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Pur non possedendo titoli accademici, né vantare percorsi di studio specifici, o esperienze particolarmente formative per affrontare sapientemente le molteplici, evidenti, corpose e complesse problematiche sul tappeto dell’annoso e ancor più ingarbugliato “Problema Sardegna”, sarò ben lieto di apportare il mio modesto contributo di idee ed impegno a questo progetto, quantomeno mi interessa provarci. Ritengo, infatti, che sia doveroso per ciascuno di noi, che ci dichiariamo offesi dal trattamento riservato alla nostra incredibile terra, provare ad investire tempo, energie e idee in un’attività che sia finalmente propositiva e non si limiti solo alla sterile ed improduttiva lamentela.

Un sincero plauso da parte mia al promotore dell’iniziativa. Da manovale, raccolgo la sollecitazione e non mi sottraggo all’impegno.

Credo che adoperarsi per la realizzazione di quest’opera implichi, in primo luogo, una buona dose di serietà e, soprattutto, di rispetto, che sappiano rinunciare alle sempre possibili, non auspicabili, sindromi da primadonna.

Necessiteranno tante energie, anche in sovrabbondanza, affinché si crei quella riserva utile a cui attingere nei momenti di sfiducia, scoramento ed apatia che son sempre lì ad attendere chi naviga in acque vergini; tante idee da mettere giù sulla carta e tradurre in progetti e, di seguito, in piani operativi; tanto tempo, indispensabile per far cultura, che credo sia la vera pietra d’angolo dell’edificio che s’intende costruire.

Far cultura significa divulgare e far conoscere al massimo grado possibile e consentito le nostre millenarie tradizioni e i costumi delle zone interne, gli usi e tutto ciò che ha costruito nei secoli quel corpus di regole e comportamenti noto come ‘su connottu’. Non semplicemente per compiere un salto che, sconfiggendo Cronos, ci proietti in un’ipotetica epoca gloriosa a cui carpire, per esempio, la soluzione al problema dello spopolamento delle zone interne. Ma per trarre da quelle magnifiche narrazioni il filo di un racconto che costituisca un flusso narrativo e, al tempo stesso, informativo che, una volta attecchito e reso fertile, possa rendere amabile anche la durezza delle stagioni fredde ed oggi dense di tedio e noia a quelle generazioni che, avvolte dalla solitudine ed assalite dallo scoramento e dalla sfiducia nel futuro, preferiscono fuggire nella costa o, addirittura, oltre quel bellissimo mare che fa da corona e da limite alla nostra terra.

Far amare fino al punto di sentirsene parte integrante e creatrice. Farle sentire parte della propria anima sarda.

Solo così l’incredibile gratuita bellezza del paesaggio e il meraviglioso incanto dell’ambiente che tutti noi da sempre circonda diverranno promotori d’iniziative che si integrino proficuamente ed in maniera sostenibile col territorio; quel territorio, quello di casa, del paese, dello stazzo, dell’agglomerato urbano.

Non voglio indugiare nell’espressione poetica, voglio solo dire che sono fermamente convinto che tutto deve nascere da qui, dalla terra, la nostra dura ed invidiabile terra di Sardegna. Nulla può essere calato dall’alto o imposto da fuori senza che il territorio e le comunità lo sentano come propria anima ed essenza.

La tradizione, le usanze, la storia sono il vero unico baluardo contro quel deleterio modernismo che lancia continui allettanti richiami di felicità, sempre disattesi, e che muove i passi dei nostri figli verso l’oltre: un tempo era la città ad emettere il suadente canto delle sirene, oggi, più prosaicamente, ci si lascia suggestionare da più utilitaristici richiami, ed è l’oltremare che ha il suono più forte ed udibile.

Immagino la realizzazione di una rete diffusa di centri di aggregazione giovanile, aperti anche ai nuovi ospiti, che ben conoscono la nostalgia di case e famiglie abbandonate nel tentativo di dar corpo ad una speranza.

Immagino che questi luoghi di ritrovo abbiano spazi fisici e di tempo da destinare alle attività ludiche, di totale disimpegno, quindi, ed altri momenti di pieno coinvolgimento culturale. Che operino anche attraverso l’utilizzo di strumenti ed ausili tecnologici moderni (il modernismo non è tutto o sempre deleterio), l’importante è usarli e non esserne usati.

Centri governati direttamente dai giovani dei diversi comuni limitrofi, costituitisi in forma di cooperativa. Che gestiscano gli spazi e i tempi in assoluta libertà. Che programmino e propongano attività ludiche e d’intrattenimento culturale, da cui ricavare il tanto necessario che consenta loro una vita dignitosa; quel tanto che basta per trattenerli in prossimità, se non proprio nei luoghi di nascita e che divengano anche un richiamo per chi nel passato ha preferito o dovuto abbandonare il proprio paese d’origine.

Una rete capillare di centri di aggregazione, soprattutto concentrati nel cuore pulsante dell’isola, quello che maggiormente oggi è esposto al rischio di spopolamento e scomparsa, può fungere da medicamento per il male che si paventa, quello della desertificazione (sia antropologica che ecologica) del territorio.

E sarà proprio questo, il territorio, la terra, dunque, a giovarsi di questo ‘ripopolamento’, perché gli spazi urbani dovranno essere occupati e le terre circostanti necessariamente ripopolate. E da ciò si trarranno le ragioni economicamente sufficienti per ritornare a coltivare e rispettare le campagne; perché il costo contenuto e la qualità dei prodotti a KM 0 (così si dice) incontreranno l’apprezzamento dei palati e delle tasche dei componenti la comunità, facendo lievitare la domanda e sostenendo i ricavi.

