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Molti amici mi chiedono di scrivere del Cagliari e lo faccio, anche se confesso di non averne tanta voglia.

Che dire, di non scontato e già detto?

Per evitare di guardarci l’ombelico e ragionando un po’ ad ampio raggio, dobbiamo analizzare la situazione nella sua complessità, partendo dal 2014, quando nel corso dell’estate ci fu il passaggio di consegna tra Cellino e Giulini.

Una squadra e una società “depresse” per le tensioni degli ultimi anni, senza stadio e apparentemente con poche prospettive. Questo, intendiamoci, al di là delle difficoltà degli ultimi anni, non significa disconoscere quanto sportivamente fatto da Massimo Cellino, che ha tenuto per anni il Cagliari nel salotto buono del calcio italiano, tenendo i conti in ordine, senza mai coinvolgere la società nei tanti scandali che hanno squassato la serie A e i vertici federali.

Non che l’esordio del nuovo presidente, almeno sul campo, sia stato incoraggiante.

Prima l’illusione Zeman (chi scrive ne era e ne è un grande estimatore, e dunque deve cospargersi il capo di cenere), poi la ferita-Zola (un gran signore, “bruciato” da tutti noi) e infine almeno l’onore salvato da Festa, prima dell’inevitabile retrocessione.

Sarebbe potuto crollare tutto. E invece è arrivata una campagna acquisti mirata, la scelta di un allenatore che non sarà Ferguson e nemmeno Sarri o Ranieri ma è una persona perbene, che non pensa di aver inventato il calcio. E poi una riorganizzazione societaria altrettanto mirata e il progetto dello stadio. Non lo conosco nei dettagli, ma credo che mai come in questo momento il sogno di una casa sportiva moderna sia stato vicino.

Quel che è accaduto nell’ultima stagione e mezzo è sotto gli occhi di tutti: il campionato vinto senza troppi patemi e una metà stagione in serie A senza essere mai coinvolti nella lotta-salvezza. Ventitré punti conquistati pur senza essere stati risparmiati dagli infortuni. Senza mai giocare benissimo, prendendo cinque “imbarcate” e subendo la cifra-monstre di 42 reti. Ecco, i 23 ci sono e non si possono contestare.

Ma credo che sia legittimo il sentimento di quei tifosi che vorrebbero vedere anche bel gioco e attaccamento alla maglia. Non vorremmo mai più subire le umiliazioni fin qui subite, non ci sembra una richiesta fuori registro. Ma possiamo farlo senza perdere la dimensione in cui siamo.

C’è qualcosa che non funziona, è vero: Rastelli è da tempo nel mirino di una piazza a volte annoiata, noiosa, altre giustamente pretenziosa e altre ancora distratta. E questo ha probabilmente contribuito a guastare il suo rapporto con parte dello spogliatoio. Chi di dovere, interverrà.

C’è qualcosa che non funziona, è vero. Ma chiedete ai tifosi del Bari, del Parma, del Livorno, se vorrebbero avere di questi problemi.

C’è qualcosa che non funziona, è vero. Ma il Cagliari è nel calcio che conta – a dispetto di una Sardegna che versa in una crisi economica sempre più grave – e ha tutti i numeri per restarci a lungo e crescere sempre di più. Valorizza il vivaio e fa giocare nel massimo campionato molti ragazzi sardi: è un’altra cosa importante.

Questa è la situazione, al di là del mio personale giudizio su Tommaso Giulini.

Saranno importanti i prossimi 15 giorni, per capire come si assesterà lo spogliatoio. Questa squadra può e deve tornare in pace con i suoi tifosi (quelli veri, che sono tantissimi, anche in curva Nord, escludendo i tontorroni che scambiano lo stadio per un poligono di tiro), con la città e la Sardegna intera.

Faccio una previsione: Giulini non venderà, né ora né tanto presto e Cellino venderà presto il Leeds, ma non tornerà a Cagliari.

Buon Natale, caro e vecchio cuore rossoblù.