Caro Mujica,
apprezzo la frugalità del tuo messaggio, mi riporta alla mente quella dei miei nonni, capaci di tirare avanti con poche risorse in una realtà che all’epoca appariva ostile al benessere sotto tutti i punti di vista. Non apprezzo tuttavia la tua critica allo strumento che ha consentito alle nuove generazioni l’uscita dalla miseria diffusa, dalla malnutrizione, dall’assenza di medicinali, dall’assenza di moderni sistemi di trasporto, di comunicazione, di svago e di cultura. Uno strumento che ha consentito la straordinaria crescita del numero di abitanti del nostro pianeta. Questo strumento è il mercato.
Nel secolo scorso l’economista Kenneth Boulding coniò un punto di vista destinato a fare fortuna: è possibile una crescita infinita dell’economia in un mondo a risorse finite? “Ovviamente no” fu la sua risposta. E tanti la pensano ancora così.
Eppure oggi diversi scienziati e diversi economisti reputano superato questo problema, a partire dalle premesse, considerate completamente sbagliate nel metodo e nel merito. Sia perché in natura esistono risorse infinite, come quella solare, sia perché la tecnologia ci ha consentito di sprigionare la potenza di energie che un tempo non conoscevamo, come quella della fissione nucleare. E chissà cos’altro si nasconde agli occhi delle attuali conoscenze umane.
Certo, alcune di queste energie sono inquinanti, e giustamente ti sei domandato che cosa succederebbe se queste continuassero a diffondersi grazie al loro smodato consumo. La risposta esiste già: ad esempio, le auto moderne consumano meno energia di quelle del passato. Costano meno, sono più potenti e sono anche più sicure. In altri termini, inquinano meno e salvano più vite.
Altri settori: l’invenzione dei supporti ottici per immagazzinare dati (come le chiavette USB) ci ha permesso di evitare il taglio di milioni di alberi un tempo destinati alla carta. I telefoni mobili, negli anni Ottanta disponibili solo per i più ricchi, oggi hanno trovato una diffusione senza precedenti.
Com’è stato possibile? Grazie al mercato. La concorrenza produce innovazione tecnologica e riduce i prezzi, estendendo la platea di consumatori.
Limitare il consumo significherebbe limitare l’occupazione, significherebbe limitare le innovazioni tecnologiche che possono aiutare l’ambiente e significherebbe privare i meno abbienti di prodotti i cui prezzi sarebbero accessibili solo ad una ristretta cerchia di popolazione mondiale, quella più ricca.
Non a caso nei Paesi ad economia pianificata vi era un alto tasso di inquinamento e di scarsità di beni di consumo, dovuti all’assenza di libero mercato, con una limitata ricerca tecnologica completamente affidata allo Stato. Sostenere il consumo invece, stando agli ultimi rapporti della FAO, ha consentito a milioni di esseri umani da pochi decenni a questa parte di uscire dalla fame. Soprattutto nei Paesi emergenti, come in Asia, che si sono aperti al mercato.
Il mondo produce più cibo ed il mercato consente di distribuirlo anche in territori dove ieri, le vecchie economie di sussistenza, quelle comunitarie, finivano esposte a carestie, senza possibilità di sostituire raccolti o bestiame perduto e insufficiente. Matt Ridley ci ha ricordato che oggi rispetto a pochi decenni fa abbiamo il 30% in più di cibo pro-capite, inoltre consumiamo meno acqua e minore estensione di terra per produrre la stessa quantità di alimenti del passato, pur considerando l’incremento della popolazione mondiale.
Difficile sostenere anche la tesi della genuinità dei vecchi usi alimentari privi di chimica: dall’ultimo secolo si vive meglio e più a lungo rispetto al genere umano che ci ha preceduti.
Rimane ancora molto lavoro da fare, ma la strada della globalizzazione è l’unica che abbiamo per liberare quante più persone possibili dalla povertà. Secondo gli studi della Banca Mondiale, dal 1990 al 2013 la povertà globale, da non confondere con le diseguaglianze, è passata da 1 miliardo e 851 milioni di persone a 767 milioni di persone. Il numero è ancora altissimo ma è altissimo anche il numero di coloro che oggi riescono a mangiare.