Immagino anche un’attività altamente professionalizzata che sia volta al recupero ed alla valorizzazione delle nostre ricchezze archeologiche, storiche e culturali: sogno visite guidate, con tanto di narrazione sapiente, alle nostre misteriose e magiche domus de janas; escursioni che conducano gli ospiti a far un incontro stupefacente con il fascino magnetico dei nuraghi o dei pozzi sacri sparsi per la regione; immagino di udire la narrazione fantastica delle gesta dell’ammuttadori, delle panas, della femina accabbadora, dei rituali magici dei nostri avi, dei misteri e della storia che avvolge e culla la nostra isola.

Immagino percorsi culturali sui luoghi sacri che hanno visto ed udito i nostri avi declamare al cielo, alla luna, al sole e alle stelle le proprie preghiere affinché li proteggessero nelle notti buie, impregnate di umido e freddo, o perché concedessero loro raccolti ricchi ed abbondanti e la giusta quantità d’acqua per dissetarli.

Abitiamo davvero una terra ricchissima e meravigliosa, forse è stato davvero il sandalo di Dio ad aver dato forma e natura all’isola, dovremmo andarne fieri. Il turismo non è solo costa, quella si sostenta da sola. Son le meraviglie dell’entroterra a dover essere valorizzate, e noi abbiamo il preciso dovere di farlo con orgoglio e convinzione.

Le amministrazioni, siano esse comunali o regionale, non potranno far notare la loro assenza ed indifferenza. Attraverso appropriati accordi intercomunali che coinvolgano a pieno titolo la Regione, son certo, si potrebbe intercettare il loro interesse e sollecitare il fattivo contributo all’iniziativa, che rinunci magari a fette importanti di introiti erariali.

Non solo, troveranno il giusto stimolo per scovare nelle e fra le pieghe dei loro esangui o pingui bilanci i giusti incentivi economici e i finanziamenti necessari per rendere possibile quel che oggi appare impresa impossibile; perché una speranza ha questa caratteristica e questo fine ultimo: rendere possibile l’impossibile, ed un ente pubblico che si sottraesse al compito di nutrire e dar corpo alle speranze della propria popolazione (abitandole, così si dice) non potrà che essere marchiata con l’ignominioso segno dell’infamia.

Immagino quindi un ente regionale propositivo in tema di comunicazioni interne: trasporti pubblici e correlati orari e percorrenze, sia interni che verso l’esterno, non solo la penisola; in tema di servizi: presidi medici, scuole, servizi bancari e postali; in tema d’imposizione fiscale agevolata, perché intanto, questo nuovo ente regionale, dopo lotte e battaglie sorrette da tutti i sardi, avrà finalmente ottenuto dallo Stato centrale – dopo decenni di mortificante attesa – l’istituzione di adeguate e ben collocate zone franche; in tema di proposte commerciali: perché, facendo leva sulla propria insularità, l’amata e sempre più matrigna Comunità Europea avrà riconosciuto il diritto alla sopravvivenza e prosperità di un popolo e di una zona geografica unici nel loro genere; in tema di sviluppo ed incentivazione dell’imprenditorialità isolana, cioè di coloro che abitano stabilmente questa terra (quindi non esclusi i nuovi ospiti provenienti da qualsiasi parte del mondo), attraverso un sistema capillare e ben finanziato di promozione imprenditoriale ed industriale integrata con il territorio e la comunità, la cultura e le tradizioni, ecosostenibile e professionalizzata.

Quindi cultura al massimo grado, educazione programmata, formazione ed informazione continue e capillari. Tutto ciò utilizzando canali che privilegino il contatto diretto, invece di limitarsi ad una sterile e vacua, oltre che noiosa, esposizione d’incomprensibili e contraddittorie direttive rilasciate su un freddo portale web.

So bene… Non può essere tutto qui, c’è tanto altro da ideare, studiare e fare. Capisco pure che quelli da me sinteticamente esposti siano tutti temi da sviluppare ulteriormente; da analizzare approfonditamente e mettere sotto forma di progetto. So altrettanto bene che tutto ciò non basterebbe a renderci liberi dal giogo della miseria che pian piano sta pervadendo ogni fibra dell’organismo della regione, ma sarebbe un inizio, quello che sempre è mancato e che, limitando la nostra voglia di fare ai soli studi, analisi e dibattiti, anche accesi e qualificati, continuerà a mancare, chissà per quanti anni ancora.

I fondi per far queste cose non sono mai mancati, anzi, negli anni trascorsi molti dei fondi comunitari sono stati resi al mittente perché non li abbiamo saputi utilizzare.

È tanto? È troppo? Non so, ma d’altra parte, cos’altro avrebbero da fare di diverso la Regione o i Comuni se non promuovere il benessere psichico, economico e fisico dei propri cittadini? Ed allora impegnino tutto il loro tempo, tutte le loro risorse e tutte le loro energie per perseguire questo obiettivo.

È un sogno ad occhi aperti? Molto probabile, ma cos’altro ci resterebbe da fare se finora quel che è stato ritenuto da tutte le passate amministrazioni il massimo possibile di concretezza si è rivelato il disastro che abbiamo oggi sotto gli occhi? Forse davvero non ci resta che sognare.

Ma le energie che conserviamo e accumuliamo nel sonno, una volta svegli, proviamo veramente a metterle a disposizione per la realizzazione del sogno, per rendere possibile l’impossibile e dare corpo alla speranza che permea tutti noi.