L’opposizione a questo ruolo dello Stato, che ha reso la Sardegna come un Oggetto, termine questo caro a Michelangelo Pira, si è legata in questi anni al dibattito sul federalismo. A puntualizzare in più occasioni il valore di questo pensiero, è stato Mario Melis, leader del sardismo contemporaneo.

Ne evidenzia l’essenza una intervista pubblicata il 16 aprile del 1994 dal direttore dell’ Unione Sarda Antonangelo Liori: “Vogliamo, dichiarava Mario Melis, una grande autonomia ma solo all’interno di un bene comune. Lo Stato gestirebbe solo la moneta, l’università, la grande ricerca scientifica, alcune cose generali del fisco garantendo che un venti per cento delle risorse raccolte venga reinvestito per il riequilibrio delle regioni rimaste in ritardo per lo sviluppo”.

La visione del pensiero di Mario Melis in chiave di divulgazione giornalistica avviene mentre nella stampa nazionale si da ampio risalto alle proposte della Lega Nord elaborate da Gianfranco Miglio. “Insomma, aggiungeva Mario Melis, lo ripeto perché sia ben chiaro. Miglio propone un federalismo contrattuale. Noi un federalismo solidaristico. Ogni regione all’interno del proprio territorio deve potere decidere tutto quanto lo interessa. Non è più possibile avere questa duplicazione di uffici per cui la Regione ha competenze parallele a quelle dello Stato spesso conflittuali tra loro. Oggi c’ è molto più bisogno di federalismo.

I sardi possono criticare la regione (e ne hanno ben donde) ma si sono abituati all’autonomia. Ora ne individuano la forza reale di tutela e di prospettiva. Purtroppo la classe dirigente nostrana praticamente non esiste. E, si badi bene, non mi riferisco a singole persone, non voglio fare nomi. Ma la nostra classe politica e anche quella imprenditoriale sente un unico bisogno impellente: avere padrini che possano dare una qualche protezione:

Si tratta di un male antico, ha sostenuto Mario Melis, che purtroppo ora si è diffuso a tutto il corpo sociale. Oggi vediamo i nostri politici alla ricerca spasmodica di una ispirazione esterna, vanno a cercare il miracolismo. Si pensi al caso di Forza Italia, un partito che si afferma in pochi giorni e che rappresenta una proposta improvvisata riscuote anche da noi consensi straordinari”.

Le preoccupazioni di Mario Melis e la sua analisi politica prendevano le distanze da quanti tendevano a vivere di “luce riflessa, in modo acritico, senza progettare nulla, senza pensare”. E il vuoto di pensiero e di proposta spianano la strada alla subalternità e ad una nuova forma di dipendenza.

“I nostri politici, aggiungeva Mario Melis, i nostri imprenditori vogliono cercare solo un protettore esterno. Vivono di indotto, di sussistenza, guardiamo all’esterno non per arricchirci di cultura e di professionalità, ma per trovare certezze che invece possiamo trovare solo al nostro interno. Si, per essere felici ci basta che ci finanzino un po’ di opere pubbliche. Invece i nostri dirigenti e i nostri imprenditori dovrebbero andare a scoprire il mondo per creare in Sardigna le condizioni dello sviluppo”.

Sono gli anni in cui avanzano le proposte di trasformare l’Italia in Unione Italiana di tipo federalista che la grande stampa italiana denuncia all’opinione pubblica come rischio di “Disunità d’Italia”. La proposta per cui si è battuta la Lega Nord di Umberto Bossi ha puntato a dividere il territorio della Repubblica italiana in nove Macro-regioni, con dimensioni territoriali variabili, ma omogenee dal punto di vista del numero degli abitanti.

Al Nord il Piemonte, la Lombardia, la Liguria e Valle d’Aosta avrebbe costituito una “Entità Statuale” con circa sei milioni di abitanti. Nel settentrione d’Italia il secondo Stato è la Lombardia con otto milioni di abitanti, il Trentino, l’Alto Adige il Veneto, il Friuli Venezia Giulia: insieme avrebbero dovuto dar vita al Triveneto. L’ Emilia Romagna era da dividere i due parti: L’Emilia si sarebbe dovuta fondere con la Toscana e la Romagna avrebbe dovuto formare un nuovo Stato con l’Umbria, le Marche e il Lazio.

All’Italia Meridionale spettava la separazione in quattro parti: la Sardegna e la Sicilia avrebbero dovuto autoproclamarsi in Stato a se stante e Campania, uscendo dal ruolo di Regioni a Statuto Speciale; Abbruzzi, Molise, Puglia e Basilicata come Stato a se stante e Campania con la Calabria avrebbero dovuto fondersi in un’unica Entità Statuale.

Il Progetto della Lega avrebbe dovuto ottenere la sottoscrizione di un patto tra “le macro-regioni”, le quali avrebbero trattato ruoli e competenze legislative da assumere e da delegare alla Forma Stato articolata in Repubblica federale con poteri, limitati per la Difesa, la Politica estera e la Moneta, indicati dalle Macro-regioni mutate in Stati all’interno della Repubblica federale.

