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Ha ragione chi dice che non bisogna buttare il bambino assieme all’acqua sporca. Nonostante gli scandali, gli arresti, le inchieste e il malgoverno che invadono le cronache di questo disgraziato tempo, non siamo ancora in grado di teorizzare un modello di governo migliore di quello partorito dalla Costituzione. E difeso dal voto del 4 dicembre scorso.

Ma non ci stanchiamo di indignarci e di invitare, cercando di dare il buon esempio, a una reazione rispetto a una degenerazione che ormai si è fatta cancro. Perché le cronache, non solo quelle su corruzione e degenerazioni del sistema, ci raccontano dell’inarrestabile disfacimento della politica.

Della morte dei partiti tradizionali, trasformati in un insieme di gruppetti che operano in maniera autoreferenziale, muovendosi in autonomia e sfruttando simbolo ed elettorato per costruire carriere e fortune personali.

Si cementano nella gestione della cosa pubblica, speculando sulle emergenze che rischiano di mettere in ginocchio la nostra società. Ognuno porta la sua dote di voti e fa il suo gioco. Servirebbe una grande rivoluzione all’insegna della trasparenza, che non riguarda più solo i bilanci dei partiti, ma anche quello che attorno a loro gira: soldi, appalti, favori, speculazioni.

Certo, la corruzione è un male endemico dell’Italia, esteso a ogni suo Comune, e non si può pensare di vincerlo in pochi mesi. Ma il problema è che la società non reagisce più: si indigna quando scoppiano gli scandali e poi tende a dimenticare, spesso mimetizzandosi all’ombra dei privilegi, dei piccoli favori e delle rendite di posizione.

Nessuno si indigna più per concorsi pubblici di cui si conoscono già da mesi i vincitori. Nessuno si indigna e, quel che è peggio, nessuno interviene per porre fine a questo sconcio.

Invece servirebbe una più generosa consapevolezza. E servirebbe una “tolleranza zero” nei confronti dei corrotti: troppo spesso a persone di dubbia moralità (indagate per corruzione, ricandidate e rielette) viene affidata la responsabilità di gestire un appalto o un concorso pubblico. Sarebbe come mettere un topo a guardia del formaggio o un pedofilo a fare il bidello in un asilo. È ora di finirla.

E infine un’altra ipotesi virtuosa: non sarebbe meglio far progressivamente uscire lo Stato, le Regioni e i Comuni dall’economia? Tra le pieghe di enti, municipalizzate, partecipate, consociate spesso si annida gran parte del malaffare.

Perché, come diceva Balzac, a volte la burocrazia è un gigantesco meccanismo azionato da pigmei.