(Per leggere l’intervento in sardo cliccare sulla bandierina in alto)

Pubblichiamo l’intervento che l’assessore comunale allo Sport a Cagliari avrebbe dovuto effettuare ieri a Oristano, nel corso della direzione regionale del Pd. Intervento non permesso dal garante inviato da Roma.

 

Questa direzione così come la situazione in generale è anomala.

Non vorrei citare le parole di Giacchetti all’ultima assemblea nazionale ma molti fuori da questa direzione lo pensano e ce lo dicono chiaramente: quale faccia di bronzo possiamo avere nel parlare e discutere fingendo che nulla sia successo.

Stiamo impostando una discussione senza un quadro d’insieme, con una convocazione della direzione del garante-commissario e senza una relazione politica che introduca la discussione a partire da quanto accaduto il 4 Dicembre scorso. E’ la prima riunione della direzione dopo il referendum sulle riforme istituzionali e nell’OdG non c’è traccia di un pur minimo accenno ad una analisi del voto.

E’ impensabile cominciare questo tipo di discussione senza un’analisi che vada oltre il nostro orizzonte regionale, senza osservare ciò che è successo nazionalmente, nei comuni che amministravamo (a cominciare da Roma) e internazionalmente (vedi brexit e elezioni usa). In una situazione non anomala sarebbe quasi superfluo affermare che ci sia la necessità di una svolta per andare incontro a una visione alternativa della concezione di guida del partito e del potere che ne deriva.

Sin da subito è stato chiaro che il referendum sulle riforme costituzionali abbia avuto un esito importantissimo: ha dato modo a tanti italiani -come non se ne vedevano da tempo- di esprimersi su un tema di fondamentale importanza e tra l’altro la quasi totalità degli elettori PD ha parteciapto al voto. L’esito è stato chiaro e inequivocabile sul fatto che le riforme proposte non erano quelle volute dagli italiani, ha vinto la difesa della Costituzione, intesa anche come baluardo difensivo verso la politica e i partiti quando questi si allontanino dagli interessi dei cittadini.

È particolarmente preoccupante il distacco tra il partito e i giovani e tra il partito e parti estese del mondo del lavoro come conseguenza del persistere della disoccupazione di massa nel mondo giovanile e dell’appannamento della cultura dei diritti. E’ stato un voto politico non soltanto contro il governo ma contro un’intera classe dirigente e in particolare contro alcune scelte del nostro stesso partito riguardanti in particolare i giovani, il lavoro e la scuola.

Se non capiamo questo, difficilmente riusciremo a venirne fuori. Se non comprendiamo gli errori, difficilmente potremo sperare di rientrare in sintonia coi cittadini e coi nostri riferimenti sociali.

Penso che il risultato del referendim mostri al PD che la strada verso il partito della nazione sia sbagliata e che non porti alcun risultato positivo. Il Partito Democratico è un partito di centrosinistra, la cui componente di sinistra non può essere cancellata o ignorata per aprirsi a Verdini o Alfano. La sinistra è importante per il partito e per il suo insediamento sociale. La riforma costituzionale è stata percepita, da larghi strati sociali, come un’ulteriore sottrazione di diritti e ha portato alla rivolta soprattutto le giovani generazioni.

In Sardegna il messaggio è stato ancor più forte e chiaro: più del 72% dei sardi ha votato NO. Nonostante tutto il gruppo dirigente del PD regionale, il presidente della Giunta, la Giunta, i consiglieri e tutti i parlamentari del PD fossero apertamente schierati per il Sì.

E’ evidente come, per essere benevoli, il gruppo dirigente del PD abbia perso il contatto con il proprio mondo e nello stesso momento la percezione di ciò che accade intorno.

Diciamolo, l’impostazione plebiscitaria del referendum popolare e la spinta a ridurre gli spazi della partecipazione e della rappresentanza sono state scelte irresponsabili così come è stata irresponsabile la teoria della governabilità senza partecipazione ed entrambe le cose hanno portato al risultato del 4 dicembre.

Il Partito Democratico deve riaprire il dialogo a sinistra, iniziando dal proprio interno. E’ il momento del dialogo e dell’unità sapendo che le compagne e i compagni del PD che, nonostante le difficoltà, a viso aperto hanno portato avanti una battaglia democratica sono coloro i quali hanno interpretato meglio il volere degli italiani e dei sardi.

