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La Nuova Sardegna in edicola oggi, commettendo a mio parere un errore di valutazione (certamente in buona fede), titola che “la disoccupazione, nell’Isola, è in calo”.
Un assunto che sarebbe giustificato dai dati appena resi noti, che stimano nel 15,9% il tasso dei senza lavoro. O, meglio, di quelli che cercano un lavoro. Un dato che sarebbe leggermente in calo rispetto al precedente.
Nulla dice, quella rilevazione, rispetto a quanti quel lavoro hanno smesso di cercarlo e sono emigrati verso la Penisola o l’estero. E niente dice, a proposito degli “occupati”, riguardo la formula attraverso la quale vengono “rilevati”: pare che basti aver incassato un voucher di 30 euro nell’ultimo trimestre (grazie al Jobs act del governo Renzi) per uscire dal girone dei disoccupati ed entrare in quello dei lavoratori attivi.
Del resto, cari venti o trenta lettori di questo articolo, voi conoscete più ex disoccupati che in questi ultimi dodici mesi hanno trovato un lavoro vero o più ex disoccupati (soprattutto giovani) che sono dovuti emigrare?
La verità è che continuiamo ad assistere all’onda lunga dello sviluppo fittizio che in questa Regione è stato portato avanti negli ultimi cinquant’anni. Un falso sviluppo che ha avuto conseguenze impreviste, quali l’esplosione di diverse ondate migratorie: tra il 1955 e il 1986 l’Isola ha perso oltre 500 mila dei suoi abitanti, pari a circa un terzo della sua popolazione attuale. E il fenomeno si è rinvigorito all’inizio di questo millennio: ma se nel trentennio 1955-1986 a partire erano soprattutto le “braccia”, ora emigrano anche vasti settori della “classe dirigente” del futuro: i nostri migliori laureati partono. E non tornano quasi mai.
Invertire questo trend non sarà facile nessuno e sarà impossibile soprattutto per chi non lo vede e non ne fa una sua priorità.
Vi pare che il governo italiano abbia mai messo la questione-Sardegna tra le sue priorità? E vi pare che, da Cagliari, i partiti che hanno testa e cuore in Italia abbiano mai messo le questioni spopolamento e lavoro, cultura e istruzione, tra quelle dirimenti per avviare, proseguire o indirizzare l’azione di governo?
Si inseguono le emergenze, si parla molto di alchimia politica, di assetti e poltrone, cemento e asfalto. Ma la questione centrale (lavoro, futuro e, di conseguenza, desertificazione ed emigrazione) viene confinata a convegni promossi ma poi disertati da chi ha contribuito a creare questa situazione e oggi se ne occupa poco e male.
Mentre la Regione contrae altri debiti, ritira i ricorsi sugli accantonamenti che fraudolentemente lo Stato ha imposto anche alla Sardegna, anche le idee alternative a quelle che di chi guarda a Roma per aspettare comandi e indirizzi, rischiano di attorcigliarsi attorno a riti e rituali stantii e inutili: richieste di primarie, distinguo, azzoppamenti preventivi, complottismi e tatticismi personalistici rischiano di distrarci rispetto al vero obiettivo: creare – anzi, far emergere – una classe dirigente nuova, alternativa e moderna. Rifuggendo la tentazione del “purismo” di maniera e dei salti nel buio che hanno minato sin dalla nascita le esperienze di governo dei Cinque Stelle.
Invece bisogna avere il coraggio di pensare in maniera alternativa.
Siamo obbligati dalla crisi che pare irreversibile e favoriti dalla congiuntura politica, che ha reso i partiti e le ricette tradizionali mai così deboli.
Possiamo contare su una generazione di giovani sindaci consapevoli e onesti, in alcuni casi pure coraggiosi e liberi dal vincolo della cieca ideologia.
Possiamo finalmente pensare che chi da anni fa battaglie di minoranza per rivendicare l’idea di una Sardegna alternativa e desiderosa di autodeterminazione venga messo in condizione di assumersi una parte di responsabilità nel governo di questa terra.
Possiamo provare a far emergere la parte migliore degli amministratori che hanno già esperienza politica e che non si sono macchiati di connivenze finalizzate ad arricchimento personale o dipendenza da potentati italiani o sardi.
Abbiamo il dovere di promuovere ampie forme di confronto. Lo sto ripetendo dal 22 ottobre, agendo di conseguenza: nel blog che porta il mio nome, come promesso, sono state ospitate – senza censure – tutte le idee, tutte le proposte e tutti i commenti.
Forse hanno fatto più rumore le assenze e le prese di distanza, anche dell’area alla quale il mio invito alla mobilitazione è stato rivolto, che non quanto è stato scritto.
O forse no. Perché in migliaia di normali cittadini, almeno una volta, hanno voluto leggere. E a oggi sono circa 320 mila le pagine che sono state aperte. Significa che c’è un sacco di gente interessata a parlare di certi temi e a prendere in considerazione idee e strade nuove.
