Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta della storie selezionate dal sito Oxygen 26, che con il giornalista Nicola Ferrero, nei mesi scorsi le ha raccolte sui siti internet delle società che stanno studiando le nuove frontiere dell’agricoltura “possibile”.
Le proponiamo alla piccola comunità di lettori di questo blog, in questa terza puntata, come stimolo al ragionamento e informazione.

Africa tech
La tecnologia agricola spopola nell’Occidente industrializzato e tecnologico. Ci scordiamo, però, che grandissime aree del pianeta non hanno mezzi economici e tecnici che permettano agli agricoltori con un semplice click di poter avere informazioni meteo, settare l’impianto di irrigazione, controllare l’umidità del terreno e scoprire quale fertilizzante (rigorosamente bio) vada meglio per i loro pomodori. In Africa stanno nascendo una serie di iniziative volte a ridurre il cosiddetto digital divide e fornire supporto agli agricoltori locali. In Ghana, per esempio, l’azienda Prepeez, in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura, il WAAPP (West Africa Agricultural Productivity Programme) e la World Bank, ha sviluppato un sistema per cui una serie di tecnici, dotati di smartphone, fanno ricerca su database esistenti, controllano i prezzi delle derrate alimentari sul mercato giorno per giorno, seguono le previsioni meteoe diffondono tutte queste informazioni ai propri clienti, possessori di vecchi cellulari, utilizzando perlopiù sms o telefonate. Il governo nigeriano, in collaborazione con Cellulant Ltd, sta cercando di implementare la distribuzione di sementi e fertilizzanti attraverso voucher elettronici che riducano i disservizi. In Ruanda, Esoko ha sviluppato una piattaforma che mette in contatto agricoltori, ONG e istituzioni. Anche questa prevede l’utilizzo di app per smartphone e di un sito, ma molti servizi vengono garantiti via sms. Uno dei più richiesti è quello che monitora i prezzi sul mercato e invia avvisi a seconda delle fluttuazioni delle quotazioni.
(prepeez.com
esoko.com)

Basilico da interni
Cosa potrebbe succedere al nostro pianeta se si avverassero le previsioni che vogliono un aumento della popolazione di tre miliardi di individui da qui al 2050? Servirebbe una superficie di terreno coltivabile grande quanto il Brasile, ma il suolo del nostro pianeta è iper sfruttato, maltrattato, inquinato e, in gran parte, coperto di cemento. È per questo motivo che al MIT di Boston è partito il CityFARM Project, per indagare a fondo e cercare di rendere fruibile e disponibile a tutti quella che pare essere la migliore soluzione a questo doppio problema: il vertical farming, la coltivazione verticale di ortaggi. Parliamo di coltivazione indoor, in cui l’illuminazione è fornita dai LED (supportata da illuminazione naturale, quando possibile) e in cui viene utilizzata la coltura idroponica (o anche aeroponica: le sostanze nutritive vengono vaporizzate sopra le piante). I vantaggi paiono essere numerosi: minore utilizzo di acqua, nessun concime chimico e pesticida, niente suolo né dipendenza dal clima o dalle stagioni e riduzione drastica delle emissioni di CO2(nessun macchinario agricolo coinvolto). Dickson Despommier, autore del libro Vertical Farm (2010) e paladino di questa battaglia ne è convinto. I costi sono però ancora alti ed è difficile prevedere il gradimento del pubblico di ortaggi che potrebbero essere considerati una specie di frankenfood. Intanto, la Philips e la General Electrics stanno sviluppando nuove lampade apposite e le imprese cominciano a crescere: 24 solo negli Stati Uniti tra cui spicca la FarmedHere, che opera in un vecchio deposito di quasi 3000 metri quadrati in Illinois. Il suo basilico e la sua rucola sono già venduti in più di 400 negozi di Chicago, inclusa la catena Whole Foods.
(vertical-farming.net
verticalfarm.com)