Le urne in Sardigna, all’indomani del voto per il referendum sulla riforma Renzi – Boschi, parlano chiaro.
Intanto va sottolineata un’affluenza del 62,45%, dato di forte partecipazione e inusuale per quelli che sono i parametri di partecipazione a quasi tutti i referendum degli ultimi decenni.
Per quanto riguarda il voto i Sardi hanno detto un chiaro NO alla riforma con quasi il 73% del totale.
Questo dato è estremamente significativo. La Sardigna è il territorio all’interno dello Stato in cui ha avuto maggiori consensi il NO e questo non è un caso. Dentro quel NO infatti non c’è solo quella fetta di cittadini che hanno seguito i consigli dei loro referenti politici italiani, ma c’è anche una grande fetta di cittadini che con questo voto hanno voluto salvaguardare l’autonomia regionale messa in pericolo dalla riforma.
Una delle ragioni più sentite tra l’elettorato schierato contro la riforma è stata infatti quella di voler difendere le prerogative autonomistiche contro progetti di accentramento, imposizione dittatoriale motivati da “bene supremo della nazione” (e decisi incredibilmente dal Governo a sua stessa discrezione), riduzione dei margini di manovrabilità democratica nell’espressione dei senatori e nel numero di firme necessarie per referendum e iniziative di legge popolare.
La Sardigna oggi è migliore di ieri?
No, assolutamente, è nelle stesse tragiche condizioni. Ma conserva quegli spazi di agibilità che le permettono di contestare scelte imposte e calate dall’alto e conserva l’opportunità di poter mettere in pratica aspetti dello statuto lasciati alle ortiche da quasi settant’anni di governo italo-autonomista.
Questa vittoria dunque non risolve i nostri problemi, non ci basta e per questo la lotta di liberazione nazionale deve andare ancora avanti. Molto più avanti.
Ma questo voto ha creato a nostro avviso una frattura insanabile ed evidente tra la volontà del popolo sardo e il presidente Pigliaru. Oggi il presidente governa col sostegno di 36 consiglieri, per metà appartenenti a formazioni schierate per il NO.
C’è quindi un 73% di elettori, metà dei consiglieri di maggioranza e l’intera opposizione in Consiglio (che insieme fanno 18+24= tot 42, contro i 18 del PD che sostenevano il SI) che non condividono la sua concezione di amministrazione della Regione.
Una concezione, da lui stesso espressa, secondo cui questa autonomia sarebbe dovuta essere riformata in base a una riforma accentratrice e di concerto con Renzi, il quale aveva ricambiato la sua esplicita fiducia con una pubblica promessa di nomina partitica al senato.
Questa situazione apre degli scenari che non possono essere sottovalutati.
Intanto vista la vigente costituzione confermata dalle urne e preso atto dell’enormità della contrarietà, Pigliaru probabilmente dovrà drasticamente ridimensionare i suoi sogni senatoriali, ma ciò che più è importante oggi è capire – e fargli capire – se ha ancora senso che resti in carica come presidente anziché dare le dimissioni imitando (anche in questo) il suo modello italiano.
Un presidente eletto con una maggioranza risicata grazie ad un meccanismo elettorale degno di Erdogan, che ha un pugno di consiglieri dalla sua parte e una enorme maggioranza contro dovrebbe assumersi le sue responsabilità, come politico, come cittadino e come uomo e affrontare la realtà riconsegnando quello scranno alla volontà democratica, ed è ciò che ci aspettiamo di vedere nelle prossime ore.
D’altra parte restano aperte questioni di grande importanza.
Per esempio la legge elettorale. Con quale legge elettorale si dovrebbe votare se si andasse a nuove elezioni regionali? Se infatti domani si andasse alle urne con la stessa legge elettorale delle ultime elezioni regionali, i primi due posti in consiglio (uno come presidente e uno come consigliere) verrebbero occupati molto probabilmente dai candidati a presidente appartenenti a formazioni capaci di coagulare il nazionalismo sardo diffuso e dai grillini (se riescono a trovare qualcuno di rappresentativo e capace).
Un PD con le ossa rotte e un centrodestra litigioso e da anni sonnecchiante verrebbe difficilmente percepito come soluzione ai problemi della Sardigna. Per la prima volta nella storia dell’autonomia i poteri forti dello Stato si potrebbero ritrovare decimati e all’opposizione.
Oppure la legge elettorale verrà cambiata in fretta e furia per evitare di finire all’angolo. Ma questo spalancherebbe di conseguenza le porte a formazioni indipendentiste che si dimostrassero serie e all’altezza, altro grande problema che la legge elettorale attuale cerca di evitare.
Al di là di queste possibilità una cosa invece rimane estremamente labile e incerta: i soldi del Patto per la Sardegna e del Patto per Cagliari promessi da Renzi arriveranno? E chi li elargirà ora che Renzi si è dimesso?
Un eventuale presidente alternativo e contrario al renzismo che però accetta di pagare di tasca le promesse milionarie fatte da Renzi? Difficile.
Un Renzi con nuovo mandato o un renziano di fiducia che dovrebbe spedire soldi alla Regione che più li ha traditi? Difficile anche questo.
