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Il risultato del referendum ha messo in sicurezza la sopravvivenza degli enti territoriali previsti dalla Costituzione e messi a rischio da una campagna populista che non ha prodotto risparmi ma la “distrazione” di circa 5 miliardi di euro – su base italiana – dal sistema dei territori a favore del bilancio dello Stato.

Le Province non sono state abolite ma è stato abolito solo il diritto dei cittadini a eleggerne gli amministratori. E, con esso e con la distrazione dei fondi, sono state fortemente ridimensionate le capacità di intervenire sulla gestione del patrimonio edilizio scolastico e sulla manutenzione dell’immenso patrimonio stradale e viario che a quegli enti faceva capo.

Quando ci dicevano (e ci dicono e ci diranno) che “le Province costano e sono una fonte di spreco” si dimenticano di dirci che le cifre snocciolate a sostegno di questa tesi riguardano solo in minima parte quelle destinate alla rappresentanza politica e democratica ma sono invece riferite alla montagna di competenze che erano e sono assegnate a quegli enti.

Dove voglio arrivare? Al fatto che la legge regionale sarda – resa intoccabile dal risultato del referendum – affianca alla Città metropolitana di Cagliari, altre quattro Province: sud Sardegna, Oristano, Nuoro e Sassari. Assegna loro delle funzioni e indica degli obiettivi.

Ma prevede modalità di elezione che sono plasticamente contrarie al risultato politico del referendum e all’aria che tira: i presidenti e gli amministratori provinciali, infatti, non saranno votati dai cittadini ma scelti tra gli amministratori comunali. Un po’ lo stesso principio che si voleva introdurre per l’abortito Senato delle Autonomie. Espropriare, cioè, i cittadini dalla possibilità di scegliere loro chi deve amministrare e con quali finalità.

Io credo che sia necessario discutere di questo, valutando la possibilità di chiedere al Consiglio regionale di esplorare una qualche forma di deroga autonomista alla sciagurata legge Delrio.

Non so quali possano essere i margini di manovra ma parlarne dimostrerebbe che la classe politica non è sorda su segnali che arrivano dalla società.

Bisognerà poi discutere dell’ambito Sud Sardegna, che comprende il vecchio territorio della Provincia di Cagliari senza la Città metropolitana, ha bisogno di una rivisitazione profonda. Occorrerà individuare un collante e metodi di dialogo tra territori che hanno attese ed esigenze a oggi diverse. Non è solo una questione di capoluogo.

Ma, ripeto, la priorità è quella di smettere di sottrarre sovranità ai cittadini.