Negli ultimi tempi, numerose comunità locali dell’Europa mediterranea hanno manifestato apertamente il desiderio di riconoscimento di una maggiore autonomia. Tra queste vi sono le cosiddette “Nazioni senza stato”, le quali si fanno spazio all’interno del panorama europeo, tessendo fitte relazioni tra loro e sviluppando un’embrionale politica internazionale.
Per comprendere le ragioni e il percorso compiuto da queste “nazioni” è necessario andare a ritroso nel tempo.

Furono in principio i baschi, i corsi, e gli stessi sardi a reclamare a gran voce l’autonomia e a battersi, in alcuni casi, per la conquista dell’indipendenza. Multiple furono le loro ragioni (storiche, politiche, geografiche, linguistiche, etniche…), che vennero portate avanti per mezzo di partiti locali nonché di movimenti che non esitarono, talvolta, a far uso della violenza.
Dal momento in cui i Paesi Baschi, la Corsica e la Sardegna furono tra i primi a farsi portavoce di questa causa nell’Europa mediterranea, potrebbe sembrare logico se non scontato pensare che oggi siano gli stessi a spingere verso la creazione di una nuova corrente autonomista.

Tuttavia ciò non accade.

È la Catalogna, assieme alla Scozia, ad ardere il fuoco del rinnovato movimento e a premere per l’ottenimento di una piena sovranità.
Queste regioni, semi-periferiche rispetto ai principali centri politici, Madrid e Londra, si sono distinte, grazie alla loro florida economia, come focolai di un rinato dibattito sul diritto all’auto-determinazione. In entrambi i casi, i partiti politici indipendentisti mantengono un fermo controllo delle assemblee regionali e dei governi locali.

La storia della Catalogna rappresenta un caso interessante: entrata pacificamente a far parte del Regno d’Aragona e successivamente dell’impero spagnolo, manterrà per lungo tempo le sue istituzioni tradizionali e una piena autonomia. Ciò nonostante, la Castiglia farà prevalere sempre più i suoi interessi, a detrimento di quelli catalani e aragonesi.

Sia nel caso della brevissima Repubblica catalana del 1641 che durante la “guerra di successione” spagnola, la Catalogna subirà una conquista militare da parte di forze castigliane. In questo modo la Catalogna si fuse totalmente alla Spagna per creare un moderno Stato unitario. Il fatto che una regione economicamente forte e con queste caratteristiche si batta oggi per l’indipendenza potrebbe portare a ridiscutere la legittimità di determinate conquiste territoriali storicamente accettate.

Lo sviluppo recente di tutte le autonomie spagnole, compresa la Catalogna, è stato reso possibile grazie al sistema istituzionale che all’Art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce, accanto all’unità indissolubile della Spagna, il diritto all’autonomia delle nazionalità e delle regioni che la compongono. Il potere delle province risulta rafforzato anche dalla composizione del Senato spagnolo che conferisce equa rappresentanza a ciascuna di esse a prescindere dalla densità di popolazione. Negli ultimi anni si è avviato inoltre un processo di devoluzione di competenze statali verso le autonomie che rende la Spagna più simile a un paese federale come la Germania piuttosto che a un altro regionale come l’Italia.

Queste condizioni hanno consentito l’espandersi di un movimento favorevole all’indipendenza che conta oggi milioni di persone, pronte a manifestare per la creazione di una nuova Repubblica in Europa. Assistiamo quindi allo spostamento graduale del centro-destra catalano verso posizioni più indipendentiste. Al contrario i socialisti catalani perdono peso rispetto alla sinistra repubblicana favorevole all’indipendenza. Gradualmente prende corpo una nuova narrazione, propagandata anche dai media, che tende a centrarsi sui bisogni e gli interessi della singola regione piuttosto che dell’intero Stato.

L’utilizzo sempre più frequente del catalano è indice di questo radicale cambiamento. I principali partiti considerano l’indipendenza un traguardo indispensabile e riescono ad allearsi nonostante la differenza ideologica, formando la coalizione Junts pel Sí. Quest’ultima, dopo un periodo di trattative, è riuscita addirittura a raggiungere un’intesa con l’estrema sinistra indipendentista (CUP), tanto da formare l’attuale governo catalano.

