(Pro lèghere s’artìculu in sardu pùnghere subra sa bandera in artu)
Euroallumina!
Leggevo un commento: “Se non ci fosse il problema del lavoro”. Mi è venuto spontaneo pensare che invece c’è! Ed essendo questo dramma incombente, anzi conclamato, il problema deve essere affrontato con grano salis. La chiusura di una qualsiasi attività, se non compensata da altre iniziative che garantiscano l’assorbimento dei lavoratori e purché queste non rappresentino un palliativo temporaneo per tacitare animi esacerbati, è sempre, qui in Sardegna, un autentico dramma, e di questa tragedia non si può non tener conto. Io sto con gli operai!
Sto con gli operai significa semplicemente che per quelle persone e per le loro famiglie parteggio. In questo senso sono partigiano. Il lavoro è sacro.
Una volta dichiaratomi partigiano e guardatomi attorno, mi viene anche da pensare se il diritto sacrosanto di questi uomini possa essere considerato prioritario rispetto all’altrettanto sacrosanto diritto alla salute del territorio che ospita quelle attività e a quella degli altri abitanti presenti e futuri.
Nel bordeggiare fra queste due sacralità non è certo semplice propendere per l’una o l’altra soluzione: lavoro o salute (delle persone e del territorio)? La politica – non molto quella sindacale che è sicuramente e, aggiungo io, insensatamente schierata a prescindere – è sempre stata preda di questo dilemma: preservare il territorio o dar momentanea soddisfazione alle disperate paure dei lavoratori?
Come uscire da questa impasse?
Forse provando ad immaginare quale dei due possa essere il diritto più sacro, quello che sopravanzi la sacralità dell’altro, o quale dei due sia più durevole e guardi al futuro con un respiro da maratoneta e non con quello da centometrista. Se si tiene presente la storia dell’industria in Italia e, soprattutto in Sardegna, si ottiene con immediatezza un elemento di riflessione.
L’industria e i suoi sistemi di produzione sono transeunti. Un tempo si modificavano e bruciavano nell’arco di mezzo secolo, oggi, con l’avanzare della tecnologia, variano (se non addirittura muoiono) nell’arco di pochi anni, forse un decennio, ma neppure. Le speranze di vita di una tecnologia o di un processo produttivo sono sempre più destinate a ridursi, per cui ciò che vediamo oggi sarà completamente diverso un prossimo domani; qui in Sardegna quel che è disponibile oggi è già morto e sepolto in altre zone d’Europa (un tempo l’attitudine a scaricare attrezzature obsolete e processi produttivi desueti verso le estreme periferie dell’Impero era tipico del colonialismo, ma oggi mica si può parlare di quella vetusta ed anacronistica era geologica).
Nessuno può scordare quanto fossero definitive le installazioni dell’industria chimica a Portotorres e nelle altre aree geografiche dell’isola. Esisteva un detto: “entri alla Sir e ti sistemi per tutta la vita!”. Le stesse cose le abbiamo sentite anche per l’ex Fiat, e, in tempi assai più recenti, per le banche. Poi abbiamo deciso di scuoterci dal torpore ed abbiamo visto che Sir licenziava, Fiat chiudeva stabilimenti e le banche soffrono di serissimi dissesti finanziari e strutturali.
Il risveglio è stato amaro e triste e ci ha avvertito che niente è più labile e fugace delle certezze fondate sugli auspici e sui desiderata.
Ebbene, se i processi produttivi e le fabbriche sono provvisori, è sensato immaginare che anche l’occupazione a questi collegati lo sia in grado direttamente proporzionale. Ma se l’occupazione è fuggevole e caduca, i danni correlati e rivenienti non son tali: danni alla salute delle persone e dei territori.
Ora, fra una perenne condizione di precarietà lavorativa sempre incombente e una permanenza del danno, suppongo che, gioco forza, anche il meno accorto dei nostri amministratori dovrebbe propendere per evitare il secondo dei due termini di confronto, anche se ciò dovesse comportare il sacrificio del primo.
