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Con lo scrittore e antropologo Giulio Angioni scompare uno dei pilastri della cultura sarda.

Dopo il 2016 maledetto per la Sardegna, funestato come è stato dalla morte di altri fuoriclasse come Pinuccio Sciola e Giorgio Pisano, il 2017 si apre con un lutto immenso.

L’anima contadina dello studioso, ricercatore, documentatore e divulgatore con Angioni si era sublimata nella sua passione per il raccontare, per la scrittura e il romanzo.

Alla fantasia applicata alla storie vere o verosimili c’era arrivato dopo aver saputo trattare, nelle sue varie fasi, partendo dalla sua Guasila, dopo gli studi in Germania e l’esperienza nella scuola Antropologica di Cagliari, i temi delle identità locali, regionali, nazionali, europee e globali.

Era un uomo di profonda cultura ma era fieramente nel mondo: scriveva per i giornali, fondava riviste e aveva avuto – con altri – la bella intuizione del Festival delle storie di Gavoi.

Le sue opere letterarie – dall’Oro di Fraus a Assandira, passando per l’ultima Sulla faccia della terra – appassionavano, conquistavano, convincevano e insegnavano.

Non trascuravano la forza e la verità della Storia, pur disvelando storie e circostanze che a volte nascondevano messaggi attuali o richiamavano misfatti e debolezze di un passato più o meno recente, dal quale la Sardegna (terra amata o maledetta) non riesce mai ad affrancarsi definitivamente.

Giulio Angioni non è più. Ma anche a lui – assieme agli altri grandi di Sardegna che si sono fatti onore – è assicurato un posto speciale nella quotidianità del nostro essere sardi di ieri, di oggi e di domani.