(Pro lèghere s’artìculu in sardu pùnghere subra sa bandera in artu)

Indipendentismo.
Si tratterà di utopia? “l’Italia è una e indivisibile”.
Come si fa? Non si voglia pensare alla Corsica alla fine degli anni ’80.

Tuttavia, stimo sempre meno lo Stato italiano.
Non già perché le politiche di Roma, nei decenni del tempo, hanno offuscato la coscienza di un popolo nascondendogli la storia, impedendogli la lingua e rubandogli quel che compone la propria identità.
E non già perché negli anni hanno usato, e usano, questa terra come immondezzaio,
inquinando luoghi e avvelenando genti.

Lo Stato italiano, attraverso rappresentanti politici “sissignore” sardi, ha impoverito la Sardegna
(o meglio, ne ha impedito il prosperare) e, per calmare le anime dei suoi abitanti, li ha abituati all’assistenzialismo e alla “statalità”.

Nessuno fiata. Intanto a fine mese bene o male ci arrivano in tanti.

Tutto questo equivale ad uno stallo controllato di un popolo. Di un’economia. Di una mentalità.
La Sardegna è paraplegica. Sdraiata. Immobile.
I suoi muscoli han perso la loro forma a forza di non muoversi.

La sua testa si è disabituata a calcolare le equazioni più elementari a furia di accettare conti delle calcolatrici romane.

Personalmente, non posso dire di essere italiano e nello stesso tempo vergognarmene, provare rabbia per la cattiveria con cui il sistema impedisce a troppi la dignità. Non si può avere stima verso uno Stato che legifera senza capire cosa fanno le proprie Regioni che a loro volta non sanno in quali situazioni versano i sindaci che si sono ridotti a postare strade asfaltate su facebook come fossero trofei, traguardi straordinari e non ordinari.

Ma non posso neanche dire di essere sardo e al contempo vergognarmene per via delle condizioni in cui versa l’isola. Per via delle migliaia di persone costrette a riempire valige di rabbia e tristezza, ed emigrare. Per via delle sue infrastrutture. Della sua classe dirigente.

È dunque utopia una Sardegna sarda? Non saprei. Lascio ai filosofi il piacere di pensarci.
Io preferisco pensare ad altri bei termini, come ad esempio quello usato in modo coraggioso da Gorbačëv nel ’85 quando pronunciò la parola “Perestrojka”.

Avrebbe potuto quell’uomo con la macchia rossa in fronte portare avanti la rivoluzione con un popolo privo di coscienza di sé?

Dalla risposta a questa domanda credo si possa comprendere che, senza ‘cultura sarda’, (storia e lingua) non potrà mai esserci un vero cambiamento.