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Ciò che conta è il futuro, sempre. Il presente della Brexit, della ‘sorprendente’ elezione di Trump, della debacle di Renzi è già terminato.
Il presente a venire, invece, sta dentro i motivi di questo terremoto politico: giovani senza speranze con il futuro rubato, classe media povera, la mancata nascita di lavori nuovi e adeguati al tempo economico, esclusi sempre più numerosi e molto arrabbiati, emigrati del mondo diventati business, Nord e Sud molto distanti, giganti editoriali e televisivi che non riescono più a convincere le masse, politici e professori universitari alienati e lontano dalla gente, leader che non sono sufficienti, desiderio di votare contro le élite a prescindere.
Si può anche parlare delle dimissioni di Renzi e della voglia di vedere Pigliaru scappare, certo. Quel che conta, però, è il mutare della gente e della società, anche dei sardi. Un mutamento che scioglie ogni disegno tradizionale e non garantisce più nessuno. È un cambiare quotidiano, una rabbia che non si arresta, una rincorsa che parte da lontano.
Almeno dagli anni Ottanta, da quando Reagan e Thatcher instauravano l’attuale sistema finanziario, Craxi spendeva i soldi dei giovani del 2000, Vattimo raccontava il pensiero debole con 20 anni e più di ritardo rispetto all’America, Mario Melis diventava Presidente della Regione Sarda una volta esaurito il fermento dei giovani turchi sardi.
Il fatto è che in Sardegna un giovane su due non lavora (in Italia uno su tre), le donne hanno il primo figlio sempre più tardi o addirittura rinunciano, più della metà dei sardi tra i 25 e i 34 anni vivono con i genitori.
Beni, servizi e speranze che fino a poco tempo si guadagnavano con semplicità sono oggi ad appannaggio di pochi. Mancano i soldi, la scuola, lo stato sociale, la sanità (per lo meno non garantiscono più i servizi di prima). Occorre poi considerare la maggiore complessità del sistema normativo e dell’apparato burocratico.
Sono assenti e continueranno a esserlo opportunità di lavoro continue e di massa. I motivi di questi risultati elettorali, d’altra parte, sono originati proprio dalle difficili condizioni economiche. Il progresso tecnologico all’interno dell’industria tradizionale ha già ridotto il numero degli occupati; l’avvento e la definitiva consacrazione dell’intelligenza artificiale lascerà in piedi solo lavori inerenti l’assistenza tecnica, la creatività e la supervisione.
La disuguaglianza economica sembra destinata a crescere a dismisura anche per la particolare strutturazione di importanti segmenti dell’economia. «Internet», per esempio, permette l’esistenza di aziende che producono ricchezza infinita per pochi (miliardi di dollari/euro) senza essere obbligate a favorire un’occupazione lavorativa stabile e di massa. Si tratta di un progresso tecnico che non produce progresso economico redistribuito e dunque sociale.
Anche la finanza funziona allo stesso modo e da molto tempo: in pochi, senza l’esigenza materiale di occupare milioni di persone, producono miliardi di dollari/euro. Uno scenario macro e micro economico molto diverso da quello dell’epopea industriale.
Con differenze finanziarie che si allargano a dismisura non occorre essere sorpresi se la classe media cerca soluzioni alternative: Brexit, Trump, Grillo. Questo segmento sociale, in fondo, capisce sempre di più che il vero problema non è se mantenere o meno l’attuale tenore di vita. Il rischio più grande è di non avere più la possibilità di guadagnarsi la vita con un lavoro da classe media.
La posta in palio è questa, anche in Sardegna. Proprio internet, paradossalmente, fa vedere in tempo reale e incessante la differenza tra ricchi e poveri, la rende continuamente visibile e udibile se non palpabile. L’idea di un futuro migliore non sta in piedi, la capacità di visione non è più una risorsa. Né in America, né in Sardegna. Non è possibile e realistico pensare a un piano di vita.
Dunque crescerà la paura di grandi cambiamenti nella vita quotidiana di ognuno senza adeguata protezione istituzionale, governativa, finanziaria e imprenditoriale. Non si tratta solo di perdere la forza di togliersi qualche sfizio, di peggiorare la qualità della vita, di non riuscire a soddisfare alcuni bisogni. No. In realtà si rischia di perdere la capacità profonda di capire la nostra esistenza e di pianificarla in un disegno di vita.
Un piano che segua la morale, la ragione, il desiderio di realizzarsi come meglio si crede. Un disegno alla portata di tutti, almeno in potenza, e non di pochi fortunati. Quel che rischia di scomparire, quindi, è l’autonomia personale, il valore più importante ereditato dalla corsa umana degli ultimi due secoli e in particolare dopo il secondo conflitto bellico.
Le donne e gli uomini sardi che dovranno essere convinti e mobilitati per la politica e l’impegno civile appartengono a per lo più a questo ceto sociale. Una classe nuova: per Lyotard era post moderna, Bauman l’ha raccontata liquida, Scalfari l’ha dipinta barbara, per Berardinelli è «mutazione», per Mialinu Pira era la Sardegna tra due lingue.