Questa proposta si è attirata una pioggia di appellativi da parte degli opinionisti della grande stampa, di costituzionalisti, di sociologi e politologi “stupiti e indignati” per la proposta di far cambiare nome alla penisola italiana, alle sue isole e modificare nella sua sostanza la Costituzione della Repubblica.

In questa suddivisione in “Macro-regioni” emergeva un modello esterno da calare dall’alto con il rischio del pericolo di nuove separazioni, sopraffazioni e ulteriori sudditanze economiche per la Sardegna. Il rischio di questa prospettiva non era sfuggito a Mario Melis che richiamava l’essenza del pensiero federalista di Camillo Bellini. E rigettava la visione federalista economicista di Gianfranco Miglio, Umberto Bossi, Roberto Maroni e Francesco Speroni.

Quello che appariva alle porte non era il federalismo del pensiero sardista. “Noi vogliamo il federalismo, non c’è alcun dubbio, ha dichiarato Mario Melis, ci siamo battuti per settanta anni per questo. Ma io ho la sensazione nettissima che quello di cui stanno discutendo oggi le delegazioni nella commissione Affari costituzionali del Senato non è un progetto federalista.

Al massimo si prefigura una confederazione, un’intesa, un accordo tra Regioni che si mettono insieme per pagare alcune spese generali che appaiono utili ai contraenti. Ma da questo esula il senso del federalismo: la solidarietà. E quindi lo Stato confederale continua a gestire la moneta, l’esercito, la giustizia, la politica estera.

Insomma, continua a gestire le cose più importanti dell’Italia. Non temo tanto per l’economia della nostra isola. Sono invece spaventato dal progetto che prevede i ricchi con i ricchi e i poveri con i poveri. Ma non più sull’accordo tra classi sociali, ma con macro-regioni.

Il Nord vuole rimanere chiuso nella solitudine del suo benessere. Il centro cerca di sopravvivere grazie al fatto di essere un anello in congiunzione ed il Sud è abbandonato a se stesso, senza alcuna via d’uscita, senza speranza. Insomma siamo ben lontani dal concetto federalista che era all’origine del Partito sardo d’azione e siamo più lontani dal concetto di europeismo che i sardisti portarono avanti già con Emilio Lussu e Camillo Bellini.

Erano altri anni, altri problemi, un’altra storia. Ma sin da allora i sardisti pensavano all’ Europa, il loro orizzonte era ben più vasto della Lombardia e del Trentino. IL Psd’az diede indicazioni regionalistiche, ma si prefigurava l’europeismo di oggi.

I sardi volevano una soggettività forte ma non per chiudersi, bensì per rompere l’isolamento. Per potersi confrontare. E’ stata questa l’ideologia vincente dei padri del sadismo. In questo senso si voleva dare un contributo specifico correlato alla peculiarità dei problemi dell’Isola.

Volevano uscire per ricevere da tutti gli altri quegli apporti culturali necessari alla nostra crescita sociale ed economica. Volevano andare in Europa per costruire una Sardigna più forte. Poi i fatti ci hanno travolto: dopo il fascismo e la guerra ci fu il sogno italiano e tutte quelle cose che ci hanno bloccato lo sviluppo. I progetti sono rimasti nel cassetto”.

La visione della Lega Nord non viene condivisa in quanto quel modello di articolazione delle “macro-regioni” equiparate a Stati si fondava non su un patto federale, ma su una sorta di contratto commerciale tra enti che lo sottoscrivevano per pura convenienza reciproca su base mercantile.

“Il sogno della Lega, criticava Mario Melis, non era quello di contribuire a far crescere l’Italia, loro non hanno alcun interesse a rafforzare l’ideale di questo grande Paese che tanto ha dato al mondo. Vogliono solo comprarsi il fuoristrada e regalare la pelliccia alla moglie. Insomma, pensano al portafoglio e non al cuore, alla salute del conto in banca e non a quella dell’anima”. Veniva svelata cosi la vera essenza del “federalismo leghista”: il suo effetto sarebbe stato quello di rendere più ricche le regioni d’Italia già ricche sul piano produttivo e più povere le aree d’Italia in perenne preda del sottosviluppo e delle disparità sociali.

“Il sadismo, ammetteva Mario Melis, ha un concetto più elevato dell’indipendenza. Noi, aggiungeva, combattiamo l’egoismo dei popoli, crediamo nella solidarietà. Vogliamo che i più ricchi aiutino i più poveri a crescere in modo che in un futuro non troppo lontano si eliminino le differenze tra poveri e ricchi ”.

Anche sul modello amministrativo vengono prese le distanze in quanto era palese la tendenza a “ conservare ” le strutture economiche e amministrative nelle mani di chi le aveva già, facendo precipitare in una crisi profonda le altre aree inserite nel modello federalista della lega di Umberto Bossi e Gianfranco Miglio, che presentarono il loro programma in un convegno a Cagliari.

Alle origini del rifiuto del “ federalismo di destra”, in quanto avvantaggerebbe le zone economicamente forti, vi era la consapevolezza della memoria storica del Sardismo delle origini e del pensiero elaborato con il ritorno della democrazia in Italia.