Alle vicende catalane si affiancano i fatti recenti avvenuti nelle principali isole del mediterraneo occidentale.

In Corsica, nel 2014, dopo decenni di scontri e di tensione, il Fronte di Liberazione Nazionale Corso (FLNC) decide di gettare le armi. Si giunge così alla creazione di un nuovo governo, frutto dell’alleanza tra nazionalisti corsi e indipendentisti. Da questo momento la Corsica inizia a tessere rapporti con i propri vicini, a partire dalla Sardegna.
Dopo diverse visite istituzionali tra le più alte cariche delle due isole, il 28 aprile 2016 (Sa Diė de Sa Sardìnnia), viene di fatto sancita la cooperazione tra esse, con la creazione della Consulta Permanente sardo-corsa, formata dai componenti delle rispettive assemblee rappresentative.

La Consulta ha il compito di individuare gli interessi e i problemi comuni alle due isole, favorendone così la cooperazione e uno sviluppo congiunto in materia di trasporti, cultura, lingua, educazione…

Sardegna e Corsica si avviano perciò verso una storica ricostruzione dei loro rapporti e verso la stipulazione di un’alleanza che potrebbe rivelarsi particolarmente benefica e duratura.
Oltre una ripresa dei rapporti con l’isola sorella, i corsi hanno aperto un dialogo con le regioni circostanti: lo scorso aprile, ad esempio, in seguito a un incontro ufficiale tra i rispettivi presidenti, hanno dato il via a una collaborazione con la Catalogna e sperano di raggiungere lo stesso obiettivo con altre regioni storicamente vicine come Liguria e Toscana.

Nelle Baleari, altro gruppo di isole in cui si manifestano tendenze favorevoli a una forte autonomia, ha preso il potere nel recente 2015 un nuovo governo, costituito da socialisti isolani, federati con il partito socialista spagnolo, e dalla coalizione Més, schieratasi a favore dell’auto-determinazione ma non dell’indipendenza. Queste isole hanno ripreso le relazioni con la Catalogna e la loro intesa è favorita non solo da aspetti puramente economici ma anche da una chiara vicinanza linguistica (in entrambe infatti si fa uso comune del catalano).

In Sardegna assistiamo a nuove dinamiche che, in linea con le vicine isole, prospettano uno scenario futuro di maggiore autonomia. Tra gli elementi che fanno pensare a un cambio di rotta vi sono: la creazione di coalizioni favorevoli all’auto-determinazione (sia alle ultime elezioni regionali che in alcuni grandi comuni), le alleanze tra vari partiti autonomisti o indipendentisti anche non a ridosso di tornate elettorali, la netta prevalenza del No tra i sardi al Referendum Costituzionale italiano del 4 dicembre 2016.

A confermare la volontà dei sardi di una maggiore autonomia vi è lo studio “Identità e autonomia in Sardegna e Scozia” a cura di G. Demuro, F. Mola e I. Ruggiu (2013): secondo questa ricerca poco meno di 9 su 10 sardi desiderano maggiori spazi di autonomia. Gli stessi partiti sardisti, tradizionalmente disposti al compromesso con forze italiane, sembrano infine distanziarsi da queste ultime o pretendere un’agenda di governo più “sovranista”.

Testimone del fitto intreccio di relazioni e della forte intesa tra le isole è il patto firmato tra Sardegna, Corsica e Baleari. Nonostante già nel luglio di quest’anno le suddette isole avessero manifestato un’intesa comune con l’inserimento della loro proposta nella dichiarazione finale del Summit della Commissione Intermediterranea; solo il 21 novembre 2016 le tre regioni hanno conferito ufficialità alla loro cooperazione “per promuovere gli interessi comuni non solo nei confronti dei rispettivi stati ma anche delle autorità dell’Unione Europea”.

In conclusione, assistiamo oggi a un parziale abbattimento delle barriere statali, fenomeno tipico della globalizzazione che, in diversi modi, permette l’avvicinamento di mondi e culture precedentemente distanti.