E sono passati 40 anni e più di analisi. Oggi scorgiamo un mondo in rivolta nel quale l’80% dei giovani sotto i 35 anni vota contro il cambiamento di una Costituzione entrata in vigore nel 1948 (più o meno 70 anni fa). Questo universo emotivo e materiale è anche di noi sardi. In questo non ci distinguiamo da nessuno, non siamo differenti ma semplicemente normali. A farla da padroni sono quei giovani che non leggono il Corsera o Repubblica e che de L’Unione Sarda e de La Nuova Sardegna, forse, preferiscono i pettegolezzi locali (non gli interessano nemmeno i necrologi!).
Quei giovani che trovano le informazioni su internet saltando da facebook a twitter e a Instagram (per adesso). Questi ragazzi che tra poco saranno in numero consistente e convinceranno i loro disperati genitori (i quali per mantenerli non godono dello stipendio o della pensione) a votare ciò che suggeriscono. Chi non li ferma, ci parla e prova a comprenderli non potrà mai governare bene la Sardegna.
La sfida è questa: la classe media e i suoi figli. Se non esisterà nei termini e nei modi in cui si è formata in epoca recente occorrerà individuare nuovi spazi sociali ed economici. Chi non si preoccupa della questione e non parla con questo mondo ribelle non potrà avere alcuna ambizione.
Una ribellione silenziosa che sembra avvicinabile e domabile (vedi Renzi) ma poi riprende a correre.
Molti dei giovani chiamati «choosy» o «neet» o «millennials», quelli di loro (e sono tanti) che si disperano perché non trovano un lavoro adeguato ai loro studi, molti di quelli che scappano in lacrime, sono persone con disegni di vita che nessuno ha saputo ascoltare. Può esistere un’idea di Sardegna non in grado di ascoltare questo mondo allargato e sconsolato? Chi la saprà attuare governerà.
Un bel pezzo, dai contenuti chiari e condivisibili.
Complimenti.
Caro Roberto
senza dubbio un bel post. Scrive molto bene e inquadra da un punto di vista particolare delle dinamiche molto interessanti
1. “giganti editoriali e televisivi che non riescono più a convincere le masse” e manku malli!
2. “Questi ragazzi che tra poco saranno in numero consistente e convinceranno i loro disperati genitori (i quali per mantenerli non godono dello stipendio o della pensione) a votare ciò che suggeriscono” e maku malli! i loro genitori disperati come dice lei hanno creato questo disastro e questa polveriera: i loro figli stanno peggio di loro, sono indebitati (si una quota di debito pubblico fatta dai loro padri pende sulla loro testa), non trovano lavoro e sicuramente NON AVRANNO alcuna pensione!
3. “Quei giovani che trovano le informazioni su internet saltando da facebook a twitter e a Instagram” e manku malli! Non ci vorrà far pendere dalle labbra ancora degli intellettuali così attenti al sociale? Vogliamo ancora credere che le persone non siano in grado di fare delle scelte giuste? Oppure semplicemente votano di pancia? Si di pancia….perché non vedono come l’attuale sistema possa garantirgli qualcosa da mangiare (si sono mangiati quasi tutto)!
4. “Internet, per esempio, permette l’esistenza di aziende che producono ricchezza infinita per pochi (miliardi di dollari/euro) senza essere obbligate a favorire un’occupazione lavorativa stabile e di massa. Si tratta di un progresso tecnico che non produce progresso economico redistribuito e dunque sociale” Qui Roberto ha cannato completamente e spero che riesca invece a vedere (specie per la Sardegna) praterie e praterie di opportunità da internet e dall’accesso a qualsiasi informazione, contatto, rapporto e quindi anche scambio (si spera in termini nella direzione dell’export se saperemo cogliere questa opportunità e smetterla di vederci vittime di tutto e di tutti).
Personalmente credo che il consenso vada ricercato andando a comunicare correttamente come si potrebbe RIVOLTARE il sistema attuale e dare una speranza seria (“it’s the economy, stupid”) di opportunità di lavoro (a cominciare dalle imprese individuali e dalle micro e piccole imprese) e di istruzione allineata a quella dei paesi avanzati ai nostri figli!
Saluti
Caro Roberto, grazie per la luce che arriva a noi periferici dalle tue riflessioni sulla condizione dei giovani e sul futuro della società sarda. Saprai che il nostro sentire è resistente a tutte le intemperie. Continua a raccontare il tuo pensiero, ricco di critica e di semi utili a far crescere nuove piante, forti come quei ginepri che hai conosciuto nelle pendici del Monte Albo e del litorale di Berchida. A metas annos e ischina ritza.
Vittorio Sella
Articolo denso di spunti assai interessante che si lascia leggere con piacere.
Racconti di una transizione che non trova sfogo. Un tempo interrotto, che forse ha perso e crca un filo cui connettersi.
Fa pensare. Come il mio omonimo, anch’io ti sprono a proseguire a raccontare il mondo come lo vedi e lo vivi.
Un saluto
Vittorio Sechi
Mi piace sapere che vediamo lo stesso mondo.
Buon lavoro
Raimondo Cabua