(Pro lèghere s’artìculu in sardu pùnghere subra sa bandera in artu)

Il prossimo 13 febbraio, il Parlamento Europeo, in seduta plenaria, discuterà sulla approvazione di un proprio rapporto, sconvolgente per la sua obiettività, in materia di robotica e intelligenza artificiale. Secondo il rapporto europeo, “lo sviluppo della robotica e dell’intelligenza artificiale farà sì che gran parte del lavoro attualmente svolto dagli esseri umani sia svolto da robot… Questo solleva preoccupazioni quanto al futuro dell’occupazione”

E’ dunque clamorosamente errato bollare il tema della intelligenza artificiale come futuribile ed incerto o come notizia per la quale sorridere.
Visto l’esponenziale aumento della produzione di robot e di richieste di brevetto collegate alla intelligenza artificiale, la commissione europea determina infatti in massimo 15 anni il termine entro il quale avverrà una sorta di “disastro occupazionale” (si parla di una perdita secca del 40% degli attuali lavori).

E’ inoltre altrettanto errato ritenere che l’utilizzo della robotica inciderà solo su alcune attività quando invece, volenti o nolenti, andrà ad erodere occupazione in qualsiasi settore, attività intellettuali comprese.

I lavori manuali tradizionali sono destinati ad essere quasi integralmente sopperiti dalla robotica: inservienti, infermieri, badanti, segretarie, in America già lavora la pizzaiola Robot Marta e perfino in agricoltura sono arrivati i robot che lavorano h24 e riescono a controllare foglia per foglia.

Anche le professioni intellettuali subiranno il medesimo declino occupazionale.

Esiste già Ross, il primo avvocato robot che, in poche ore, svolge il lavoro di un anno di un avvocato umano. Da quest’anno, in Inghilterra prende le funzioni il Dottor Chatbot, un medico robot che rappresenterà, per tutto il sistema sanitario, il primo contatto con i pazienti, li interrogherà e ne valuterà i sintomi, effettuerà una prima diagnosi e deciderà se e come smistarli, dal medico generico, al pronto soccorso o se chiamare direttamente un’ambulanza. Per non parlare del Dottor Watson, il robot che ha una capacità diagnostica di gran lunga superiore al migliore medico al mondo.

Considero al riguardo preoccupante che il neo ministro del Lavoro statunitense abbia l’altro giorno respinto qualsiasi preoccupazione in merito all’utilizzo dei robot ed alla conseguente disoccupazione umana e li abbia anzi definiti in questo modo: “I robot sono sempre gentili, non vanno mai in ferie, non arrivano tardi e non ti trovi mai a dover gestire problemi di discriminazione di razza, sesso o età”.

Riportate le notizie, perché mi permetto di accostare il tema alla Sardegna?

Perché non dopodomani, non domani, ma oggi occorre pianificare il nostro futuro anche, e soprattutto, alla luce di questi stravolgimenti occupazionali e sull’impatto che tale rivoluzione avrà su un territorio già piagato dal 40% di disoccupazione giovanile.

Salve mie disattenzioni, sull’argomento manca invece qualsiasi cenno di vita, umana e non artificiale, dei nostri parlamentari europei e, a stretto seguire, dei nostri governanti nazionali e regionali.

Certo, capisco bene che viviamo in una Regione nella quale è assente da non so più quanto tempo un referente per il principale e decisivo comparto della Agricoltura, figuriamoci se si trova il tempo di guardare oltre la propria quotidiana botteguccia.
In questo momento, però, se si vuole il bene della Sardegna, occorre avere una visione lungimirante, una prospettiva che vada oltre il mesto assistere passivo alla progressiva erosione degli attuali spazi occupazionali.

Al riguardo, mi sentirei orgoglioso se, chiunque vada al governo regionale, creasse uno specifico assessorato alla innovazione tecnologica, che, lungi dal costituire l’ennesimo carrozzone di clientele, possa seguire in termini più ampi i progetti innovativi destinati a coadiuvare tutti i comparti produttivi sardi, che ragioni in termini di condivisione dei brevetti e delle spese, che renda l’impatto tecnologico un aspetto di miglioramento e non il de profundis per la Sardegna.

E su questo, vista la palese assenza dello Stato, mai come ora occorre davvero ragionare in termini di vera autonomia regionale.

Sempre secondo il citato rapporto della Commissione, infatti, nei prossimi anni arriveranno valanghe di finanziamenti in tutti i progetti di ricerca nel campo della robotica. “Ci sarà una carenza totale di lavoratori in questo settore “ed entro il 2020 il 90 % dei posti di lavoro richiederà come minimo competenze digitali di base”.

Occorre da subito monitorare le tendenze occupazionali, con un’attenzione particolare alla creazione e alla perdita di posti di lavoro nei diversi campi/settori di qualifica al fine di individuare i campi in cui vengono creati posti di lavoro e quelli in cui vengono distrutti a seguito dell’aumento dell’uso dei robot”

Quest’ultima frase è la chiave che, a mio avviso, apre alla speranza: la robotica distruggerà tanti posti di lavoro ma ne creerà di altri, diversi, e potrà portare ampi benefici alle popolazioni europee.
Si tratta però di decidere se, per il futuro della Sardegna, vogliamo provare ad essere attori di questo cambiamento occupazionale o se, come tutti gli altri territori che rimarranno passivi, vogliamo solo attendere la distruzione del poco ancora esistente.

Certo, è utopico pensare di diventare, in un colpo solo, un polo di avanguardia, visto che alcune nostre zone sono ancora prive perfino di internet e telefonia.

Abbiamo però il dovere di provare ad entrare nel nuovo sistema produttivo e fare in modo che, in tutti i settori, quelli tradizionali compresi, la Sardegna brilli e prosperi grazie alla migliore applicazione della tecnologia robotica.

Perlomeno, ragionarci tutti insieme, adesso, non costa nulla e magari ci consentirà di intraprendere una nuova strada di progresso piuttosto che diventare una discarica di rifiuti tecnologici altrui.
Una cosa è infatti sicura: in questo campo, del doman v’è certezza.