Ma non si era detto che anche il lavoro fosse sacro? Certo! Lo confermo. Io, infatti, sto con i lavoratori, e, conseguentemente, con il lavoro. Ma quale lavoro? Non certo quello che, pur precario, assicura guasti permanenti. Come la giriamo la frittata adesso?
Premetto che in assenza di attività industriale sarebbe logico programmare il risanamento dell’ambiente ed in questa attività occupare i lavoratori in CIG.
Esistono due termini, anzi un’unica locuzione che fornisce una risposta al quesito secondo me più che adeguata. “Programmazione sostenibile”significa semplicemente voler finalmente rinunciare a fare la guardia al ‘bidone vuoto’, per impiegare risorse, energie intellettuali, esperienze professionali e tempo per fare seria programmazione avendo cura di non infierire sull’ambiente circostante. Altro vuoto che si aggiunge al parlare arioso dei politicanti succedutisi in questi decenni sugli scranni di Palazzo Chigi e di via Roma? NO! E lo asserisco in maniera più che perentoria.
Cosa vuol dire fare programmazione seria?
Cercherò di essere il più sintetico possibile, perché il tema è vasto e complesso… giusto un’infarinatura.
Siamo abituati a vedere l’Ente regionale distribuire contributi, incentivi, sussidi, risorse economiche e finanziarie senza un vero e proprio discernimento, senza discrimine e senza aver prima programmato che fare di quelle risorse. Si dice, in questi casi, ‘contribuzioni a pioggia’. Questo modus operandi, alla lunga, oltre a fornire un minimo e transitorio riparo economico alle aziende beneficiate dalla ‘pioggia’, agevola ed incentiva quella che è nota essere l’economia assistita, che tanti danni ha prodotto e continua a produrre nei territori in cui si fa ancora affidamento su questo tipo d’intervento pubblico: la Sardegna, senza dubbio, è proprio uno di questi territori.
Come ovviare al problema e iniziare ad investire i fondi pubblici in iniziative che siano produttive? Non è un lavoro semplice, ma, se e quando ben organizzato, non tarda a dare i suoi frutti.
Una preventiva analisi del territorio, anche circoscritto per aeree geografiche, se ben condotta, dovrebbe far emergere quali siano non tanto, o non solo, quali siano le necessità e le istanze che da lì promanano, quanto, invece, le potenzialità di sviluppo economico/produttivo dello stesso.
Non tutte le zone geografiche sono adatte per il turismo, come non tutte lo sono per l’agricoltura e non tutte si adattano bene ai distretti agroalimentari. Mille e uno fattori concorrono a fornire il segno e la cifra delle potenzialità. Difficilmente una zona geografica priva o con carenti comunicazioni interne può essere proficuamente sviluppata dal punto di vista turistico, anche se fosse ricca e traboccante di bellezze naturali.
In questo caso le cose da fare potrebbero essere due, anche in combinazione fra loro: programmare a lungo termine la realizzazione di moderne vie di comunicazione interne, al fine di prospettare in un futuro non troppo prossimo un modello di sviluppo a vocazione turistica, e, nel frattempo sviluppare altri modelli a più immediata ‘cantierazione’: agroindustriali, artigianali e di allevamento, per esempio.
In ambito agroindustriale, un’oculata e preventiva analisi di mercato (locale, nazionale ed estero) dovrebbe consentire di presagire un equilibrato sbocco ed assorbimento delle produzioni, perché non è più ammissibile confidare esclusivamente sui consumi interni.
La predetta analisi di mercato potrebbe far emergere grandi potenzialità d’espansione per una coltura o un tipo di allevamento a scapito di altre iniziative imprenditoriali. Una conseguente analisi merceologica dovrebbe fornire, sempre in anticipo rispetto al piano di realizzazione degli investimenti, un buon livello di certezze circa l’economicità dell’investimento produttivo.
