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La questione del governo del territorio, nella contemporaneità, assume caratteri critici fronte a problematiche ambientali, economiche, che rompono i confini geografici e catturano le realtà locali trasportandole in un vortice di relazioni indecifrabilmente intricato.

Governare le trasformazioni che repentine scuotono la società, diventa quantomeno cosa ardua ed il legame indissolubile che un tempo cementava urbs e civitas va oggi frantumandosi allorché la telecomunicazione rompa i confini delle relazioni sociali. Tuttavia la città rimane comunque un luogo che continua a polarizzare fortemente le dinamiche umane, sebbene il fenomeno dell’agglomerazione sembra essere entrato in crisi.

In Italia, in un territorio fortemente urbanizzato, con la abrogazione delle province, la nuova legge sulle autonomie, rimarca con decisione la volontà di rafforzare la polarizzazione delle dinamiche socio-economiche in macro aree a forte carattere urbano, a discapito di un territorio che vuole essere rimesso al centro della vita sociale e produttiva del paese.

Per ciò che concerne la Sardegna tale visione risulta decisamente inadeguata, e la sua posizione all’interno del contesto globale la vedrebbe completamente periferica.

La cultura locale e la peculiarità in genere quindi, quale processo di semiotizzazione e semiotizzante della realtà, non può essere liquidato in tanta fretta, e l’eccessivo accentramento, non solo amministrativo ma anche normativo, potrebbe suggerirci, che nei rapporti politiche e comportamenti, questo possa essere tema su cui valga la pena ragionare anche nei termini che concernano la vita e la sua qualità nello spazio.

Parafrasando quanto sostiene Boneschi, pare ovvio che una politica che è dominata dagli aspetti quantitativi, nella definizione degli assetti territoriali, cada in una reductio a unum che la fa incapace di una lettura reale e perciò funzionale delle realtà geografiche sulle quali legifera. Un territorio statale ingloba, oltre alla delicatissima differenziazione etnica e nazionale, una serie di differenze morfologiche, infrastrutturali, antropologiche ed economiche, che nella definizione di una legge davvero funzionale, non possono essere esclusi in maniera assoluta dai presupposti stessi sui quali le molteplici possibilità di assetto siano definite e stese sulla varietà territoriali.

Nel caso delle Regioni a statuto speciale, dove la legislazione statale deve essere necessariamente interpretata dalla Giunta e dal Consiglio regionale, tale compito parrebbe più fluido da compiersi che nel caso prima descritto, eppure è palese come gli aspetti quantitativi, e dunque parametri perlopiù astratti, dominino le decisioni in tema, rendendo ancora più grave la polarizzazione che da territoriale diviene anche normativa, allorché di fatto la legge regionale attribuisca maggiori valori laddove questi siano già massicciamente presenti, a discapito di quelle aree dove il valore è ancora in potenza e non gode di catalizzatori normativi e finanziari in grado di tradurli in atto.

I nostri territori a bassa densità ma che vivono in parte, ancora, di una forte relazione economica e sociale col proprio territorio, al contrario delle aree urbane, in un’epoca di forte crisi economica, godono forse della possibilità di poter ripristinare dinamiche di tipo comunitario nella gestione del proprio territorio, laddove il principio di unità non venga più individuato, come per i movimenti di destra in una pericolosa e fantomatica unità religiosa e confessionale, o nella rinuncia totale alla contemporaneità per altri lidi ideologici.

Ritrovare invece un forte legame col territorio pare possa essere invece una via per regolare gli influssi incontrollabili del mercato globale, che non trovano alimento solo nell’elemento economico-finanziario ma anche negli elementi culturali e relazionali. Insomma diviene l’elemento ambientale un sostituto funzionante del totem religioso o ideologico, sopratutto perché nella frammentata ragione contemporanea riesce ad essere elemento di unione in maggior misura che gli altri due.

Forse questo non è in grado di dissolvere gli aspetti della contemporaneità più criticati da Mc Intyre(2007): ovvero emotivismo contemporaneo o ragione astratta, ma certo offre possibilità nuove e realistiche rispetto all’empasse di un comunitarismo autoreferenziale che non trova luogo rispetto ad una contemporaneità, sì problematica e sottraente qualità e fisicità al mondo, ma comunque per sua definizione presente e non trascurabile dall’oggi al domani.

In un articolo apparso sulla Nuova Sardegna, Giovanni Macciocco espone tutte le sue lecite perplessità circa la coerenza tra un territorio come la Sardegna ed il fenomeno di polarizzazione ascrivibile all’istituzione delle aree metropolitane, prefigurando, per contro, la necessità su una visione del nostro territorio che nella sua varietà deve incontrare altre forme di governo dello stesso, proprio per il fatto che è il territorio, in Sardegna, che domina su una dimensione urbana che da questo viene quasi eclissata per intero.

Ciò vuol dire che anche l’economia trova e deve trovare nuovi e adeguati spazi in quella dimensione per non stagnare più in modelli di sviluppo che palesano la loro inadeguatezza da decenni.

La prospettiva della città territoriale, in virtù di quanto detto prima, si presenta come un’utile chiave di lettura e analisi del territorio a bassa densità sardo, e di per sé prefigura prospettive progettuali e di piano, adeguate allo stato di fatto.

Come sostiene Indovina (2009) d’altronde, non si può ignorare il fermento che preme nella società odierna, che rompe i confini della città, con un forte individualismo che rifugge l’agglomerazione e trova la sua dimensione, in un abitato oramai non più denso ma diradadato nella campagna, facendo da trait de union, ad una costellazione di piccoli centri, in grado di rendere a questo territorio una dimensione urbana al di là della sua forma.

Il territorio sardo vive in un certo senso già questa dimensione, se ci soffermiamo solamente sulla forma; tuttavia col tempo la dimensione comunitaria è andata via via scemando ed i poli urbani hanno fatto da attrattori sfilacciando il tessuto sociale, strappandone via i colori delle nuove generazioni che proprio ricercano una dimensione urbana e che nel paese e nelle campagne è venuta e viene mancando.

Ma esistendone già la forma, è chiaro che in questi territori si possa operare affinché si determini una condizione urbana a partire dal legame col territorio e come già detto è l’elemento ambientale ad essere la struttura atta a cementare la forma che ancora è latente in potenza.

La città territoriale policentrica pare dunque essere un orizzonte adeguato per i territori a bassa densità in Sardegna e in via di spopolamento, tuttavia è da rimarcare il fatto che in tale visione sia necessario un giusto discrimine nell’affibbiare figure amministrative adeguate per ogni tipologia insediativa.

* Parte di una relazione di davide Casu circa un progetto di Xavi Busquets, Davide Casu, Nesrine Chemli, Giuseppe Faedda, Mario Romano, Annalisa Sanna, Gianmario Secchi, Nicola Solinas.