I tagli alla spesa sanitaria pubblica – una delle più basse in Europa – stanno mettendo in discussione il principio universalistico del Servizio Sanitario Nazionale: una conquista che garantisce a tutti i cittadini l’accesso gratuito ai servizi sanitari.

Di fronte al diritto alla salute, i cittadini sono discriminati sulla base del reddito: sono oltre 11 milioni i cittadini, sopratutto giovani e anziani, che rinunciano alle cure mediche perché non possono pagare il ticket.

Tutto questo rischia di avere ripercussioni molto gravi in una regione come la Sardegna segnata da un tasso di invecchiamento tra i più alti in Italia e in Europa, da una prevalenza di patologie cronico-degenerative, da un’alta incidenza di malattie tumorali e autoimmuni legate in larga parte all’inquinamento.

Da una organizzazione sanitaria tanto costosa quanto inefficiente: la spesa sanitaria supera oramai il 45 per cento dell’intero bilancio regionale, un disavanzo di circa 390 milioni di euro, una spesa farmaceutica tra le più alte in assoluto. Da liste d’attesa inaccettabili: 174 giorni per una mammografia, 154 per una colonscopia, 136 per una visita endocrinologica, 112 per una visita oculistica.

Da una “distorsione ospedalocentrica” che, storicamente, destina la grande parte delle risorse e del personale ai presidi ospedalieri a tutto discapito dei servizi territoriali di prevenzione. Un vizio strutturale che finisce per produrre un effetto paradossale: gli ospedali non riescono a svolgere la loro funzione primaria, quella di una diagnosi e di una terapia più fina e sofisticata, perché ingolfati da una routine che dovrebbe essere assicurata dai servizi territoriali. Come si può ben capire il nodo è il territorio.

La priorità deve essere il territorio. Ecco perché le scelte di politica sanitaria assunte dalla giunta regionale appaiono irrazionali e illogiche. Prendiamo le due “punte di diamante” della cosiddetta riforma sanitaria: l’ASL unica e il riordino della rete ospedaliera. Si è scelta una road map del tutto incongrua: prima l’ASL unica, a seguire la rete ospedaliera e l’Emergenza-Urgenza e, forse, per ultimi i Servizi territoriali di prevenzione.

Proprio l’esatto contrario di quanto avrebbe dovuto dettare il buonsenso. L’ASL unica, una macrostruttura di 23.493 dipendenti con a capo un super burocrate investito di una missione salvifica: tagliare, tagliare e ancora tagliare. Un “mostro” burocratico la cui realizzazione impegnerà almeno un paio di anni e che, nel frattempo, finirà per avere gravi ripercussioni sulla qualità e la quantità dei servizi erogati ai cittadini. Infine il riordino della rete ospedaliera.

Una “razionalizzazione” finalizzata a chiudere, in nome di astratti criteri economicistici, reparti e servizi dislocati sul territorio. Si assiste oramai a quella che qualcuno ha definito la “dittatura” dei parametri e degli indici: una ubriacatura di percentuali e di zero virgola che non tengono conto dei bisogni di salute dei cittadini (valga per tutti il punto nascita di La Maddalena).

Intanto, pur in assenza della approvazione definitiva da parte del Consiglio regionale, si procede in modo strisciante alla chiusura di importanti reparti ospedalieri e di servizi territoriali di prevenzione. Atti illegittimi e contra legem che mortificano le prerogative di un’Assemblea regionale distratta e connivente. Si svuota così il territorio, si favorisce il processo di spopolamento, si procede spediti verso il genocidio culturale e la desertificazione economica e produttiva della “Sardegna di dentro”.