Sarà stato, infatti, analizzato l’impatto dei costi fissi e di quelli variabili sul costo finale per ogni singola unità di prodotto, e determinato quale debba essere il break event point (fa figo – il punto di pareggio produttivo, al disotto del quale si lavora in perdita e oltre cui si inizia a guadagnare qualcosa) per massa di prodotto (sia monocolturale o genericamente inteso come prodotto orticolo).
Contestualmente sarà stata valutata l’incidenza dei costi di produzione, raccolta, trasformazione, trasporto e della fiscalità.
Per ciascuno di questi componenti sarà stato pure stabilito il livello percentuale di contribuzione al costo. Non mancheranno neppure gli studi adeguati sulle capacità di assorbimento da parte della domanda interna, nazionale ed estera, anche se queste valutazioni sono fortemente interferite da fattori contingenti dovuti alla stagionalità ed altre questioni che sarebbe troppo lungo e tedioso trattare qui.
L’analisi complessiva sarà dunque in condizione di stabilire quante unità di prodotto dovranno essere messe in vendita per ottenere la giusta remunerazione dell’investimento; quante di queste potranno essere assorbite dalla domanda e quanta forza lavoro si dovrà impiegare per raggiungere i livelli previsti.
In definitiva, quante aziende possono sostentarsi grazie a questa attività.
Avuta nozione di tutti questi elementi imprescindibili, si potrà così stimare quali risorse (come modularle) e investitori attivare (consorzi di comuni, regione, stato e/o fondi comunitari), in concorso con i capitali privati e con il sistema delle banche private (noi pare ci siamo giocate prima ‘La banca di casa che cresce con te’, ora pure quella ‘Ovunque nell’isola’, non so se si potrà rimediare). Se l’investimento vale il risultato ipotizzato, si procede con il processo attuativo, diversamente è necessario un ripensamento complessivo che preveda un combinato di iniziative.
Ovviamente, una corretta programmazione può e deve essere strutturata in maniera tale da mettere in campo più strumenti, che, in combinato fra loro, diano il giusto respiro all’intera iniziativa: agenzie di tuttoraggio, incentivazione all’associazionismo, formazione, informazione e comunicazione, leva fiscale e contributiva, riduzione della burocrazia, incentivazione al reinvestimento di quote di utili, pressione nei confronti degli altri protagonisti del processo (anche e soprattutto in direzione comunitaria) affinché si riconosca all’isola uno status che affranchi l’intervento pubblico dalle stringenti maglie delle complesse e cogenti norme esistenti in materia di aiuti di stato.
Evidente che a questo punto una buona programmazione dovrà aver ben chiaro come strutturare gli interventi: finanziamenti per la gestione, per gli investimenti, per le start up e/o un mix dei tre; a fondo perduto, in conto interessi o sempre un mix dei due.
In pratica, a grandi linee, invece di limitarsi alla valutazione, spesso interessata, di un business plan (anche questo fa figo… piano d’impresa) di una singola o più aziende valutate sempre singolarmente, l’ente pubblico dovrà mettere in cantiere la progettazione di un vero e proprio ‘piano economico di zona’, avendo particolare cura di tener conto anche dei vincoli comunitari in materia (De minimis, ESL).
Lo stesso processo, con le varianti che le molteplici e differenti condizioni esigono, potrà essere replicato anche per altre attività produttive.
Bravo! Hai scoperto l’acqua calda. So bene di non aver proposto alcunché di nuovo. In soldoni è questa la metodologia utilizzata dalle grandi banche commerciali per sviluppare i propri affari: una preventiva analisi settoriale per comparti merceologici intrecciata con una del mercato locale, di quello internazionale, della capacità di assorbimento da parte della domanda (in questo caso non spontanea, bensì spesso indotta artificiosamente) e della remunerazione dell’investimento complessivo, è in grado di fornire agli istituti di credito un ottimo livello di conoscenza circa le prospettive commerciali del prodotto da immettere su quel mercato.
