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Durante il mio esame di maturità, nel 2010, scelsi, tra le tracce proposte alla prima prova, il saggio breve ad indirizzo storico-politico dal titolo “i giovani e la politica”.
La traccia proponeva passi eterogenei tra di loro e fu difficile riuscire a proporre una riflessione che facesse sintesi tra le citazioni di Mussolini, Papa Giovanni Paolo II, Togliatti e Moro.
Mai mi sarei aspettato di trovarmi sei anni dopo ad analizzare un problema ancora più desolante, un fallimento nel fallimento, vale a dire riflettere sui motivi che hanno spinto noi giovani a schifare la politica (altro che disaffezione) e su quale potrebbe essere in prospettiva il nostro ruolo nella società civile.
Come è possibile che i giovani di oggi, quelli che nella storia repubblicana sono i più istruiti e colti (esautorata quindi la nota esortazione di Gramsci), quelli che sono maggiormente dotati delle basi teoriche giuridiche, economiche, tecniche, sociologiche, non riescano ad offrirle al Popolo, a metterle in campo, a farsi dare fiducia dall’elettorato e (qualora riescano nell’impresa, spesso titanica, di essere eletti) non riescano ad ottimizzarle e a farsi mettere all’angolo da chi l’arte politica la mastica?
E inoltre, perché ci vergogniamo di fare politica, o di manifestare per i nostri diritti sempre più negati e per un futuro che nel nostro perimetro isolano (e nazionale) ci è negato? (interessante in tal senso il rimprovero fatto da Mentana ad una neo-laureata ad un convegno a Perugia che può trovare al link https://www.youtube.com/watch?v=IFJ5xmN-dp8)
Credo che questa domanda sia tra le più rilevanti ed attuali che la linea editoriale del Suo blog possa porre ai propri lettori.
Partendo con l’analisi del problema, credo che le cause siano molteplici e differenti, ma rintracciabili in un preciso periodo storico-politico, il passaggio dalla Prima alla seconda Repubblica, che ha rappresentato il crollo dei grandi partiti e di riflesso delle grandi ideologie del ‘900, delle lotte studentesche, dei movimenti artistici e culturali.
Lo spaesamento ha portato sia gli interpreti politici di quel periodo, sia i giovani di allora e di oggi ad uno spaesamento e ad una confusione che ha generato una contrapposizione concentrata non tanto sulla differenza di visioni filosofiche, etiche e morali della società, ma sulla simpatia verso questo o quel leader di partito, la condivisione di una o più idee programmatiche, piuttosto che delle appartenenze storico-ideologiche.
La dialettica politica ovviamente ne ha risentito, anche perché, contemporaneamente, i territori ed i paesi si sono svuotati di quelle palestre che erano le sezioni dei partiti, principali luoghi di formazione della classe dirigente locale, regionale e nazionale. La risposta a questo fenomeno è stata tragica, poiché la crescita politica è stata (ed è) affidata o ad una scolarizzazione autonoma, o all’affiancamento dei politici, i quali, per colpa loro e di chi lo ha permesso, sono passati dall’essere “maestri” all’essere “padrini”, spesso nell’accezione più cinematografica del termine.
In queste righe non ho l’ambizione di fare uno sterile j’accuse, ma vorrei proporre (ed eventualmente discutere) delle soluzioni.
Innanzitutto non abbiamo fretta, almeno in Sardegna (salvo fenomeni di cui sono all’oscuro); sarebbe cosa buona e giusta, fin da subito, iniziare ed affrontare il dialogo generazionale nei luoghi più disparati della Sardegna, dai centri più piccoli e dalle borgate, fino ai capoluoghi, durante i convegni ed i congressi politici o attraverso pubblici dibattiti.
In secondo luogo è necessario riorganizzare la rete dei partiti e dei movimenti nei territori, cioè fare una drastica inversione di tendenza del fenomeno sopracitato, riprendendo il legame territoriale con i giovani (e non), rivedendo i paesi e le realtà non come bacino di potenziale consenso in vista di un appuntamento elettorale più o meno vicino, ma come terreno fertile per l’apporto di idee e opinioni sulla gestione delle prossime stagioni politiche; l’avvicinamento deve avere, quindi, una calamita che sia in grado di proporsi e di prestare orecchie e sensibilità ai temi, alle istanze ed alle esigenze delle nostre generazioni e non vedo all’orizzonte protagonisti diversi dai partiti o movimenti politici attualmente in campo, e qualora ci fossero, ben venga annoverarli.
