Nella percezione di una buona parte dell’opinione pubblica sarda (per evitare contestazioni preventive chiamo a testimone l’ultimo rilevamento de IlSole 24 ore sulla popolarità dei governatori della Regioni e il risultato al referendum del 4 dicembre scorso) l’attuale Giunta è tra le più “scarse” degli ultimi vent’anni e più.
Io credo che questo sia un giudizio ingeneroso. Se torno indietro con la memoria, da inizi anni ’90 a oggi, mi vengono in mente almeno due o tre governatori senz’altro peggiori di Francesco Pigliaru e un numero infinito di assessori che definire imbarazzanti e molto più inadeguati degli attuali è poco.
È giusto riconoscerlo, mentre si parla di rimpasto.
È giusto chiamare le cose col loro nome mentre si giudica ingeneroso il trattamento riservato ad alcuni degli assessori anzitempo sacrificati da Pigliaru sull’altare degli equilibri di una coalizione senza padri, senza guida, senza riferimenti ideologici saldi, senza un orizzonte, senza un’idea forte e moderna di Sardegna.
Perché il problema – quello da cui deriva la percezione dei molti sardi che vedono Pigliaru e la sua Giunta come il fumo negli occhi – è proprio questo. Si percepisce un’eterna sensazione di provvisorietà, un’assenza di ideali e di disegno strategico unitario tali da vanificare qualsiasi intervento-tampone, qualsiasi annuncio e qualsiasi episodico risultato, frutto dell’azione – scoordinata col resto della Giunta – di questo o quell’assessore.
Seppur individuato da tempo come uno dei più feroci critici di Pigliaru e della sua maggioranza, non mi sono mai unito ai duri giudizi personali che anche alcuni miei amici hanno indirizzato alle assessore Falchi e Firino.
Ho in alcune occasioni avuto parole di apprezzamento anche per gli altri ex Demuro e Morandi. E non ho mai avuto modo di polemizzare con Luigi Arru, Virginia Mura o Cristiano Erriu.
Né mi sognerei mai di sostenere che Paolo Maninchedda – dal quale tutto mi divide dal punto di vista della politica “sovranista” di governo – non sia stato un buon assessore ai Lavori Pubblici.
No, il problema non è personale ma è nelle cose che si fanno. Nell’impostazione di “sistema” che si è data a questa Giunta, la più “collaborazionista” e “dipendentista” nella storia dell’Autonomia. La meno autonoma e dunque la più immobile, la più legata a logiche che non hanno cuore, testa e gambe in Sardegna.
La responsabilità di questo fallimento politico è interamente in capo a Francesco Pigliaru (e Dio solo sa quanto mi costi dirlo con questa nettezza, visto il rapporto personale che ci lega) e alla sua imperdonabile testardaggine nel difendere i tre assessori che meglio rappresentano la sua visione nel (non) governo della Sardegna.
I tre che, con la loro gestione di settori chiave della Regione (Programmazione, Trasporti e Ambiente), portano insieme al presidente la responsabilità massima delle macerie politiche e socio-economiche nelle quali ci troviamo.
Responsabilità aggravata dal fatto che su questa Giunta dei presunti Migliori in tanti avevano riposto grandi attese nel 2014, al termine di un’altra legislatura che non verrà certo ricordata come proficua per la Sardegna, costellata com’è stata di scandali, rimpasti, faide interne e politiche oscillanti tra il collaborazionismo con Roma e le improvvisate svolte zonafranchiste.
Il rimpasto che si consumerà tra il 7 e l’8 marzo, atteso da un anno e mezzo, passerà praticamente sotto silenzio. Non è figlio di una presa d’atto seria su quel che non è andato e non può essere preso come bocciatura degli esclusi. Così come da nessuno dei neonominati ci si aspetta chissà quale colpo d’ala.
È la solita solfa, una specie di minestra riscaldata alla quale Pigliaru pensa forse di aggiungere il sale dell’annuncite dalla quale sembra sorprendentemente pervaso dal giorno del suo rientro sulla scena pubblica.
Saranno mesi duri – forse addirittura ventiquattro – per la Sardegna.
Tempo – ahimé – perso. Speriamo, a chiunque tocchi la sfida dal 2019 in poi, che quest’isola possa resistere.
Mah….non condivido pienamente le sue osservazioni Direttore.
La gravità della situazione in cui ci troviamo a mio parere è tale per cui chiunque succederà, teoricamente più o meno capace, più o meno determinato, la fine di questi continuerà a fare: gestire il gestibile (con il diminuire dei soldi, ovviamente sempre più limitato) per tirare a campare e conservare quel minimo di voti (via via minore, grazie al crescere dell’astensione) per conservare la poltrona propria o del proprio mandante politico.
Dietro oguno di queste persone (ce li hanno venduti come tecnici) c’è un politico di lungo corso che mantiene il potere occupando le poltrone e la spesa pubblica o il potere di opporre veti o autorizzazioni amministrativi (BUROCRAZIA).
Riprendo da sopra: la gravità della situazione è tale che solo uno SHOCK come l’indipendenza realizzata con un referendum da indire il più presto possibile, può invertire il penoso trend in cui ci troviamo da sempre.