Ma se è tutto così facile perché la Regione non ci ha ancora pensato? Io credo che la Regione sappia bene che gli interventi che per comodità chiamiamo a pioggia (non tutti sono tali) non assolvono al compito per cui sono erogati… non fanno rinascere il tessuto produttivo della regione. Credo, invece, che non siano attrezzati sia culturalmente che professionalmente a pensare in termini di programmazione economica a lungo respiro.
Una cosa c’è da dire: il sistema economico che per sopravvivere si basi prioritariamente sull’assistenza pubblica è destinato a permanere in una condizione di sudditanza (mi stava scappando schiavitù) nei confronti di chi quell’assistenza la somministra e fintanto che la Sardegna non sarà in condizione di camminare sulle proprie gambe, i mali atavici che l’affliggono continueranno a perpetuarsi, con buona pace delle velleità indipendentiste, autonomiste e di qualsivoglia altro contenitore cui volessimo far riferimento.
Caro Vittorio
concordo sulla chiosa finale.
Sul resto mi limito a dire: la programmazione in ambito economico fatta da governi, cabine di regia, professoroni, illuminati, nani e ballerine HA SEMPRE FALLITO E FALLIRA’ SEMPRE.
L’unico efficace intervento è copiare i sistemi dove si è assistita la ripresa di un sistema economico povero, fortemente dipendente e soggetto alla sovranità di una nazione più forte.
Ottenuta l’indipendenza, si DEVE:
– ABBATTERE la burocrazia semplificando ed eliminando i costi per le imprese e i cittadini in genere (non è possibile che per avviare una attività occorra pagare almeno 2-3 professionisti quando ci sono i dipendenti pubblici pagati per spiegare i requisiti e le norme ai destinatari)
– ABBATTERE l’oppressione fiscale e contributiva (mai più contributi su redditi minimi presunti), con una corporate tax davvero competitiva e una income tax sui pensionati davvero attraente
-ELIMINARE le tasse e i contributi sul LAVORO rendendo davvero uguale la retribuzione del dipendente con il costo aziendale
-ELIMINARE i contributi, incentivi basati sulla spesa (uno dei buchi più pesanti della nostra pentola-sistema economico)
-INVESTIRE su infrastrutture di collegamento verso Europa e interno, premiando ulteriormente con la fiscalità chi avvia attività imprenditoriali nelle zone interne dell’isola
–INVESTIRE sull’istruzione: Sardo, Inglese dovranno essere le due lingue principali, lasciando pure l’Italiano alle nostre spalle
Saluti
Se è vero che siamo con i lavoratori per il lavoro, dobbiamo mettere in conto che salvaguardare ambiente-territorio e salute è oggi più che mai lavoro in termini di nuovo sviluppo.Ecco le osservazioni di merito al Progetto dell’ex Eurallumina /RUSAL a cui ci opponiamo:
Assotziu Consumadoris Sardigna Organizatzioni No po’ Lucrai de Utilidade Sotziali Associazione Consumatori Sardegna Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale Via Roma, 72 – 09123 Cagliari – Tel. 0706848403 – Fax 0706848403 – Fax 0708642818 – 3477255895 C.F. 92138760928 e-mail consumatorisardegna@tiscali.it –Posta Certificata consumatorisardegna@pec.it Sito web http://www.consumatorisardegna.it Associazione iscritta dal 14/09/2005 al n°1475 del Registro Regionale del Volontariato Settore Diritti Civili – Sezione tutela dei Diritti del Consumatore (L.R. n°39 del 13/09/1993)
