A causa di un impegno professionale che sta assorbendo quasi integralmente il mio tempo non ho potuto ieri sera assistere all’interessante dibattito pubblico che – con il coordinamento del collega Vito Biolchini – ha impegnato il presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau e il, da me stimato, docente universitario Andrea Pubusa sul tema della riforma della legge elettorale.

Tema ineludibile, urgente, attuale.

I resoconti giornalistici, forzatamente sintetici, non mi hanno messo in condizione di capire fino in fondo quanto realmente emerso e dunque mi riservo un approfondimento ulteriore.

Prendo atto del fatto che il presidente Ganau definisce, e ben comprendo l’utilizzo di un linguaggio consono all’istituzione che rappresenta, “criticità” quelle che per molti di noi sono le storture presenti nell’attuale legge regionale, pensata nella fase finale della scorsa legislatura per arginare la crescita – fino ad arrivare a negargli il diritto di tribuna e rappresentanza – di un qualsiasi terzo polo (fosse il Movimento 5 Stelle o quello indipendentista) al di fuori di quelli che si sono alternati al governo della Regione dal 1994 a oggi.

La proposta di riforma Ganau, che ha comunque il merito di gettare un sasso nello stagno, dopo che le precedenti arrivate da esponenti Pd non sono state prese sul serio nemmeno dal gruppo consiliare di appartenenza, è certamente insufficiente e non elimina le storture.

Prevede la doppia preferenza di genere, lo sbarramento per l’assegnazione dei seggi al 10% per le coalizioni e al 2% per le singole liste all’interno delle alleanze e del 5% per le liste non coalizzate, con la possibilità che anche il terzo arrivato tra i candidati a presidente, in caso di superamento del 10%, conquisti un seggio nell’assemblea.

Giustamente Andrea Pubusa lo ha definito un mero e insufficiente “aggiustamento delle parti più irrazionali dell’attuale legge”, rilanciando l’esigenza di uno strumento da ripensare alla radice, indicando una direzione a mio avviso giusta: una rappresentanza proporzionale che rispetti – con il presidente eletto direttamente dai cittadini – il principio della governabilità. E poi un pensiero, un approfondimento, un dibattito ampio, sull’istituto della sfiducia costruttiva.

Devo dire, e non ho nessun imbarazzo a farlo, che una lucida disamina sull’argomento l’ho letta nei giorni scorsi sul blog (sempre molto interessante) Democrazia Oggi, a firma dell’ex assessore regionale Antonio Dessì.

Cioè: la legge elettorale è importante e dirimente ma ancora di più lo è la riforma della Regione. Sono felice che un tecnico di qualità – che non ha mai nascosto di nutrire antipatia personale nei miei confronti – abbia ripreso e sviluppato con argomenti di grande qualità un’idea della quale da settimane sto parlando nei miei incontri pubblici e all’interno di questo blog: il federalismo interno, necessario per ridurre la cesura Centro-periferia di cui mirabilmente parla il politologo Carlo Pala nel suo ultimo libro, e per rendere protagonisti i territori nel governo e nella pianificazione.

Senza questo coinvolgimento diffuso, senza questa responsabilizzazione di nuove classi dirigenti e di una nuova generazione di amministratori locali che hanno già dato buona prova di governo, il sistema Sardegna non ha speranze di rimettersi in piedi.

Ho da subito detto – in un certo momento addirittura in solitudine – di non aver mai creduto all’ipotesi di elezioni anticipate.

Si voterà nel 2019. Ma non per questo bisogna restare fermi. Non è in corso nessuna campagna elettorale fuori tempo e fuori contesto, ma semmai un forte e dispendioso esercizio di democrazia, finalizzato a coinvolgere quanti più cittadini possibili al confronto su basi culturali e programmatiche nuove.

Si fanno assemblee, convegni, dibattiti, senza cooptazioni forzate legate a vecchie e nuove clientele: esercizio democratico costruttivo, dal basso, finalizzato anzitutto all’ascolto.

È per questo che – al di là delle antipatie personali  – è giusto cogliere ogni buon segnale e ogni buon contributo al dibattito che arriva dalla società sarda.

Non sarebbe male se ci si impegnasse, con la stessa lucidità e con le stesse innegabili competenze, a fare un’elaborazione un po’ più seria sull’idealismo 2.0 di certi partiti sovranisti di sinistra. Si scoprirebbe – forse – che certe prese di posizione sono figlie non già della “paura” – figurarsi – ma del rifiuto di un certo modo “dipendentista” di intendere il rapporto tra sultani regionali e amministratori locali (a proposito della crisi Centro-periferia e del federalismo interno).

Da questo punto di vista – a proposito di “paura” – nessun punto di contatto può essere fin qui trovato tra l’esperienza politica del sindaco Zedda (al quale mi legano sentimenti di amicizia e stima, fin qui credo reciproci) e quella di certi assessori. Dal primo mi faccio governare volentieri (in sei anni è difficile rintracciare una mia critica sul modello di quelle che indirizzo a questa Giunta regionale), dal secondo prendo politicamente le distanze, senza possibilità di ripensamento.

Continuiamo con pazienza a confrontarci, prendendo quel che di buono e giusto arriva anche da chi ci irride e si sottrae, fin qui, a un confronto costruttivo, incentrato non sulle antipatie personali ma su temi di interessi generale.

Continuiamo a seminare, nella speranza sempre più concreta che qualcuno in un giorno non lontano potrà raccogliere un qualcosa che si rivelerà utile alla Sardegna.