Infine, per farci innamorare della politica serve non averne più timore; serve la fiducia della società, dei nostri padri e dei nostri nonni, delle nostre madri e delle nostre nonne; serve abbandonare la rassegnazione e prendere in mano il nostro coraggio e la nostra freschezza, quelle che sono tra le poche armi e le residue speranze che la Sardegna ha in mano per venire fuori dalle sabbie mobili in cui siamo da decenni impantanati.
Non possiamo demandare il nostro futuro ad altri, dobbiamo essere noi i padroni del destino nostro e della nostra terra
Perfettamente d’accordo su ciò che ha scritto Riccardo! Personalmente sono “nauseato” dalla politica a causa dell’ operato dei politici stessi.
Ha centrato tutti i nodi cruciali, il fatto è che anche il piu piccolo dei comuni ha il suo padrino o barone e spesso piu d’uno.
Quando c’erano i partiti il barone poteva essere sconfitto da dentro il partito se i giovani erano capaci e svegli.
Oggi in assenza di partiti i giovani o si fanno cooptare o vengono messi all angolo dal potere e dal timore che incutono i padrini.
Siamo in un medioevo moderno dove i “nobili feudatari” della politica scelgono i loro vassalli e poi a cascata si va con valvassori e valvassini …
Concordo con ogni singola parola che scrivi! Ma é fondamentale farsi una domanda: è la politica che non favorisce la partecipazione giovanile o semplicemente ci troviamo davanti ad una generazione (la mia) che non è minimamente interessata? Sicuramente entrambe! Per questo credo fortemente che un forte stimolo all’impegno politico (inteso come passione e impegno civico) un incentivo alla partecipazione attiva e sociale dei giovani debba partire dalle realtà locali, per esempio i Comuni; perché il Comune
rappresenta ancora il motore dello sviluppo del territorio ma anche l’istituzione più prossima al cittadino. È necessario innanzitutto ricucire il distacco tra giovani e territorio.
Caro Riccardo,pur non condividendo,alcune volte,le Tue opinioni,non posso fare a meno di apprezzare il Tuo dinamismo unito a senso civico e coraggio nel sostenere idee e convinzioni.
In questo caso condivido pienamente la Tua analisi,le preoccupazioni espresse e le proposte.Ripartiamo dalla gente,ognuno con il proprio bagaglio ideale e culturale,ma tutti orientati al perseguimento del bene comune,cercando nella discussione e nel confronto gli elementi che ci uniscono piuttosto che
i riferimenti ideologici che ci dividono. Sono certo che nel confronto sulle cose da fare,
anche se animato,ma condotto in buona fede,riusciremo a ridurre le distanze che oggi separano molti cittadini. È evidente, caro Riccardo,che una volta riportate a sintesi e condivise,alcune proposte,se fosse necessario rovesciare i tavoli per garantirne l’attuazione,trovereste ancora; al vostro fianco,baldi giovani,come me,pronti a dare un fattivo contributo.
Articolo impeccabile! Complienti.
Il problemema vero è stato il “sistema clientelare”, che soprattutto in Sardegna ha trasformato gli elettori in “voti” da mettere nel comodino, e i politici in “lupi famelici” affamati di poltrone e di potere – oltre che dei privilegi ( vedi i vitalizi ). Aggiungo che all’orizzonte si vedono “nuvole un po grige”…ex amministratori che si riciclano e cercano di “mimetizzarsi” all’interno di (eventuali) neo componenti politiche, nel tentativo di sedere – per l’ennesima volta – una “poltrona”…mi viene in mente, per esempio, una ex amminisratrice che ” cavalcava ” la disperazione di migliaia di disoccupati con lo slogan “Prima il Lavoro”. Siamo seri, e soprattutto coraggiosi, altrimenti mi viene il sospetto – credo legittimo – che il “nuovo” stia cominciando a perdere lucidità al pensiero di sedere uno “scranno”, senza accorgersi di cominciare a zoppicare come un’anatra zoppa!