COMUNICATO STAMPA SUL PROGETTO EURALLUMINA
Finalmente la politica sarda interviene in merito al progetto di ammodernamento dello stabilimento di Eurallumina. Assessori, vice presidente, consiglieri regionali concordano che non si può bloccare quel progetto e ciascuno si attiva per portare avanti la politica industriale che impone che i profitti dell’iniziativa siano dei privati e che i costi e i danni siano a carico della collettività. Infatti nessun politico, assessore, vice presidente, sono mai intervenuti in merito al disastro, nessuno di loro ha mai portato una parola di conforto ai tanti che si sono ammalati e che continuano ad ammalarsi, nessuno di questi ha mai avuto parole di solidarietà nei confronti dei familiari che hanno perso i propri cari a causa dell’inquinamento causato anche dall’ attività della società Eurallumina. Nessuno si è sentito in dovere di costituirsi parte civile a livello regionale nel procedimento penale che vede coinvolti i massimi dirigenti di quella società e della stessa sotto processo per disastro ambientale Il tutto è stato lasciato all’impegno delle associazioni, Assotziu Consumadoris Sardigna – Onlus, alla Confederazione Sindacale Sarda, a Sardegna Pulita, al Wwf e a nove cittadini del Sulcis, in parte agricoltori e cittadini ammalati di tumore. Chiunque esprima dubbi su tale progetto viene criticato, vedi il caso ultimo del Soprintendente ai Beni paesaggistici di Cagliari ed Oristano, viene messo alla gogna. Appare stravagante leggere o sentire che il tutto deriva dalla chiusura dell’impianto nel 2009 senza parlare del perchè fu fermato lo stabilimento. Detto così appare una cosa normale c’era la crisi…., mancava l’energia…… Perchè non dire la verità? Eurallumina è stata costretta ad interrompere la produzione a causa di un problema nato e contestato dalla autorià giudiziaria che ha messo sotto sequestro il Bacino Fanghi Rossi, semplicemente per aver riversato assieme ai fanghi rossi materiali inquinanti, il tutto scoperto causalmente per la rottura di una tubazione. Nel marzo 2010, sulla base della campagna di monitoraggio sono stati rilevati, in concentrazione superiori ai limiti di legge i seguenti inquinanti: ALLUMINIO, ARSENICO, SELENIO, CLORURI, AZOTO AMMONIACALE, SOLFATI, SOLFITI, BORO, FERROLI, CADMIO, MANGANESE, FERRO, RAME, MERCURIO, PIOMBO, CROMO TOTALE, CROMO VI. IDROCARBURI TOTALI, TENSIOATIVI, che non dovevano trovarsi nella falda sotto il bacino dei fanghi rossi e ne negli scarti di lavorazione dell’allumina. Motivo per il quale dal 2009 il bacino BFR è sotto sequestro giudiziario, (stando al perito nominato dal tribunale di Cagliari Prof. Ing. Manassero per bonificare quel sito ci vorrano non meno di trecento anni), finalmente la politica entra in scena e lo fa esprimendo solidarietà, non a quanti si sono impegnati e che continuano a impegnarsi per far pagare agli inquinatori e far valere il principio “chi ha inquinato deve pagare”, o a quanti in questi anni si sono ammalati.