Non è una questione di persone, ma di sistema: occorre staccare la spina da roma e ripartire, preparandoci alle montagne russe e tenendo la barra dritta verso l’unico modello di sviluppo possibile della nostra Isola: quello che tutti conosciamo ma che deve affermarsi con
—politiche fiscali AGGRESSIVE (richiedono l’indipendenza per poter essere realizzate) e concorrenziali rispetto agli altri stati (tasse sulle imprese di estremo vantaggio, tasse sulle persone minime, tasse molto convenienti sui redditi oltre una certa soglia dei pensionati da attirare sulla nostra isola, azzeramento delle tasse sul lavoro, azzeramento dei contributi su redditi presunti e maggiore libertà nell’accantonare il proprio reddito differito, e così via)
–politiche AGGRESSIVE contro la BUROCRAZIA (richiedono l’indipendenza, anche mentale e tanto coraggio, premiando l’iniziativa e le reti che mettono a sistema le iniziative, eliminando il potere clientelare che essa alimenta)
–politiche sui TRASPORTI con CURA DA CAVALLO (bisogna fare l’esatto contrario di quello fatto finora): dobbiamo avere perlomeno la stessa libertà di movimento di chi vive, lavora o visita le Baleari
-.politiche CULTURALI decise, insegnando fin da piccoli esempi come l’imprenditrice DUCATO, DUCATO e DUCATO e dotando MASSICCIAMENTE a tutte le future generazioni (chiunque ne avrà ENORME VANTAGGIO e sarà di valore per la nostra isola) la conoscenza della lingua internazionale
Saluti
Sono abbastanza d’accordo con Vale!,,, E’ il momento più disperato degli ultimi decenni ,,,e probabilmente è il momento più adatto ad un cambiamento drastico di indipendentismo vero serio ; senza legami con nessun partito nazionale italiano, che ci tratta solo come colonia e forse molto peggio.
Ma ci vuole coraggio ed essere pronti a tutto CI SARA UNA FEROCE CAMPAGNA ” DENIGRATORIA “!….
BISOGNA COMUNQUE PROVARE
Inutile ribadire, sono assolutamente d’accordo con quanto sopra espresso da entrambi i commenti e aggiungerei che da tempo sono pronto alla rivoluzione indipendentista e autonomista necessaria. Tuttavia mi auguro che noi popolo sardo avremo il sostegno delle amministrazioni nel mettere in atto delle azioni forti, perché se così non fosse e queste rivolu-azioni partissero solo da noi cittadini prevedo grossi problemi di ordine pubblico!
Penso che di autonomo la nostra isola attualmente abbia solo la definizione scritta sui documenti della regione. Non mi pare che gli atti dei nostri amministratori, presidente in primis, brillino come manifestazioni di volontà politica autonoma nei confronti del governo di Roma. Le poche iniziative tendenti a garantire un minimo di autonomia sono state intraprese nei confronti del governo nazionale presso la Corte Costituzionale solo come atti “obbligatoriamente” dovuti compiuti a tutela di quanto stabilito in diversi accordi precedentemente raggiunti pur con tanti balbettii, D’altra parte la presidenza della regione non esprime altro che l’incapacità dimostrata dal partito di maggioranza relativa che lo ha espresso: non ricordo più da quanto tempo è privo di un segretario che determini l’indirizzo politico ed il suo sviluppo lasciando alla responsabilità (?) dei vari capi bastone la gestione dei fatti politici da governare. Lo dimostra ultimamente anche la gestione di un cosiddetto (r)impasto (manco si dovessero fare i culurgiones o malloreddus) che coinvolge alcuni assessori. Auguri alla Sardegna ed ai sardi
Grazie, scrivi in chiare lettere ciò che tanti pensano, siamo in una specie di attesa inconcludente, mentre il tempo passa e i giovani scappano. Un racconto di Cechov, con i piccoli burocrati di provincia che aspettano le direttive, o gli ispettori, dalla Capitale. Non siamo capaci di trovare un rappresentante dei Comuni condiviso, di fare il congresso del maggior partito di coalizione e…..Ultima nota, le speranze di chi come me sta al Capo di Sopra, che Zedda con coraggio potesse tentare un vero impegno Autonomista per tutti i sardi, beh, appresso a Pisapia lo vedo svanire nella solita nebbia italiana.
Non concordo. Gli assessori gli ha scelti lui, ma non per loro capacità ma per motivi di partito. Non ho mai visto un politica delle ultime giunte rinunciare all’incarico in quanto non all’altezza del ruolo
Il Partito dei Sardi ha sempre dichiarato di avere come obiettivo “fare lo Stato” attraverso un percorso democratico e non violento. L’obiettivo mi sembra condivisibile e in gran parte condiviso da chi interviene in questo blog.
Ma allora perché il Partito dei Sardi diventa un problema per alcuni indipendentisti? Perché è oggetto di attacchi, duri e diretti proprio da parte di coloro che, per primi, dovrebbero condividere quell’obiettivo?
