In questi giorni stiamo assistendo in Sardegna al teatrino dell’assurdo. Gli uffici regionali della Direzione Generale di Urbanistica, guidati dall’assessore Erriu, facendosi forte di una recente sentenza della Corte Costituzionale (n.189 del 14 luglio 2016) che dichiarava incostituzionale un singolo articolo della L.R. 21/2011 (Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo) hanno diramato a tutti gli uffici comunali della Sardegna propri “pareri e interpretazioni” di detta sentenza che hanno di fatto bloccato le attività degli uffici di edilizia privata di tutta la Sardegna.

In sintesi, la Regione Sardegna impedisce a migliaia di cittadini sardi di presentare pratiche di modesti ampliamenti delle loro abitazioni in agro e impedisce inoltre di spostare cubature di strutture alberghiere da zone a forte tutela su zone con minore impatto paesaggistico. E questo perché la Corte Costituzionale ha eccepito su un unico articolo che legifera su tende, roulotte caravan (l’art. 20, e unicamente per la singola frazione “e paesaggistici”).

Per i nostri amministratori regionali basta questo per interpretare la sentenza come una bocciatura totale (sic) alle nostre leggi urbanistiche, la L.R. 21 del 2011 licenziata dalla precedente legislatura a guida Cappellacci e la L.R. 8 del 2015 nata quindi durante il governo Pigliaru per meglio normare le previsioni di cui alla precedente, intendendole entrambe in contrasto col Piano Paesaggistico Regionale.

Peccato che una successiva sentenza del Consiglio di Stato, n. 4047 del 15 Novembre 2016 ha tra l’altro confermato che “La normativa in esame, per il suo contenuto, ha una valenza applicativa prevalente rispetto alle previsione del piano paesaggistico, in quanto essa prende in esame i valori paesaggistici e li contempera con le esigenze di sviluppo economico”.

Il Consiglio di Stato conferma perciò la nostra sovranità in materia urbanistica.

Tutto sembra nascere da posizioni oltranziste presenti in Regione, con un approccio che appare più che di merito, ideologico, con posizioni contrarie perfino ad una legge nata durante questa legislatura nei banchi della stessa maggioranza.

I cittadini, le associazioni di categoria, le professioni e tutti gli operatori economici che vivono di edilizia e turismo sono sul piede di guerra in quanto assistono ad un ennesimo attacco ad un settore trainante dell’economia sarda e lo fa su questioni che davvero non sono legate a speculazioni o consumo di chissà quali porzioni di territorio agricolo.

Parliamo di migliaia di lavoratori ed esercenti che rischiano di stare a casa, operatori di un comparto che in questi anni ha già subito un tracollo occupazionale senza precedenti. Di che parliamo poi? Di piccoli ampliamenti di case o spostamenti di cubature ricezionali su zone a minore impatto paesaggistico pure legati al conseguente miglioramento energetico di edifici già esistenti. Ripeto, già esistenti.

Nessuno oggi in Sardegna vuol più parlare di nuove case in campagna o a pochi metri dal mare. Siamo tutti consapevoli e sappiamo delle migliaia di edifici vuoti e abbandonati che meriterebbero semmai una politica edilizia volta al recupero dove la Regione dovrebbe intervenire con finanziamenti e agevolazioni.

Gli ampliamenti di cui si parla sono realizzazione di piccole verande o la stanza in più per il figlio in arrivo o per spazi che per la maggior parte consentono ad una famiglia di godere meglio del proprio bene, realizzato o acquistato con grande sacrificio.

E dunque, per l’altro, migliorare l’offerta alberghiera, spostando sagome edilizie da zone oggi compromesse ad altre con minore impatto.

Ora la domanda è pure un’altra. Che atteggiamento hanno su questi temi gli indipendentisti, sardisti, autonomisti, sovranisti. Perché non li vediamo in questi giorni prendere posizione contro queste decisioni calate dall’alto ed in maniera davvero arbitraria? Qualche giorno fa ho assistito ad una discussione dove qualche amico indipendentista si lamentava del fatto che “ancora oggi” si permette di realizzare piscine nell’agro. Ma, dico io, dove sta il problema?

Ma ancora siamo legati ai cliché dove certe opere “se le possono permettere solo i padroni” e dunque ecco affiorare l’indignazione ideològica contro la cementificazione selvaggia. Ma vi rendete conto che parliamo di piscine di pertinenza a case che per la stragrande maggioranza risultano prime abitazioni e ormai realizzabili con pochi euro. E questi nuovi manufatti, insieme agli ampliamenti di cui si parlava poc’anzi non toglieranno un metro quadrato alla produzione agricola.

E allora con questa mia voglio provocare il dibattito con gli amici indipendentisti chiedendo loro se hanno voglia di sporcarsi le mani (anche di cemento, sì) perché la battaglia del consenso elettorale si gioca pure su queste cose.

Questioni che interessano la gente comune che non sempre ha voglia di voli pindarici su questioni di principio certo importanti ma che pone maggiormente attenzione al lavoro e, perché no, a un pochino di felicità che a volte arriva grazie a una cameretta nuova per il bebè appena nato o a una piscina a dimensione familiare.