Alle prossime elezioni si distribuiranno di certo anche fiori e cuoricini ma non sarà certo il cuore o la pancia ma il buonsenso a guidare il voto di preferenza.
È un grido di dolore e rabbia che viene da più parti del nostro Paese. È la voce dei dimenticati, quelle categorie umane e sociali che nel nostro Paese – e particolarmente al sud – non è possibile non vedere, perché sono individui, gruppi e talvolta intere comunità che incontriamo per strada e che respirano – come noi – l’aria inquinata delle città, che sentono e vivono il senso di abbandono di certi rioni, di certi sobborghi.
Prima ancora di una richiesta d’aiuto, il messaggio di questi individui, gruppi o comunità sarde dimenticate, è una domanda d’ascolto. Viene dai giovani che non trovano lavoro, viene dagli automobilisti che l’assenza di modernità sulle strade isolane a tratti si trasformano in trappole mortali. È la stessa domanda che viene da zone agonizzanti come Macchiareddu dove l’aria è irrespirabile, o da Portovesme dove l’Alcoa e l’Euralluminia o da Sarroch la Saras hanno sparso e sparge da decenni veleni su casa e campi obbligando i lavoratori a scegliere tra occupazione e salute. Oppure anche dal Sulcis – Iglesiente senza più industria e una desertificazione dilagante. Nulla di diverso si sente da Ottana a Portotorres dove dopo tanti annunci e promesse si sente crescere la tendenza alla xenofobia.
Sembra proprio che la nostra Sardegna non riesca ad uscire dalla crisi e ritrovare la strada della rinascita, dello sviluppo economico. E quello che preoccupa di più – al di là dei dati che avvalorerebbero questa condizione di precaria immobilità o ristagno prolungato che dir si voglia – è l’assenza di proponimenti o indicazioni su come uscirne e dove indirizzarsi. Ossia quale deve o potrebbe essere l’assetto sociale ed economico su cui puntare per il futuro.
Per il „paziente Sardegna“ le proposte del governo centrale, quali bonus vari o patti economici milionari, non sono che placebo, il falso farmaco per una guarigione profonda e durevole. Ben altra cosa è una competizione a livello regionale per elaborare e realizzare efficaci concetti per il concreto contesto sociale. Questo è significativo per la vita quotidiana.
La Regione ha suoni e sapori chiari, strutturali, preservano le caratteristiche dei suoi abitanti. Qui nasce lo spirito, la mentalità di una generazione. Si può discutere quale ambito di competenza sia pertinenza di Roma, Brüssel o se di livello globale, ma una cosa è chiara: La ricchezza del Paese e dell’Europa sono le Regioni. Nasce dal sud al nord, la si può usare o sperperare. Chi guida il territorio e gestisce la situazione deve farsi imputare anche lo stato in cui lo ha guidato, portato. Troppo comodo e troppo facile delegare gli errori sempre e solo a Roma, all’Europa, al mondo intero oppure al destino malvagio.
Cosa ha fatto la Regione in relazione a quanto poteva fare? Come è il ranking rispetto alle altre regioni? Chi sottoscrive il principio di non lasciare abbandonati i bambini deve anche fare investimenti per asili e scuole. Chi prescrive inclusione, si deve preparare di conseguenza e fare, realizzare le strutture necessarie. Altrimenti una debacle dolorosa per tutti è garantita.
Come stiamo in Sardegna con cambiamenti strutturali, insediamenti industriali e sviluppo energetico? Se indicatori chiave come scuola, formazione professionale, occupazione, apprendistato e investimenti in strade, ponti ed energia rinnovabile siamo il fanalino di coda, non possiamo poi lamentarci se in termini di disoccupazione, scarsa viabilità, debito e fallimenti societari occupiamo posizioni di primo piano.
Il risultato elettorale è non solo la valutazione del momento, ma è anche un assegno in bianco, una cambiale per il futuro, per questo è cosi importante conoscere i programmi, la visione dei piani, le intenzioni e le possibili configurazioni del potere.
Esclusionismo suona un pò come una malattia. In realtà si tratta di prevedibilità, fedeltà ai propri principi, contegno e dignità.
La linea della sinistra – cosi come quella della destra – deve essere chiara e vincolante, determinante. Solo cosi si potranno votare senza preconcetti/condizionamenti, stile politico e contenuti invece che secondo schieramenti , gruppi, correnti, correntine o correntoni.
Il clima politico attuale è alquanto incerto, irrequieto, le persone preoccupate e deluse.
Chi non crede più a niente e nessuno non è felice, ma alla ricerca di un (nuovo) legame politico. E questo viene spudoratamente sfruttato.
Una chiara linea della Regione, la nostra patria in senso buono, può offrire sostegno e identificazione a chi si sente sradicato.
La Sardegna ha molto di più che solo sole e spiagge. La nostra isola riflette la topografia evolutiva con la sua lingua, dialetti e caratteristiche non come folclore, ma come fattore di una volontà politica. Rafforza l’accettabilità, rende possibile la ricerca del consenso sostenibile, lasciando dietro di se lo schema del pensiero amico-nemico. Questo significa, semplicemente, che pace sociale ha bisogno di sicurezza. La sicurezza è un diritto civile. La pace interna ha bisogno di parità di opportunità e di partecipazione. Una società sociale ha bisogno di successo economico che a sua volta ha bisogno di pace interna ed esterna.