In realtà quello che divide non è il progetto, ma la strategia per attuarlo scelta dal Partito dei Sardi in questa fase storica e politica. Una scelta, per altro, dichiarata con estrema chiarezza e portata avanti con coerenza.
La strategia è quella di realizzare azioni concrete in linea con l’idea di Stato, non solo diffondendo una moderna cultura indipendentista, ma forzando le istituzioni per l’attuazione di una serie di riforme (anche strutturali) che abbiano un sapore realmente nazionale. Il modello (dichiarato) è quello del Tripartit della Catalogna.
Si è ritenuto che una politica di alleanze (chiare e programmatiche) e quindi l’entrare a far parte della compagine governativa regionale (con conseguente assunzione di responsabilità), potesse dare più forza al progetto, consentire di lavorare meglio per una Sardegna indipendente. Allearsi, ma “senza esaurirsi nelle alleanze”.
Quest’idea a me sembra perfettamente in linea con un’azione propulsiva e critica svolta dall’interno, che miri a vigilare e a perseguire gli obbiettivi di programma.
In ogni caso la strategia si può discutere: personalmente credo che stia dando dei frutti che saranno valutati meglio in futuro, ma ho il massimo rispetto per chi la pensa diversamente.
Certo, sentire affermare che la giunta Pigliaru è la peggiore tra quelle che l’hanno preceduta mi provoca amarezza, in quanto è la dimostrazione di come la memoria di molti indipendentisti sia piuttosto corta (e spero davvero che sia solo un fatto di memoria corta).
Peggiori sono forse i tempi e le contingenze, ma dal mio punto di vista strettamente indipendentista, questa giunta ha fatto più di altre e i punti conseguiti (pochi o molti si può discutere) me li tengo stretti, non certo perché mi accontenti, ma perché li considero un passo (piccolo o grande, lo vedremo) verso l’obiettivo.
Sull’Agenzia delle Entrate sembra che la maggior preoccupazione di molti sia screditare il valore (anche culturale) della legge e sminuire i meriti di chi ha portato avanti la proposta. La preoccupazione maggiore, in altre parole, è che qualcuno si possa prendere il merito di un atto finalmente indipendentista.
Anche Anthony Muroni (di cui ho stima, pur non condividendone sempre le posizioni), da un lato lancia attacchi personali contro Maninchedda – considerandolo come l’emblema di quella politica regionale che va rinnovata – ma da un altro lato afferma che non si sognerebbe mai “di sostenere che non sia stato un buon assessore ai Lavori Pubblici”.
Ma allora? Vogliamo parlare di fatti o consumarci in polemiche che ci fanno solo del male?
Io credo che un dibattito politico che trovi unità negli obiettivi e che sappia affrontare con serenità i discorsi sulle strategie è l’unica speranza che abbiamo per fare davvero dei passi avanti nel percorso (lungo e faticoso) verso una Nazione Sarda finalmente indipendente.
La politica è l’arte del compromesso. Il progresso è nel dialogo e nel rispetto degli altri e non ci può essere progresso nella rissa, nel rancore, nell’invidia che divide.
Io sono tifoso del Cagliari e vado a fare un tifo indiavolato per la Juve allo stadio dei gobbi. Io sono omofobo e partecipo alle sfilate del Pride su uno dei carri multicolore. Io sono razzista ma mi iscrivo a un coro Gospel. Io sono vegano e a pranzo mi spazzolo un porcetto intero. Io sono indipendentista e governo insieme ai partiti italiani, in una giunta italiana, con una sottomissione paurosa di cui soltanto non i miopi ma i ciechi da cane da accompagnamento non riescono a vedere in maledetto servilismo e l’obbedienza a ogni richiamo italico. Servono altri esempi di incoerenza?
…
A parte il fatto che vorrei davvero vedere dove sono questi straordinari benefici effetti del governo Pigliaru e soci, perché ci danno per morti un po’ tutti, siamo prepotentemente avviati verso l’estinzione, anche quella demografica sì, ma tirare in ballo i catalani… Certo, loro hanno provato in passato a far ragionare gli spagnoli, soltanto che appena hanno capito che non ci sarebbe stata proprio storia con quelli, “Junts pel sì” e al diavolo i castigliani e tutta la loro stirpe. Noi sardi dovremmo ancora capire di che pasta sono fatti i “connazionali”? Beh chiaro, non ci hanno mai dato esempio di essere prevaricatori, di averci sfruttati o usati come pattumiera per i loro rifiuti, solidi o umani, e il cielo non voglia che ci usino pure come pattumiera per i loro rifiuti radioattivi. Magari sbaglio, ma nel caso credo di essere in numerosissima compagnia, però mi sembra che ogni giustificazione della scelta strategica del Pds sia somigliate a una scalata a mani nude su una parete a specchio adeguatamente insaponata. E per carità di Patria – questa, non quella… – non mi si vengano a spacciare cose scadute o avariate per buone tipo faremo questo o quello. Finora, il resoconto è desolatamente in passivo. E se occorre un elenco di cose non fatte, o fatte usi obbedir tacendo, sono a disposizione.