Serve un PD più vicino ai deboli, con un forte e chiaro orientamento di sinistra. Siamo diventati il bersaglio principale del risentimento verso la politica, perché non agiamo secondo la missione storica della sinistra, cioé quella di combattere le disuguaglianze, la povertà e lo sfruttamento. Argomenti questi utilizzati dagli altri schieramenti politici che spingono i cittadini a guardare al PD come al difensore del potere costituito, lontano dai bisogni dei cittadini e completamente succube delle posizioni neoliberiste lontane dalle idee di una crescita economica strettamente connessa al rilancio del welfare, alla lotta alla povertà e alle diseguaglianze.

Non giova a un partito della sinistra sottovalutare il ruolo delle organizzazioni sindacali a partire da quelle storicamente espressione del nostro insediamento sociale e confondere l’innovazione con l’arretramento dei diritti dei lavoratori. Molti nostri iscritti, militanti ed elettori (e sono più di quanti hanno votato NO al referendum costituzionale) voterebbero, se fosse domani, per abrogare le norme sul jobs act al prossimo referendum. Serve una netta inversione di marcia e 3,3 milioni di firme di italiani (giovani e anziani, lavoratori precari e disoccupati, e tra questi moltissimi iscritti e dirigenti del PD, tra i quali io stesso) ritengo siano un dato che un partito con l’ambizione di rappresentare il mondo del lavoro non possa ignorare.

In Sardegna è necessario un congresso fondativo del Partito Democratico sardo che dovrebbe essere celebrato mettendo al centro le idee e non solo i nomi. Costituire quindi un PD federalista sardo, quale autonoma organizzazione politica regionale fondata sulla base di un patto federativo sottoscritto con il PD nazionale. Dovrebbe, inoltre, emergere una linea politica federalistica come leva per una democrazia più forte in Sardegna, in Italia e in Europa.

Serve uno spirito di comunità (cioè una sintesi, spesso faticosa, sulla visione e la prospettiva della Sardegna e del mondo che ci circonda) ma il nostro partito fino ad ora non lo ha avuto e permettetemi di pensare che questo mancanza sia dovuta a una classe dirigente, quel gruppo ristretto di uomini e donne, che ha guidato questo partito almeno negli ultimi 10 anni (ma potrei andare oltre). Un gruppo di timonieri che non ha saputo farsi carico dell’asprezza delle discussioni e delle differenze interne e che anzi le ha alimentate e così è stato anche negli ultimi anni durante i quali il gruppo dirigente espresso dal precedente congresso ha precipitato il partito nella situazione attuale.

C’è stata un’assoluta assenza di confronto reale, e parlo di politica (grandi questioni internazionali, importanti scelte sulle politiche nazionali e anche i problemi più vicini e giornalieri dei cittadini, per fare qualche esempio). Sino ad ora abbiamo parlato tra di noi invece che con i cittadini e abbiamo parlato di noi invece che della Sardegna.

Siamo un partito che ha mutuato il sistema maggioritario elettorale, portandolo all’estremo e introducendo una sorta di bipolarismo interno con relativa maggioranza ed opposizione irriducibili e conseguente spoil sistem sin dai propri organismi interni.

Penso anche che per rafforzare il partito e i suoi organismi serva arginare la deriva verso il partito impostato in questo modo, con l’aggravante di essere un partito degli eletti nelle assemblee legislative. Questo è il momento nel quale i nostri parlamentari e consiglieri regionali non si limitino alle parole ma, in uno slancio di generosità nei confronti del partito, mettano in pratica il tanto declamato “primato del partito”. Ora il PD ha bisogno di un nuovo slancio e serve dar modo -a chi ha tempo, voglia e competenza- di impegnarsi nella gestione del partito.

Che i nostri rappresentanti istituzionali, per di più ai massimi livelli, nazionali e regionali, svolgano al meglio e a tempo pieno il mandato che Noi e i cittadini abbiamo dato loro!

Le sconfitte elettorali, la crisi del PD e l’evidente difficoltà nella nostra regione ci impone di rivedere tutta la strategia del Partito in Italia e in Sardegna e chi, sino a ieri, guidava i vari carri correntizi non può oggi farsi paladino della nuova gestione per se o per interposta persona attraverso attraverso gruppetti decisionali.

Serve un vero congresso nazionale e urgentemente uno regionale.

E’ necessario fare questo congresso VERO, serve farlo in tempi rapidi perché è di fondamentale importanza per il partito. I congressi serve farli come e quando, come dimostra l’attuale situazione critica, il nostro popolo ce lo chiede e non quando i vari cocchieri si sentono pronti per affrontarli a modo loro!