La politica non parla di giustizia, non si preoccupa del danno che si sta facendo a quanti stanno cercando di accertare le responsabilità del disastro dell’inquinamento dell’ambiente, della fauna e della nostra vita. No si schierano a favore di una minoranza, si schierano con chi ha già creato danni, con chi ha violato le norme. Noi siamo dalla parte dei lavoratori, che difendono il loro posto di lavoro, ma non con l’ azienda, Eurallumina prima chiude e meglio è per tutti noi, per la nostra salute, per l’ambiente, per la fauna, per la flora, per il panorama e per l’economia locale. Ma parliamo del nuovo progetto di ammodernamento dell’impianto, che prevede la costruzione di una centrale elettrica a cogenerazione che sarà alimentata con il carbone della potenza di 285 MW; portera al raddoppio del Bacino Fanghi Rossi con un innalzamento della discarica di altri 20 metri. Il tutto da realizzarsi su terre vincolate da uso civico, su una discarica sotto sequestro giudiziario, il tutto viene detto a “norma”. Centrale a carbone che viene chiamata confidenzialmente o scaldabagno o caldaia che immetterà in atmosfera circa un milione di tonnelate di CO2, per il piombo possiamo stimare emissioni aggiuntive pari a 790 kg/anno di piombo emesso (stima consumo di carbone anno pari a 359.161 t/a ovvero 41 t/h) (Ore anno 8760). Gli impatti sulla salute e sull’ambiente degli inquinanti atmosferici pericolosi, presenti nelle emissione delle centrali che portano combustione carbone e i danni alla salute che provocano, sono i seguenti: L’ACIDO CLORIDRICO E FLUORIDRICO sono acidi fortemente corrosivi; gli impianti termo-elettrici a carbone ne sono le maggiori fonti antropogeniche di emissione atmosferica. Per la loro solubilità in acqua, i vapori acidi si depositano nelle prime vie aeree respiratorie, ma riescono a raggiungere anche gli alveoli polmonari. LE DIOSSINE sono una famiglia di composti organo clorurati tra cui i più aggressivi sono le policloro-dibenzo-diossine e i policloro-dibenzo furani. Anche queste sostanze sono tra i maggiori inquinati provenienti dagli impianti di combustione, particolarmente a carbone. Sono spesso associate a piccole particelle che possono residuare per oltre dieci anni e che spesso si depositano al suolo e nelle acque, dove tendono ad accumularsi in sedimenti ove rimangono per molti anni. La loro penetrazione nell’organismo umano avviene non solo per via aerea, ma anche attraverso il cibo e l’acqua. Una volta entrate nell’organismo, la 2,3,7,8-TCDD può persistere al suo interno per 7- 10 anni; in popolazioni esposte, grazie alla sua lipofilia, è stata ritrovata anche nel latte delle donne in allattamento. Questi inquinanti, oltre a determinare cloracne da esposizione acuta, fungono anche da interferente endocrini (azione particolarmente grave nei bambini) e possono causare numerosi tipi di tumore in vari organi e apparati. Anche altri Composti Organici Volatili (VOC) quali il benzene, il benzopirene, gli idrocarburi policiclici aromatici – IPA, il toluene etc. sono riconosciuti dalla IARC come cancerogeni di gruppo IA. IL MERCURIO è stato identificato come uno degli inquinati più pericolosi emessi dalle centrali a carbone in atmosfera, da dove ritorna alla terra con la pioggia e la neve. Molti studi dimostrano come la combustione del carbone sia una delle fonti più importanti della presenza del mercurio nell’ambiente (fino al 70%). Una volta precipitato al suolo e nelle acque è convertito ad opera di micro-organismi in metil-mercurio. Questa sua forma, altamente tossica, penetrata nella catena alimentare, dopo bio-magnificazione sviluppa la sua tossicità nei confronti del sistema nervoso (neuro-tossicità). Questa azione è particolarmente importante nell’embrione e nel feto durante la vita intra-uterina (il mercurio passa la barriera placentare), nel bambino e nell’adolescente durante la crescita. Nelle persone adulte il mercurio è stato messo in relazione anche con patologie cardio-vascolari. GLI ALTRI METALLI, diversi dal mercurio, includono l’arsenico, il berillio, il cadmio, il cromo, il piombo, il manganese, il nichel. La presenza di questi metalli nelle emissioni delle centrali a carbone sono riferite prevalentemente al particolato primario (PM 2,5), che va distinto da quello secondario che si forma in atmosfera per riaggregazione da reazione chimica delle vari componenti emissive. Sono alla base di azione carcinogenetica non solo nell’apparato respiratorio ma anche in alti apparati; inducono patologie cardio e cerebro-vascolari e patologie degenerative sistemiche e di organo.