Renzi ha dimostrato che padroneggia l’acceleratore. Per frenare sono responsabili gli altri. Egoismo al cubo, egolatria, la sua claque al massimo di entusiasmo. Anche da noi, nella nostra isola ha infiammato gli animi, lo hanno ammirato. Finalmente uno che va dritto al punto e spazza via gli scettici, i burocrati, i gufi ed i sapientoni. Arriva il riformatore-rottamatore, l’uomo d’azione, il nuovo Napoleone in twitterazione continua che detta ordini senza sosta ai fedelissimi pronti a trasmettere le news e direttive al popolo avido e fiducioso di positività, crescita e progresso.
Le esperienze vissute della storia consigliavano attenzione, prudenza. Alla fine della corsa resta solo polarizzazione, conflitti, oppressione, persecuzione, distruzione, scissione. Anche il Titanic andava forte , dritto ma in vedetta avevano dimenticato il binocolo. Quando notarono l’iceberg era ormai troppo tardi.Lo spazio di frenata era troppo corto per evitare lo schianto. Se vogliamo è proprio questo “lungo spazio di frenata“ il segreto del successo in democrazia.
Questa lungimiranza, capacità di prevenire conseguenze dannose. Conciliare, unire invece di scindere, spaccare può sembrare superato, obsoleto, ma in questa società sempre più disorientata e radicalizzata è più attuale che mai e anche il più importante incarico politico.
Cerchiamo, troviamo quindi più politici mediatori, conciliatori e meno pseudo riformatori-rottamatori rompiscatole.
Pietro, condivido quasi tutto. Ma non penso che dobbiamo cercare e trovare più politici mediatori e conciliatori, ma trovare cittadini e cittadine onesti. Allontanare i cosiddetti politici esperti ( si vedono i risultati), e puntare su persone,anche senza titoli altisonanti, che hanno a cuore solamente il benessere della nostra terra. Basta con questi politici professionisti, come diceva mio nonno ( funti inpastausu in sa propria scivedda). Mi piacerebbe sapere il tuo pensiero, per la Zona Franca Integrale, sei favorevole o contrario. Saluti Shardana. Bruno Pinna
Appunto a cittadine e cittadini onesti, preparati e competenti mi riferivo quando scrivevo che abbiamo bisogno di politici mediatori conciliatori che uniscono e non dividono e che, una volta eletti, pensano a risolvere i problemi della comunità .
Per quanto riguarda la Zona Franca, caro Bruno, penso che sia i sogno che la politica sarda, o meglio, i politici sardi non hanno potuto realizzare o forse non hanno voluto realizzare. La storia insegna che già nel 1921 il Partito Sardo d’Azione chiese l’autonomia fiscale e doganale della Regione Sarda. Nel 1998, dopo una lunga trattativa tra la Giunta guidata da Federico Palomba ed il Governo, fu emanato il famoso dl. n. 75 che istituiva la Zona Franca doganale nei porti di Cagliari, Arbatax, Portovesme, Olbia e Oristano. Inspiegabilmente, però, questo provvedimento non è mai stato attuato. Personalmente penso alla Zona Franca non come a un paradiso un po particolare ma come ad uno strumento che consente di stimolare l’economia della nostra Isola. Con vantaggi – per una Zona Franca – che si possono riassumere in :
Agevolazioni alle imprese investitrici con relative diminuzioni dei costi
Maggiori investimenti nel territorio
Un generale sviluppo dell’economia del territorio.
Esistono chiaramente anche svantaggi come per es. incremento dell’illegalità e condizioni di lavoratori dipendenti che non si prospettano come ideali. Tu caro Bruno, cosa pensi potrebbe accadere? Cordialità. Pietro Casula
Ho letto con molto piacere il tuo articolo, che, come sempre, fotografa una realtà drammatica e trasuda di reale interesse per la l’isola.Hai ragione quando parli di politica fatta da persone in parte disoneste e in parte incompetenti, ma io non credo si possano dare le colpe principali ai politici, e non solo in Sardegna, questi sono eletti dal popolo, che invece di preoccuparsi dei suoi bisogni si fa ingannare da vergognose promesse. Sono anni che gli stessi politici promettono “sviluppo, posti di lavoro, benessere per le nostre povere terre martoriate e dimenticate”, ma poi il loro comportamento lo vediamo tutti i giorni. Cosa fa il popolo sardo per ribaltare questa situazione? Va in piazza quando minacciano di sospendere la politiche passive del lavoro, un sistema per tenere sottomesse intere popolazioni, si scaglia contro il potere centrale e le politiche restrittive della U.E., La pulizia deve partire dal proprio territorio, dai politici diretti, le contestazioni vanno fatte a chi eleggiamo noi, a chi deve pensare e agire per il nostro bene. Se continueremo a fare grandi discorsi sulle politiche nazionali, europee, mondiali , ma lasceremo che i nostri riferimenti diretti ci rispondano sempre “non ci posso fare nulla, è colpa di Roma, dell’Europa,di Trump, di Putin” resteremo sempre dei sudditi e non dei cittadini di una democrazia.