Il Nobel Angus Deaton, non un liberista del calibro di Hayek, ha sostenuto con forza l’utilità del mercato come fuga dalle privazioni verso la libertà. Perché non dobbiamo immaginare la ricchezza come una torta ferma nel tempo e nello spazio da cui alcuni prendono fette più grandi a scapito di altri. La ricchezza è dinamica, si moltiplica, e sbaglia chi pensa si tratti solamente di un problema di redistribuzione.
Ma cosa accade quando il mercato si trova di fronte ad una risorsa realmente finita? Esiste un meccanismo spontaneo che ne evita la diffusione rallentandone la distruzione e creando le basi per la sua riproducibilità: il rialzo del prezzo. Più un prodotto diventa raro, più aumenta il prezzo per poterlo ottenere. Almeno sino alla prossima innovazione tecnologica (tecnicamente c’è chi chiama il processo Onde di Kondratiev, o cicli di Schumpeter-Freeman-Perez).
In conclusione, caro Mujica, il catastrofismo farà vendere libri, ma essere ingenerosi sui risultati ottenuti dal capitalismo, anche se imperfetti, non ci rende migliori di chi giudicava Galileo o chi assassinava donne inermi considerandole streghe. Purtroppo la storia umana è costellata di mode, convinzioni, ideologie e fedi che hanno saputo rallentare il progresso scientifico ed economico.
I Medici di Firenze seppero conquistarsi il favore della Chiesa finanziando prestigiose opere artistiche, sdoganando così il prestito bancario, allora considerato deprecabile usura ed esercitato da una minoranza di persone, come quella ebraica.
Eppure, anche le fedi più conservatrici, di fronte alla scarsità di risorse, vera o presunta, hanno accettato la sfida del cambiamento. Raimondo Cubeddu ci ha ricordato che quando Gesù si trovò di fronte alla richiesta di saziare degli affamati non si limitò a dividere i pochi pani e pesci esistenti per tutti, li moltiplicò.
Cordiali saluti.
Caro Adriano e caro Direttore,
personalmente penso che tutte queste discussioni su globalizzazione, socialismo, mercato e via dicendo NON AIUTANO in alcun modo all’obiettivo nobile che unisce tutti noi: avviare un percorso di indipendenza come UNICA VIA DI USCITA dallo stato di sottosviluppo e dalla povertà diffusa in cui ci troviamo e troveremo in condizioni via via peggiori.
Guardiamo le cose con gli occhi delle persone comuni, quelle che vorremmo chiamare a votare (la vera sfida è riportare il 50% degli elettori al voto!) verso l’avvio di questo percorso. Sono interessate a queste discussioni secondo voi? O piuttosto sono interessate ad un progetto che rompendo completamente ogni rapporto dal sistema attuale, dia una speranza ai loro figli, un’istruzione moderna e allineata a quella dei paesi più sviluppati e dopo un’opportunità di lavoro o la possibilità di avviare una propria impresa (Ducato, Ducato e Ducato, Direttore…non dimentichi) in Sardegna creando vera ricchezza per tutti?
Saluti
In Sardegna la povertà continuerà a dilagare infatti se non miglioreremo le nostre capacità di produrre ricchezza. Chiaramente la lettera figurata a Mujica non è strettamente attinente al caso sardo ma, sul piano globale, esprime una critica alle stesse logiche e false convinzioni che oggi nell’isola ci tengono nello status quo.
Infatti i più grandi nemici dell’indipendenza, della felicità e del benessere dei sardi oggi sono il clientelismo e l’assistenzialismo. Fenomeni invece ridotti nelle realtà economiche più dinamiche.
Complimenti. Bellissimo articolo, ben argomentato anche su tesi impopolari. Non capisco i commenti sempre riferiti alla Sardegna, forse ogni tanto dovremmo idenitficarci con degli insiemi iu grandi di cui, volenti o nolenti facciamo parte.