RADIO ISOTOPI. Nelle emissioni delle centrali a carbone sono presenti: U238, Th234 e Radio. In particolare per quest’ultimo elemento le emissioni da carbone sono la fonte maggiore di inquinamento in atmosfera. Alcuni studi dimostrano che le centrali a carbone sono fonti di emissione di radioattività 100 volte superiore a quella delle centrali nucleari. Fonte di preoccupazione sono le enormi quantità di CENERI che derivano dalla combustione del carbone e che devono essere smaltite, in quanto ne è stato dimostrato l’effetto genotossico e mutageno oltre ai danni alla salute delle popolazioni umane esposte e agli effetti avversi sulla vegetazione. Il problema della massa enorme di ceneri residue alla combustione ( 3-400.000 t su 1.000.000 t di carbone ) che un volta combuste contengono isotopi radioattivi (U238 e Th234) in concentrazione quasi doppia rispetto al prodotto di partenza; tali ceneri vengo spesso considerate inerti e, anche se esiste una precisa normativa a riguardo, avviate in discarica o verso la produzione di cemento, saranno invece miscelate con i residui della lavorazione della BAUXITE e scaricate nel Bacino Fanghi Rossi. Inquinanti già presenti nel territorio di Portoscuso Suolo composti organici e metalli pesanti (piombo, zinco, cadmio, arsenico, ferro, rame) Acque superficiali composti organici e metalli pesanti (piombo, zinco, cadmio, arsenico, ferro, rame) Acque di falda composti organici e metalli pesanti (piombo, zinco, cadmio, arsenico, ferro, rame) Sedimenti fluviali composti organici e metalli pesanti (piombo, zinco, cadmio, arsenico, ferro, rame) La nuova centrale a carbone di Portoscuso si inserisce in un territorio già compromesso classificato Sito di Interesse Nazionale Sulcis-Iglesiente-Guspinese dove ogni nuovo insediamento industriale si somma agli inquinanti di aria, terra e acqua, già causa dei danni ambientali, economici (mancato sviluppo), e della salute umana. “La collettività sarda e già sottoposta a elevati livelli di esposizione di inquinanti che sono produttive di rischi valutabili a medio e a lungo termine e conseguentemente costituiscono un pericolo per la salute che deve essere tutelata mediante l’adozione del principio di precauzione consistente nella realizzazione di una condizione di minimizzazione dei rischi.” Vi è la necessità di assumere il principio di cautela nella esposizione consistente nella necessità di escludere i rischi ragionevolmente evitabili. Ma i politici continuano a far finta di niente.
Cagliari, 04/02/2017
Il Presidente ACS-Onlus Marco Mameli
P.S. L’ Assotziu ha presentato le osservazioni sia al vecchio progetto per la costruzione della centrale a carbone proponente Eurallumina sia per il nuovo Progetto di Ammodernamento della Raffineria di Produzione di Allumina ubicata nel Comune di Portoscuso proponente Eurallumina. L’Assotziu si è costituita parte civile nel procedimento penale (disastro ambientale) contro i dirigenti e la società.
Ma chi ha creato danni alla nostra terra e continua a crearli, procede imperterrito per il proprio cammino. I danni prodotti restano qui e non li porta via nessuno anzi continuano sempre nel portare la merda ….. tanto la nostra è un’isola che non serve a niente e i principali imputati sono i nostri baldi politicanti di merda, soprattutto i sardi che pur di attingere ad utili introiti hano venduto il nostro culo e continuano nel venderlo. I sardi sono divenuti un popolo succube, non hanno più le palle e continuano a vivere nel più totale menefreghismo.
Chissà cosa tutto hanno portato all’insaputa del popolo sardo nella nostra isola, agenti altamente inquinanti e tossici e non solo, ho la strana sensazione che abbiano già portato anche qualcosa di radioattivo e ora voglio scaricare sempre di queste sostanze radioattive in prossimità di Bolotana ……a Tonara.
