata o alla Corsica. Ricordiamoci che la città capitale ha tanti difetti ma è pure la nostra garanzia di non disperdere quelle tante persone a cui non basta la provincia; persone che lascerebbero la Sardegna. Una capitale raccoglie le migliori energie del mondo della cultura e delle arti, consente loro di dialogare, di incontrarsi e confrontarsi. Le città capitale hanno sempre svolto questo rolo, che non può esistere in un sistema policentrico: la Parigi della belle epoque o la Firenze rinascimentale sono solo degli esempi di capitali capaci di fungere da snodo/punto di incontro del sapere. “Alleggerire” Cagliari e Sassari potrebbe enfatizzare il problema dello spopolamento, non risolvero. Ciò vale per il sistema universitario (e ribadisco che spostare alcuni corsi -con criterio- in città minori si può e si deve fare) ma anche per il resto. Il problema dell Sardegna non sono le sue città, ne la sua capitale; il problema sono le zone interne che soffrono di una mancanza di strategia e quindi di prospettiva.
Cagliari ha la capacità di accogliere e di fare da ricettore, da snodo (hub); ma non dimostra di essere capace di restituire.
Se Casteddu ha dei pregi, lo deve ai suoi cittadini, quasi tutti nati in piccoli e bellissimi paesi della Sardegna; quando se ne accorgerà saprà che i Mamuthones non sono una pittoresca espressione di qualche bidda sperdia ma un pezzo di se. Se siamo capaci di far riconciliare Cagliari con la patria dei suoi abitanti, allora avremo dato alla sardegna una capitale capace di restituire ai territori ciò che dai territori ha ricevuto. Un po sta già accadendo: le bidde non sono solo luoghi di pastori ignoranti, ma posti dove si mangia tanto e bene, dove si passano finesettimana bucolici e, magari in futuro, si comprano case antiche da ristrutturare e trasformare in buen retiro. Il turismo sta portando in città i cibi e le bellezze artigianali de logu e pure i cagliaritani le riscoprono.
7) Per finire…
In conclusione voglio dire che la vostra proposta nasce dalle migliori intenzioni e può avere della applicazioni positive: federare gli atenei, usare le università come nodo strategico per lo sviluppo della Sardegna, creare una relazione tra università e territori/comunità locali. Il vostro può essere uno spunto, che io accoglierei -come avrete capito- in modo parziale. Insomma, la vostra proposta ha senso se attuata con buon-senso. Quanto alle mie, non sta a me giudicare.
Salude a totus!