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Futuro.

La parola più balorda del mondo.

Difficilmente si trova una parola più violenta, ansiogena e logorroica di questa.

E’ violenta con i giovani che l’accompagnano con la parola incertezza. E futuro e incertezza messe vicino fanno tremare i polsi.

E’ ansiogena con i vecchi che pensano solo al futuro in cui non ci saranno più.

E’ logorroica con i politici. Che la usano talmente tanto e a sproposito che ce la faranno odiare.
Il futuro è una parola balorda. E’ balorda perché in un tempo in cui l’urgenza è costituita dall’oggi avere la fantasia di disegnare il domani è praticamente un’utopia.

Ma qualcuno ci dovrà pur pensare al futuro.

E per pensare al futuro guardare al presente può essere molto d’aiuto.

Mai come in questi anni, nella nostra isola si è tornato a parlare di paesi. Succede grazie a qualche amministratore illuminato e determinato e a qualche intellettuale che hanno capito la centralità del tema.

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La salvezza dei paesi è diventato tema quasi centrale nella politica. Più se ne parla e meglio è, più il raggio del dibattito si amplia più la possibilità di creare nuove consapevolezze e nuove politiche (e politici!) può vedere la luce.

Basta guardarsi intorno: in ogni paese si cerca con ogni forza di creare nuove forme di attrazione, di generare nuove idee, di creare nuove forme di aggregazione che stimolino non solo nuovi modi di abitare ma creino nuove consapevolezze sull’importanza centrale che la salvezza di comunità rurali possa avere per il rilancio economico e sociale dell’isola.

Ed ecco che si fa strada l’ipotesi che non basta più lastricare un centro storico disabitato ma serve che le case che ne fanno da contorno siano abitate da uomini, donne, bambini in carne ossa. Magari con l’idea che quello sia l’unico luogo al mondo in cui possano sviluppare la loro idea di futuro, di famiglia, di felicità.

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Perché quel che conta, in fondo, nella vita di ogni essere umano è che il luogo in cui si vive generi non solo benessere ma felicità per se stessi e per le persone care.

E quindi che fare per fare in modo che quelle case vuote non restino vuote a fissare immobili bellissimi lastricati in pietra?

Serve creare lavoro in quei paesi, serve un sistema di welfare che sia all’altezza dei sogni di futuro di ogni uomo, ogni donna, ogni bambino che farà di quelle tante case, la casa della vita.

E creare lavoro non significa issare l’ennesimo capannone e metterci dentro chiunque. Creare lavoro significa inventare nuove forme di agricoltura, allevamento, agroindustria.

Creare lavoro significa creare una rete di infrastrutture tecnologiche che dimostri che ogni paese, anche se abitato da una sola persona è il centro del mondo.

Creare lavoro significa fare dell’accoglienza non un business per pochi ma un’opportunità per tanti.
Di tutte queste cose dobbiamo ricordarci ogni volta che nei nostri paesi ci impongono la chiusura di una scuola o di un ospedale.

L’istruzione, la salute e il lavoro sono diritti, non capitoli di spesa. Ecco perché è indispensabile prestare la massima attenzione ogni volta che ci parlano di tagli, accentramenti, risparmi.
Qualcuno sta scrivendo il nostro futuro.

Qualcuno ci sta facendo passare i diritti come favori.

Ma se pensate che la sottoscritta vi stia invitando alla ribellione scordatevelo: per quella non siamo bravi e l’abbiamo già più volte dimostrato.

Diciamo che se da domani vedete qualcuno che scrive il futuro al posto vostro, prendete una matita, e scrivete anche voi.