In quest’ottica inquadro gli inviti che ho ricevuto – per parlare dell’esperienza del blog e di altro – per gli eventi che sono in via di organizzazione per il 13 gennaio a Mamoiada, per il 27 gennaio a Pozzomaggiore, per il 10 febbraio a Sassari. E poi ancora nelle settimane a venire in altri luoghi in giro per l’Isola.
Secondo molti degli amici che condividono con me questa esperienza di giornalismo impegnato, con l’inizio del 2017 sarà forse necessario dare anche un luogo fisico che renda ancora più facile questa circolazione di idee.
E’ per questo che stiamo pensando di costituire un’associazione culturale, un think tank attraverso il quale portare un contributo al dibattito in corso.
A tutti – specialmente a chi ha davvero a cuore un futuro diverso e sperabilmente migliore – chiediamo e chiederemo di partecipare da protagonisti senza timidezze né ritrosie: incontriamoci per parlare di lavoro e giustizia, cultura e istruzione. Di persone e non di numeri. Chiediamo e chiederemo di essere coraggiosi. A nessuno viene e verrà chiesto di spogliarsi della sua identità o di annacquarla, ma solo di metterla a disposizione del confronto. Perché tante piccole identità, scollegate tra loro, nascono, crescono e vivono da perdenti, nel confronto elettorale che verrà. Quello che non deciderà tanto l’assetto e il destino personale di 60 individui e delle corti che gravitano attorno, quanto il futuro della Sardegna. Il tentativo di battere strade nuove e la speranza che quel cammino innovativo sia capace di creare effetti positivi per la collettività.
C’è un tempo per tutto: dimentichiamoci gli assetti e i personalismi (c’è già chi ci pensa in Consiglio regionale) e mettiamo al centro una idea nuova di Sardegna.
Leggo volentieri i suoi articoli e condiviso l ‘ analisi fatta sul lavoro in Sardegna.
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Seguo sempre con attenzione queste tematiche, che mi stanno molto a cuore, pensando al presente e ancor di più al futuro. E trovo fondamentale che le si affronti, perché il Vero nodo dello sviluppo in Sardegna non può non partire dalla necessità e forza di ” trattenere ” i propri abitanti sul territorio.
Ho solo una riflessione da fare. L’emigrazione dei cervelli è certamente un tema fondamentale, che deve risvegliare le coscienze regionali e nazionali sull’ esigenza di intervenire su temi quali la mobilità (vista come ricchezza ) e la capacità di riattrarre significativamente le migliori competenze.
Detto questo, penso che il tema sardo dell’ emigrazione rischi a volte di essere interpretato in chiave troppo ideologica: i migliori vanno via. ..e chi resta? chi torna? coloro che partono, pur senza vantare cv da favola, ma con la semplice determinazione e voglia di non finire nel girone di voucher e lavoro sottopagato?
Conosco tante persone, giovani e non, che hanno scelto di partire attratte dalla facilità di accesso che alcuni sistemi ancora consentono: accesso al lavoro, ad un mutuo, alla tutela della genitorialita’. Non sono per forza cervelli in fuga ma teste e braccia volenterose e desiderose di “normalità”.
Conosco altrettante persone che, con coraggio, sono rimaste o ritornate. Per creare attività, per contribuire con le proprie idee e il proprio operato. A volte sono ” cervelli”, altre volte semplici teste e braccia. Ma ognuno sta provando a fare la sua parte. Sarebbe un peccato creare il sospetto di divisioni ideologiche tra migliori e non. E credo siano tutte sfaccettature dello stesso fenomeno sulle quali i decisori politici e sociali dovrebbero riflettere e soprattutto agire con determinazione.
spesso i giovani, i cervelli, le menti del futuro, la forza trainante del domani, sono costretti ad abbandonare l’isola per poter studiare. I numeri chiusi nelle facoltà italiane inducono un continuo rimescolamento di risorse attive e preziose che difficilmente potrà essere evitato se non s’interviene all’origine. Facoltà scientifiche che assurdamente spingono ragazzi e ragazze a vivere fuori della propria regione di nascita (in tutto il Paese) sono le prime respinsabili di questo stato di cose. Non se ne comprende neppure la ragione, posto che il nostro sistema sanitario un domani avrà urgente necessità di medici, che presumibilmente dovremo importare dagli altri Paesi comunitari.
Conosco troppi amici di mio figlio sradicati dagli affetti e dai propri interessi sociali per colpa di norme incomprensibili, e conosco troppi ragazzi provenienti dal nord Italia cistretti a prendere dimora qui in Sardegna per poter studiare. Sarebbe davvero ora che questa situazione avesse termine.
Egregio Direttore, condivido quanto da te riportato, in particolare quando ti riferisci al fatto che ancora si possono trovare soggetti con esperienza politica fuori dalle connivenze o dipendenze politiche.
Le cose da fare sono così tante da non sapere da dove iniziare. O meglio, ci si arrende alla enormità di tutto quello che serve. Eppure bisogna cominciare a fare qualcosa, e si capisce pure che i passi iniziali sono strategici.
