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Sembrerebbe una vera e propria sfida titanica quella di riscoprire il significato profondo del Natale che si cela dietro l’evento commerciale che si ripete inesorabile ogni fine d’anno, in modo analogo ad altre vere o presunte festività dal sapore commerciale importate dagli USA e in cui le vetrine si riempiono di lustrini, mentre gli spot televisivi ci bombardano con immagini che ammiccano maliziosamente a nient’altro che alla nostra carta di credito.

Tuttavia anche i più laicizzati tra noi europei che sono sazi e (per citare il cardinal Biffi) disperatissimi per aver voluto mettere in discussione la centralità e spesso estromettere del tutto la dimensione spirituale dalle nostre vite, siamo avvinti in questo periodo dell’anno da una serenità, una speranza, una gioia fanciullesca che da adulti riusciamo in genere a sperimentare soltanto quando un nuovo nato irrompe nella quotidianità delle nostre famiglie.

Perché comunque la si giri noi non siamo solo materia e quella del Natale è una dimensione che resiste, nonostante i tanti falsi richiami della modernità, nell’impressionante semplicità della venuta al mondo di quel lattante che, diventato adulto, avrebbe avuto la pretesa di chiamarsi figlio di Dio cambiando per sempre il corso della storia e la percezione che l’uomo ha del divino.

Già, pochi ci riflettono, ma quello fondato dall’uomo che trent’anni prima era apparso al mondo in una mangiatoia di Betlemme, è una religione totalmente diversa da tutte le altre. Perché se i culti terreni sono frutti imperfetti della ricerca che l’uomo fa del mistero del divino – realizzata attraverso l’azione di un qualche profeta o santone più o meno illuminato dalla grazia – con il cristianesimo è Dio stesso che decide di irrompere nella storia: un Dio a tal punto follemente innamorato dell’umanità da aver deciso di farsi uomo Esso stesso, incarnandosi nel grembo di una umile vergine ebrea di nome Myriam, promessa sposa di un falegname della stirpe di Davide.

Non essendo quella reale riportata nei Vangeli, la Chiesa dei primi secoli scelse convenzionalmente di rievocare la nascita di Gesù proprio il 25 dicembre, cioè una data che segue di pochi giorni il solstizio, oltreché in sostituzione del sino ad allora diffusissimo culto del disco solare, anche per trasmetterci un grande messaggio teologico: senza Dio la nostra vita si ridurrebbe a una gelida e interminabile notte invernale.

Ed è proprio la nostra irriducibilità rispetto alla finitezza della materia ad essere la ragione per cui persino chi è più lontano dalla fede sperimenta in queste giornate uno stato d’animo profondamente rinnovato.

E’ un miracolo che si ripete ogni anno e che ogni volta ci sorprende nella sua semplicità. Perché ritornare ad essere autentici è un desiderio innato, ed è il regalo di valore incalcolabile che riceviamo, in modo totalmente gratuito, ogni qual volta Dio bussa alla porta del nostro cuore.