Ma dove vogliono arrivare questi politicanti di merda? Vogliono distruggere il popolo sardo e tutta la sua terra?
Oh! ….Si è solo un’isola e giustamente, secondo il loro pensiero e veduta, è isolata, in mezzo al mare, lontana dalle terre che non devono essere contaminate.
Ma bisogna prestare assai attenzione perchè i tempi stanno cambiando assai bruscamente. L’essere umano sta distruggendo il giardino dell’Eden, il nostro pianeta che ci offre da vivere, e lo stesso nel suo movimento assai logico ci sta per riservare tante e svariate sorprese. Incluso lo spazio che ci circonda, assai a breve, come già accaduto tempi addietro ma questa volta sarà peggio di quanto si possa immaginare.
Articolo scritto discretamente bene, anche se con qualche errore ortografico di troppo (come il “break event” o il “tuttoraggio” in luogo di “break-even” e “tutoraggio”. Mi ricordo l’aurea regola della mia maestra di IV elementare: scriviamo solo quello di cui siamo sicuri di non scrivere fesserie), ma farlocco come una moneta da 3 euro.
Semplicemente, non trovo possibile dire che nell’impostazione di questo articolo vi sia la soluzione ad alcuno dei mali della nostra Isola. In primo luogo, la “captatio benevolentiae” da parte dell’ottimo Vittorio Sechi, che parteggia per i lavoratori a rischio a causa della fine di Eurallumina (e non Euroallumina…), mi sembra rasentare la piaggeria, quando cerca di lisciare il pelo ai lavoratori per poi dir loro che – certo – di loro son più importanti l’ambiente e i disastri fatti da Eurallumina verso la collettività. Questa è un’espressione di intenti che può avere senso: si stima un danno limitato a un determinato numero inferiore ad un danno verso tutta la collettività, per cui si sceglie il male che appare minore. E gli operai e le maestranze di Eurallumina, in CIG? A ripulire quel che avevano sporcato… Va bene, si direbbe: andiamo avanti. Entra quindi il concetto di “programmazione sostenibile”, affidata alla Regione (alla politica) e basata su una preventiva analisi del territorio che “dovrebbe far emergere non tanto, o non solo, … le necessità e le istanze che da lì promanano, quanto, invece, le potenzialità di sviluppo economico/produttivo dello stesso”. Questa valutazione – quindi – deve volgere verso il mercato, coniugando alla programmazione un’attività d’analisi tesa a far capire cosa serva all’orbe terracqueo, producibile/allevabile in Sardegna e nell’immediato, pensando per un futuro “non troppo prossimo” ad uno sviluppo puramente turistico di tutta l’Isola, una volta spesi i soldi che servono per infrastrutture di trasporto (“moderne vie di comunicazione interne”). Tutto questo deve avvenire nel rispetto della normativa nazionale ed europea, per evitare la tagliola dei famigerati “aiuti di Stato”…
Tutto bellissimo, diremmo. Ma manca cosa serva davvero per fare tutto questo: s’ignora se in Regione vi siano professionalità idonee e pure se vi siano le pur minime garanzie di efficacia di queste analisi, legate alla stagionalità ed a un mercato particolarissimi, affette dalla tara di fondo che determinate produzioni e l’allevamento a poco servono per produrre valore aggiunto, in assenza di sovvenzioni pubbliche, comunque siano definite.
Quello che manca a quest’analisi – come ad altre politicamente orientate – è la naturale conclusione: qualsiasi cosa si voglia fare in Sardegna, deve rendere soldi. Non chiacchiere o analisi di mercato, ma valore aggiunto, possibilmente elevato. Qualsiasi cosa si faccia, deve essere redditizia e deve svincolare dalla stagionalità. Non solamente turismo e agroalimentare, stagionali per eccellenza. Purtroppo, sembrerebbe che l’unico modo in cui la strada indicata da Sechi può funzionare sia quello d’ibernare la Sardegna per i mesi non produttivi…