Gramsci diceva che in Sardegna tutti vogliono fare i monsignori, cioè adorano impossessarsi di tanche e vigneti, curandoli pochissimo e mungendo piccole rendite, che però permettono loro di darsi arie da signori. Così è anche oggi. Le smunte tanche della politica sarda stanno lì a testimoniare della nostra miseria.

Una delle tanche più trascurate della politica sarda è la sinistra, cioè quella cosa che dovrebbe salvarci dalla rapacità padronale e dal delirio populista. Sul versante istituzionale, la tanca della sinistra è saldamente presidiata da clientele ingegneristico-accademiche di raro cinismo e furibonda ansia di rapina.

Ma esiste un altro versante, quello di tanti suoi attivisti, anche indipendentisti, che vivono letteralmente nel culto dell’uomo forte. In ordine, Chávez, Putin e oggi perfino Trump occupano stabilmente l’altare delle tifoserie di sinistra.

In questo la sinistra sarda, anche indipendentista, è profondamente italiana. L’Italia è il paese in cui non c’è stata una riflessione sul fallimento del socialismo reale e sul GULag, sulle incongruenze di quelle ideologie sul piano della incapacità di offrire una vita dignitosa (anche sul piano economico), di uscire dalla disuguaglianza e di superare il patriarcato. Insomma sul dibattito internazionale di questi ultimi trent’anni.

La sinistra sarda si è innamorata di geopolitica, senza riflettere al fatto che l’Unione Sovietica di geopolitica è morta, proprio perché incapace di attenzione alla quotidianità, alla vita normale, ai dati che provengono dal terreno. Si avvinghia all’interpretazione togliattiana di Gramsci, o continua a ignorarlo.

A Gramsci e al suo interesse per i processi piuttosto che per le supposte nature invarianti preferisce il pensiero essenzialista e ontologizzante molto forte in Italia, ma altrove periferico. Rifiuta ogni apertura a visioni politiche segnate da Foucault, dal femminismo, dal movimento Lgbtqi, e dalla stagione dei diritti e dal dibattito internazionale, che in genere è ignorato.

Di Gramsci si privilegia una lettura ortodossa, disconoscendo la ricchezza dei Quaderni, e la sua elaborazione di concetti come la subalternità e l’egemonia, che hanno illuminato il pensiero più avanzato del e sul Sud Globale. In particolare, hanno permesso di uscire dalle morse dell’opposizione fra modernità e tradizione e dall’idea che la mancata modernità sia il nostro vero problema, e non le strutture di dipendenza e di dominio che ci schiacciano.

In questo, si ritrova a osservare Trump con rispetto, proprio perché Trump, come Putin, come Chávez, come loro stessi, è un autentico reazionario, gli fa sognare il ritorno ai confini sicuri degli Stati-nazione e a scenari controllabili come campi di calcio, la vera loro immatura passione. Il ritorno allo Stato-nazione (peraltro cosa da temere per ogni indipendentista) è un progetto letteralmente reazionario, in quanto ignora il fatto che i confini non esistono più in un mondo in cui le reti li trascendono.

La società di oggi contiene attività sempre più “in rete” che non hanno attinenza con il territorio in cui si sviluppano nei modi in cui questo accadeva solo venti anni fa. I “territori” contengono attività che sono possibili solo perché deterritorializzate nella loro piattaforma o infrastruttura.

Quasi tutte le attività che rientrano in rete lo sono in modo radicale. Ma la stessa manifattura (lasciando da parte il problema dell’automazione e della robotizzazione) non è più pensabile senza essere infrastrutturata in rete, cioè soggetta non solo al controllo e spesso al comando algoritmico e comunque digitale, ma anche resa possibile perché inserita in piattaforme deterritorializzate.

E gli assemblaggi di prodotti potrebbero sì svolgersi all’interno del quadro degli Stati, ma impoverendo la qualità del prodotto e del processo produttivo. Insomma non è tanto la globalizzazione dei mercati e/o della finanza a rendere questa destrasinistra inutile se non come forma di reazione, ma, soprattutto, la deterritorializzazione delle condizioni infrastrutturali di ogni nostra attività situata che la rendono priva di senso se non come cura solo apparente per le paure odierne.

Questo è il quadro di ogni azione politica, che risulta così depotenziata nel progetto e nell’azione, per non parlare delle soggettività degli attori, dai militanti ai partiti ai governi. Nessuno è in grado più di controllare processi simili, se non in un quadro di follia o di demagogia.

I reazionari trump-putiniani di destrasinistra succedono così ai thatchero-clintoniani di sinistradestra, senza porsi ancora il problema del dominio e del potere, che nella realtà attuale è un potere non meno distribuito di ogni altra attività, in qualche modo inafferrabile.