Ci sono cose che per essere viste nitidamente devono essere guardate da lontano. Uno sguardo esterno, disinteressato, permette spesso di cogliere sfumature che da vicino sarebbero impercettibili.

Ci sono altre cose invece che solo viste da vicino possono essere analizzate, approfondite, studiate e inserite in determinati contesti vitali.

La Sardegna è in un certo senso una terra di distanze. Distanze sia fisiche che mentali, per svariate ragioni.

Guardare da lontano la mobilità dei sardi aiuterebbe, ad esempio, a rendersi conto, a quante e quali peripezie siano costretti gli stessi per spostarsi “liberamente” tra un paese e l’altro dell’isola e tra la Sardegna e il resto del mondo.

Guardare da vicino il modo in cui i sardi si spostano da un paese all’altro e dalla Sardegna alla penisola potrebbe anche sancire la sconfitta definitiva di quella che ingiustamente da troppi viene chiamata “continuità territoriale”.

Perché non si capisce come mai se la distanza Roma/Milano è la stessa di Roma/Cagliari, il prezzo per attraversare quella distanza e il tempo che ci si mette sono due numeri decisamente (e vergognosamente) più bassi per la prima tratta.

Eppure abitiamo lo stesso Stato, siamo governati dalle stesse persone, paghiamo le stesse tasse, a Cagliari come a Milano. Quello della continuità è solo il primo grande esempio di distanza che prima di essere chilometrica è mentale. Mentale perché l’unico pensiero che deve guidare certe scelte deve essere solo e soltanto il diritto di ogni libero cittadino alla mobilità.

E poi c’è tutto il capitolo della mobilità interna, che non passa solo attraverso l’eterno cantiere della 131, ma passa per l’infinita rete viaria sarda che da decenni non ottiene nessun genere di attenzione e manutenzione.

Ma la distanza che separa il viaggiatore dalla destinazione non è solo quella chilometrica. La distanza è anche la differenza tra un futuro immaginato e quello che in realtà stiamo vivendo. Si pensi ad un punto di riferimento, quasi poetico, identificato dalla distanza che intercorre tra un qualunque luogo della Sardegna e il mare.

Quella poesia svanisce quando quella distanza diventa l’oggetto delle peggiori battaglie politiche sospese tra speculazione e salvaguardia. E se qualcuno traccia un solco tra il “prima del PPR” e il “dopo il PPR” io tenderei a spostare l’asse del ragionamento, sono portata a pensare che c’è stato un momento, un preciso momento, in cui in Sardegna l’imprenditore turistico e l’impresario edile sono diventati la stessa persona confondendo totalmente obiettivi e mission aziendale: il primo ha come obiettivo di gestire un’impresa turistica e far felici gli ospiti, il secondo ha l’obiettivo di costruire i muri di quell’impresa affinché il primo possa lavorare.

E se i due si confondono tra loro, si perde totalmente di vista l’obiettivo di uno e dell’altro creando miscele, talvolta, davvero esplosive. I due in questo caso devono tenersi a distanza se si vuole un dopo. Se si vuole un futuro.

La Sardegna, è stato scritto in premessa è una terra di distanze. L’ultimo esempio ci dice che bisogna mantenere le distanze, nelle prime righe invece, dove si parla di mobilità si evidenzia come le distanze invece devono essere colmate. Distanze, appunto, al plurale.

Ma per dare un senso a tutte le distanze che fanno parte del nostro vivere la Sardegna non basta, ahimè, la prosecuzione rammendata alla bell’e meglio di politiche degli anni passati. E non basta nemmeno la ragioneristica del foglio elettronico applicata alla programmazione.

Non basta inserire i numeri del nostro vivere in Sardegna in un cervellone elettronico per ottenere politiche migliori. La politica è fantasia. È sfida. È unione di diversità che diventano forza comune. La politica senza il sapore dell’utopia non ha ragione di esistere.

E per favore, basta parlare di effetto ciambella, di distanza tra periferia e centro. Parliamo da oggi di “effetto cornice”.

Provate ora ad immaginare una cornice appesa al muro senza un bel quadro dentro.