Questo fa presagire, ad esempio, che l’inceneritore di Tossilo, che pretendono di ingrandire per bruciare rifiuti italiani, ce lo dovremmo pure pagare di tasca, ammucchiando danno e beffa come se fosse secco indifferenziato.
E’ evidente che i problemi in Sardigna non sono finiti con questo referendum e tantomeno finiranno con il permanere di questa classe politica al potere, ma oggi il passaggio urgente e imprescindibile è che Pigliaru rassegni le dimissioni e rimetta al popolo sardo la volontà di scegliere come amministrare la Sardigna.
* segretario nazionale Libe.r.u – Lìberos Rispetados Uguales
I partiti indipendentisti sardi sono troppo frammentati, e nella loro frammentazione riescono a divenire anche di destra o sinistra. Nelle condizioni attuali difficilmente arriverebbero oltre un complessivo 12% (quanto ottenne la Murgia + chi si vendette a Pigliaru), ovvero non si risolve nulla. Le dimissioni di Pigliaru sono senz’altro auspicabili. Ma poi?
#Ciaone ciiccito…….
«Se infatti domani si andasse alle urne con la stessa legge elettorale delle ultime elezioni regionali, i primi due posti in consiglio (uno come presidente e uno come consigliere) verrebbero occupati molto probabilmente dai candidati a presidente appartenenti a formazioni capaci di coagulare il nazionalismo sardo diffuso e dai grillini (se riescono a trovare qualcuno di rappresentativo e capace).»
Ma chi l’ha detto? Non capisco il perché inserire questo automatismo forzato. Posso credere alla sventura di un Governatore grillino – a prescindere dalle competenze, quelle noi sardi non le abbiamo mai né guardate né sapute valutare, non si spiegherebbero i Cappellacci e i Pigliaru – ma non vedo nel panorama isolano un ‘indipendentista’ che possa occupare il massimo soglio in seno all’istituzione regionale sarda..
«Oppure la legge elettorale verrà cambiata in fretta e furia per evitare di finire all’angolo. Ma questo spalancherebbe di conseguenza le porte a formazioni indipendentiste che si dimostrassero serie e all’altezza, altro grande problema che la legge elettorale attuale cerca di evitare.»
Ho la sensazione che l’eccessiva enfasi per il risultato referendario induca un eccesso di ottimismo partigiano. Io sono fermamente convinto che qui in Sardegna non alberghi uno spirito indipendentista talmente forte da determinare la ‘presa del potere’. Neppure il Psd’Az al suo massimo splendore riuscì mai ad ottenere suffragi superiori al 15%. La stagione di Melis, premiata in un primo tempo dall’elettorato, ha rappresentato la mortificazione delle speranze e si arenò in un sottobosco di malaffare dal sapore e profumo un po’ troppo romano.
“Una delle ragioni più sentite tra l’elettorato schierato contro la riforma è stata infatti quella di voler difendere le prerogative autonomistiche contro progetti di accentramento”
Non sono per niente d’accordo. Secondo me il voto è stato motivato dall’estremo malessere dell’elettorato nei confronti di una classe politica ritenuta responsabile di aver sacrificato il benessere dei propri elettori sull’altare di un sogno europeista che si sta rivelando fallimentare. Il contenuto della riforma è stato un fattore assolutamente secondario, e con esso anche la difesa delle autonomie, che non hanno affatto presa sull’elettorato, come ampiamente dimostrato dalla sostanziale irrilevanza dei vari partitini autonomisti della scena regionale. Irrilevanza che, sia pure con un certo rammarico, non mi pare destinata a cambiare a breve.
L’autonomia regionale non era di fatto in pericolo, il SI non l’avrebbe nemmeno scalfita. I NO tra il quali anche il mio sono figli del malessere che in Sardegna è dilagante. I Sardi hanno votato contro Renzi e contro le politiche del suo governo artificiose e poco chiare. I partiti di opposizione hanno voluto contarsi, di fatto abbiamo perso un’occasione per sollevare “il caso Sardegna” come dice qualcuno. I tempi sono molto cambiati le vecchie ideologie rigide di destra e di sinistra hanno fallito, è ora di pensare alla politica in altro modo, bisogna partire da se stessi e fare delle cose concrete per la nostra Isola, partendo dall’acquistare sempre più fino ad arrivare a sostenere i “nostri” imprenditori illuminati capaci di valorizzare la nostra terra e la nostra gente. Non mi interessano i soldi dei patti, in qualche modo si farà come si è sempre fatto, che ci diano i 9/10 che ci spettano! Poi dubito che qui porteranno rifiuti italiani da bruciare negli inceneritori, sono materiali preziosi che hanno un valore a peso non indifferente, soldi facili, piuttosto mi preoccuperei di tutto quello che entra in maniera poco chiara rifiuti mascherati da materia prima ecc., ma questo è un altro argomento, fà tendenza dire che qui bruceranno legalmente qualcosa di Italiano.
Incontriamoci tutti e presto…
Uomini di buona volonta’…per una vera autonomia sarda …formiamo un fronte unico…importante
Italia ti sese ismentigada de Mamma tua Sardigna modesta!