Due anni fa, il 13 febbraio 2015, l’ex assessore regionale Eusebio Baghino moriva in un incidente stradale a Sant’Antioco. Oggi lo ricordo come allora, con tenerezza e rimpianto.

«E tui mi du nasa puitta ti tzerrias Entoni?». Inizio estate 2012, un allora cronista de L’Unione chiama al telefono quello che per lui altri non era che un ex potente Dc.

Consigliere regionale dal 1969 al 1994, assessore ai Trasporti, all’Ambiente e ai Lavori pubblici in cinque diverse Giunte. Andreottiano di Sardegna. Era così fedele al Divo Giulio che avrebbe (e ha fatto) ogni cosa lecita e illecita per assecondarne piani e disegni. «Vuoi sapere bene le cose? Vieni a trovarmi. Ma prima, ricordati, mi devi dire perché ti chiami così».

Per arrivare alla casa di Maladroxia c’è da percorrere una strada bianca, stretta e sconnessa. La stessa sulla quale Eusebio («ma mi hanno battezzato Isauro, vuoi sapere perché?») ieri è morto. «Non la trovi? Ma come, uno che è nato in Australia si perde a Sant’Antioco? Ti vengo incontro io, non ti movvisi». Arrivò sullo scooter nero – lo stesso dal quale ieri è stato sbalzato – maglietta rossa e calzoncini corti. «Seguimi, vedi di non perderti di nuovo».

Doveva durare giusto un’oretta, quella chiacchierata. Fu invece l’inizio di un’amicizia che si è dipanata attraverso contatti quasi quotidiani. «Considerami un amico disinteressato, un rimbambito che non ti può dare più nulla, innamorato del tuo modo di fare il giornalista».

Ogni mattina, L’Unione: «Un rito». Tre anni di sms: aneddoti, retroscena, frecciate. A ogni editoriale critiche o complimenti. Le confidenze, quelle vere, negli incontri personali: «Qua io mica ci faccio entrare tutti, sai? E queste cose le sto facendo vedere a te (documenti, foto, appunti riservati vergati da Andreotti stesso) e a nessun altro».

Capiva al volo. «Assessore, ma io, per definizione, dovrei scrivere male di uno come lei». Serafico: «Io non conto niente, né mai ho contato. Du sciu che la gente di oggi non sa chi sono e che molti di quelli di vent’anni fa pensano ancora che fossi solo quello che portava le aragoste vive al Presidente. E che prendeva voti curando quelle che oggi chiamate clientele. Posso dirti, rivendicare, che ho fatto solo del bene. Mi hanno controllato in ogni modo, ma ne sono sempre uscito pulito. Io sono una persona onesta».

Andreotti? «Testimoniai a Palermo. Il Presidente mi aveva telefonato, la voce calma, come sempre. Voleva ricostruire una giornata di tanti anni prima che, secondo quanto raccontava la sua fedele agenda, avevamo trascorso assieme. Aggiunse che un pentito lo accusava di aver incontrato, proprio in quella data, il boss Tano Badalamenti nella tenuta dei cugini Salvo, in Sicilia. Al presidente risultava invece fossimo a Merano, in vacanza, e che nel nostro hotel si fosse disputato il campionato mondiale di scacchi. Servivano prove. E le trovai io, nel mio archivio: le foto che quel giorno ci scattarono assieme alle atlete della nazionale di sci, che si allenavano in val Senales».

Eusebio diceva di non aver mai contato nulla nella Dc: «Nemmeno Andreotti riuscì mai a farmi eleggere nel Consiglio nazionale. Non ero un signore delle tessere, non avevo appoggi extra territoriali. Ma ero felice così».

Ore e ore di racconti, con la schiettezza tipica del burbero allegrone. Una sola grande critica, con la confidenza dell’amico che aveva il doppio dei miei anni, quando il giornale diede conto di una rissa tra venditori abusivi e il direttore di un centro commerciale: «Caro Anthony, i senegalesi per loro natura sono rispettosi, pazienti ed educati. Da anni li seguo qua a Sant’Antioco, da lustri hanno i permessi per vendere nelle spiagge. Mai una lamentela. Uno ha dormito a casa mia per quattro o cinque stagioni».

E poi un altro sms, molto particolare per un dc di razza: «Destra e sinistra sono distinzioni di comodo e fasulle. Se essere di sinistra è volere il bene sociale ed essere onesti, io e mia moglie ci consideriamo rivoluzionari». La terra ti sia lieve.