Resto dell’idea che sto ripetendo da anni. Già, io sono uno di quelli che rivendica l’idea di una Sardegna autodeterminata. E in questo ambito che bisogna trovare gli spazi. Costruendo un modello di governo che non parte da chi fa cosa, ma da cosa c’è da fare e cosa va fatto. Certo, ci rendiamo conto immediatamente che la gran parte delle cose da fare sono ostacolate, impedite dallo stato italiano. Non di meno, però, vanno fatte. E allora le politiche sul controllo e la gestione del territorio, quelle sul lavoro, quelle sull’energia, quelle sui trasporti. Quelle sul sistema fiscale e quelle sul sistema industriale. Quelle sul commercio, quelle sull’agricoltura, quelle sui prodotti e la filiera alimentare. Senza dimenticare quelie sulla giustizia. In altre parole, bisogna esercitarsi a essere stato, non stringendosi in un perverso abbraccio con i partiti italiani nella giunta regionale, ma da persone che si rendono conto, finalmente, che oltre a quanto ci abbiamo messo di nostro, il vero guaio discende da una decisione imposta, di annetterci al Regno nel 1861. Abbiamo permesso per secoli che altri decidessero per noi e per la nostra terra. Credo che, democraticamente e senza ausilio di un solo strumento di offesa, sia ora di iniziare davvero a pensare da stato sovrano.
Un grande apprezzamento da parte mia, perché proprio sembra che dall’analisi si stia pian piano approdando alla fase di fattiva operatività.
L’idea di creare o dar corpo ad uno spazio fisico di confronto delle varie idee, progettualità ed istanze è, o può essere un ottimo viatico per dar vita ad una fase operativa che, facendo tesoro delle esperienze ed idee di quanti sono interessati all’impegno, divenga una fucina propositiva rispetto alle istituzioni già insediate e, soprattutto, rispetto a chi abbia in animo di proporsi nelle vesti di amministratore della cosa pubblica.
Una progettualità che nasca dal basso e dalle esigenze vere della gente e non più, finalmente, una fabbrica di necessità non sentite ed imposte come un comune network pubblicitario che, artatamente, le costruisce per imporle alla comunità.
Un plauso sentito, signor … Credo che sia quel che serve, credo che sia questa la strada giusta da percorrere, senza aver timor di poter sbagliare, senza sentire l’ansa di una prestazione che possa condurre a conquistare visibilità interessata.
Sarò ben felice di poter leggere il programma dei futuri incontri/convegni.
Un saluto
Mi permetto di aggiungere che a partire non sono più i laureati, ma gli studenti stessi, che cercano un riscatto negli Atenei della penisola o anche all’estero. L’istruzione sta diventando sempre più un lusso, e le famiglie che si trovano davanti all’idea di fare un forte investimento economico per il futuro dei propri figli, preferiscono puntare alle prestigiose università d’oltre Tirreno per dare loro un pesante biglietto da visita da sfruttare all’atto dell’inserimento nel mondo del lavoro. Oramai sulla nostra isola mancano sempre di più le eccellenze e ciò che rimane sta diventando appannaggio di chi si accontenta.
Deu seu prontu ! Tra il 10 e il 15 Aprile, quando tornerò in Sardegna sono pronto a raccontare la mia esperienza di sardo emigrato tre volte per lunghi periodi e per due volte ritornato per brevi periodi. E sono pronto a rientrare per la terza volta, questa volta definitivamente, per aiutare i miei connazionali ad autodeterminarsi, ad unirsi e a capire che sin dalle prossime regionali possiamo realmente raggiungere una maggioranza di elettori che vuole staccarsi dall’Italia. Possiamo creare (o ricreare) una Nazione, fiore all’occhiello in Europa, che sappia autogestirsi con le sue ricchezze del territorio, la sua cultura, le sue energie rinnovvabili e difendersi da chi la vuol usare come terreno militare o pattumiera di sostanze nocive. Forza Paris (e forza Cagliari e forza Dinamo)
Pietro Porcella
(Miami – USA)
Caro Direttore
questo è merito suo. Complimenti.
Motivare, attirare e attivare i nostri emigrati è un risultato grandioso.
Ogni nostro emigrato infatti è necessariamente una persona che avuto un grandissimo coraggio e successo (ha superato notevoli difficoltà e si è affermato con il merito lontano dal proprio paese della nostra isola), ha aperto bene gli occhi, riesce a vedere la Sardegna al di fuori di questa e generalmente da paesi molto più avanzati dei nostri da cui prendere tantissimi esempi e ispirazioni.
Grandissima ammirazione per Pietro, per l’amore che nutre per la nostra isola e il desiderio di contribuire a costruire una speranza per le future generazioni della nostra isola.
Saluti
Condivido la visione e anche la modalità per riempire di contenuti una nuova Casa per la Sardegna e i sardi, costruita dagli uomini e dalle donne che si vogliono impegnare dimenticando gli errori del passato e trovando idee nuove che sposino quello che siamo, non quello che fino ad oggi ci hanno imposto di essere.
Se serve io sarò presente.
Le sue analisi sono molto spesso del tutto condivisibili. Mi auguro che continui a farle. Nel mio piccolo, anche se l’età è tarda, farò sempre del mio meglio per vivere in un’isola socialmente migliore.