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Spesso, quando viaggio per questa terra, preferisco le strade lente dell’interno, laddove l’occhio si riappropria degli spazi, e l’indaga, li fruga.

E man mano che passano i chilometri, i paesaggi si susseguono, e mi fermo in ogni dove a interrogare silente gli autori di questi stessi paesaggi, così diversi, così distanti, e mi do ragione circa una cosa che ormai vado pensando da anni; ne ebbi sentore un giorno, in facoltà; un crogiuolo di provenienze e mi dissi: i sardi non esistono!

Come dare un solo nome a una compagine così eterogenea, fatta di lingue, condizioni di vita, variegate urbanità, modi di pensare l’esistenza così diversi, a volta inconciliabili.

E nel caso che mi fossi sbagliato, se davvero questi Sardi esistevano, questi erano quelli della mia generazione o quei ragazzi più piccoli di me, la cui vita scorre incessantemente via telematica, o quella di mamma, di babbo? Mi rendevo conto, così che l’artificiosa idea di Identità si sbriciolava come un castello di sabbia alla prima onda che passa in battigia.

Sgretolato questo concetto, questa maschera abusata, venivano allo scoperto due concetti, ben più interessanti e a mio parere risolutivi, ovvero che i Sardi sì non esistevano ma “esistono delle persone che appartengono a questa terra”, e che queste non hanno alcuna identità ma bensì “un’eredità”, anzi molte.

Così capivo anche che nella mia idea di indipendentismo non sussisteva alcun concetto di Sardità ma solo quello di Umanità; Un’umanità che appartiene, nel nostro caso, a questa terra e di generazione in generazione eredita paesaggi geografici e paesaggi sociali e antropologici in continua mutazione e di varietà inestimabile.

Potrebbero sembrare due conclusioni da poco. Non lo sono!

Beh, Dio o chi per lui, mi ha fatto molti doni, e nel vizio filosofico della ricerca di un sistema onnicomprensivo, ho conciliato le mie varie nature, i miei campi di lavoro, nel modellare una mia idea di Uomo, in questo tempo, in questa terra. Filosofia, Urbanistica, Musica, Letteratura, Pittura, attività così variegate che nel loro insieme suggeriscono e spingono a guardare il mondo da molteplici angolazioni, in una ragione critica che rispetta anche le ragioni del cuore.

Ora osservo questa Sardegna. La vedo agonizzante, assetata, deturpata, triste, sola, disagiata, scollata, con uomini e donne alieni e alienati, vessata da una moneta che tutto compra, che tutto valuta, che tutto quantifica, immersa in una marmellata globale che come un’ameba tutto aspira, fagocita, consuma.

E domando a me, a chi mi capita, sia esso sardo, catalano, siciliano, romagnolo: indipendenza per cosa? Che senso ha l’indipendenza?

Io mi so dare una sola risposta, e mi aiutano quei due concetti che prima enunciavo. Indipendenza significa appartenere a questa terra. Ma non cadiamo nel tranello di pensare a questa terra come un’idea, un concetto.

Indipendenza vuol dire, almeno per me, appartenere a questa terra sulla quale cammino, con i suoi rii, la sua composizione chimica e organica, quella piccola collinetta, questi suoi venti e alla maniera in cui il sole, le nuvole e la pioggia si manifestano a tutte le sue coordinate. Indipendenza per me è dipendenza da questi elementi.

Ci ritroviamo in un tempo, dove il mercato domina su qualsiasi cosa, domina anche il tempo, il futuro e quell’eredità che abbiamo il dovere di trasmettere. Allora, Indipendenza è sostenibilità poiché i nostri bacini sono vuoti e continuiamo a consumare suolo; l’acqua non è buona, i nostri campi soffrono, e produciamo generazioni aliene ai territori, costrette dal mercato a vivere in questa rete, che ci fa tutti pesci da pescare e inscatolare, e mandare via dal proprio mare.

Il rapporto uomo e territorio vive questa crisi, questa separazione che indotta dal mercato, li tiene legati solamente da un rapporto di ignoranza, senza sapere cosa faccia l’uno, e cosa l’altro. Il mercato ci fa ciechi e vaghiamo rompendo quel legame d’appartenenza che è proprio dell’Eredità e dell’Umanità, quali valori imprescindibili per il compimento delle nostre vite, che anelano e devono anelare a sole due cose: la degna vita fisiologica e la felicità, la degna vita dello spirito.

L’indipendenza è indipendenza dal mercato che tutto quantifica. L’indipendenza è il coraggio di aprire gli occhi e dire no alle dinamiche inumane del nostro tempo; indipendenza vuol dire riappartenere alla nostra terra e garantire l’eredità che a noi è stata consegnata. Indipendenza vuol dire riportare la politica alla sua dimensione naturale: il territorio.

Ci vuole coraggio, perché tutto ciò vuol dire metterci in discussione, vuol dire sapersi criticare, ammettere di sbagliare ed aver sbagliato. Ci vuole coraggio ma è l’unica strada.