In tema di spopolamento delle aree interne della Sardegna è stato detto e scritto di tutto. Cose sensate e cose meno ragionevoli.

Fra le concause individuate, quella del lavoro (che non c’è) è senza dubbio una delle più importanti e significative. L’assenza di una imprenditoria diffusa e capillare, costringe giovani e meno giovani a cercare altrove ciò che in terra Sarda non è possibile reperire.

Si sa, le imprese sarde, tranne alcune rare eccezioni, scontano un gap di patrimonializzazione e di dimensionamento che è retaggio di una cultura che mai ha incentivato l’aggregazione, e non potendo competere con i mastodonti provenienti da ‘fuori’, rinunciano fin da subito ad estendere i propri mercati oltre l’angusto limite delle coste sarde.

Ad aggravare la situazione concorre la perenne stagnazione dell’economia isolana che non permette alle intelligenze presenti di sviluppare impresa, perché è difficile reperire sul mercato del credito isolano risorse economiche sufficienti che le aiutino a superare la difficile fase dello start up.

Ultimamente stiamo assistendo ad un altro fenomeno che aggrava ancor più questa situazione, già di per sé assai precaria.

Le analisi condotte delle maggiori banche che operano nell’isola evidenziano che il convergere di una serie di elementi e di innovazioni normative (BCE, la necessità di massimizzare il profilo di redditività del cliente e minimizzare quello di rischio), rende poco profittevole dal punto di vista economico e reddituale il finanziamento attraverso il normale canale bancario d’iniziative imprenditoriali e/o di clientela privata con un elevato profilo di rischio.

Per valutare la bontà di un cliente, gli istituti di credito non si affidano più a processi legati al giudizio soggettivo dei propri analisti crediti. Complessi meccanismi di valutazione alimentano i database interni, fornendo al sistema informatico gli ‘score’ necessari per assumere le più opportune decisioni sulla ‘bancabilità’ della clientela.

Il giudizio finale sarà sempre più dipendente da una valutazione sintetica espressa con l’attribuzione di un ‘rating’ di merito (un punteggio, che nello sviluppo futuro è previsto non solo per il singolo individuo ma anche per il comparto merceologico e per l’area geografica), in forza del quale la clientela con valutazione negativa o non completamente positiva si troverà ai margini, se non proprio esclusa dal sistema di finanziamento bancario.

Di fatto, in massima parte e in maniera preponderante, la decisione se accompagnare finanziariamente una specifica attività imprenditoriale o sulla concessione di un mutuo per l’acquisto di immobili residenziali è sempre meno dipendente dall’esclusiva valutazione critica dell’operatore di filiale – l’unico che ha davvero un rapporto diretto con le esigenze della clientela – o di strutture accentrate di Direzione.

Pur prescindendo da una espressione di giudizio circa l’opportunità di affidare una così ampia discrezionalità deliberativa a valutazioni che scaturiscono da procedure asettiche, e sebbene sia anche consapevole delle comprensibili ragioni su cui si fondano le scelte dei vertici bancari, non riesco proprio ad esimermi dall’osservare alcuni aspetti per me assai preoccupanti:

a. una dipendenza così accentuata da valutazioni esogene al rapporto sinergico con la clientela, espone il sistema delle banche al progressivo allontanamento dalle esigenze e istanze della clientela;

b. alla perdita di contatto con i tradizionali territori di riferimento;

c. induce le stesse istituzioni creditizie a dirottare impieghi e opportunità di raccolta verso canali finanziari la cui aleatorietà è stata più volte causa di tracolli finanziari e gravi conseguenze;

d. poiché l’esigenza di finanziare l’impresa o l’acquisto dell’immobile residenziale deve comunque essere soddisfatta, pena la morte dell’impresa, presumibilmente attraverso l’accesso ad altri canali di finanziamento, il rischio è che si agevoli la proliferazione di un sottobosco pseudo-creditizio ai confini della legalità;

e. l’abbandono del territorio a seguito della progressiva e costante chiusura di sportelli bancari non più economici, favorisce la corsa allo spopolamento delle aree interessate;

f. tale politica creditizia, che riguarda ormai l’intero sistema creditizio isolano, è anche causa di un sensibile impoverimento delle aree geografiche maggiormente coinvolte in queste scelte.

La delimitazione di un’area (geografica e/o merceologica e/o imprenditoriale) cui è pregiudizialmente precluso l’accesso al credito bancario sarà causa di un accentuarsi della contrazione del credito erogato nell’isola (‘credit crunch’), con tutte le note conseguenze che il fenomeno si trascina appresso.

E se oggi l’aggravarsi di questo evento negativo non si è ancora avvertito, forse è dovuto ad un fattore congiunturale. La seppur limitata ripresa economica ha compensato la contrazione degli impieghi dovuta alla politica eccessivamente prudente adottata dalle banche.

Se a tutto ciò si aggiunge che la pur fitta rete delle garanzie consortili si è rivelata insufficiente a creare quel circolo virtuoso che era nelle speranze del mondo imprenditoriale isolano; che l’attività della finanziaria regionale SFIRS si è rivelata eccessivamente macchinosa, tanto da disincentivarne spesso il ricorso da parte delle banche e della clientela; che la scarsa informazione esistente sul territorio sulla possibilità di accedere a garanzie pubbliche dello Stato e che i ben noti vincoli comunitari in materia di sostegno alle imprese attraverso i relativi fondi UE, il quadro d’insieme che se ne ricava è abbastanza sconsolante.

L’annoso problema della patrimonializzazione delle imprese sarde (PMI soprattutto) e della necessità di risorse economiche del privato cittadino, non può essere affrontato attraverso politiche improntate all’estemporaneità e poco o nulla incisive, soprattutto alla luce di quanto descritto sopra in materia di valutazione asettica della clientela da parte delle banche.

La politica, il mondo sindacale, la rete delle associazioni di imprese e chiunque abbia a cuore le sorti dell’isola devono rendersi promotori di un’azione incisiva che sfoci in proposte fattive, utili per spezzare questo meccanismo che rischia di soffocare l’imprenditoria isolana.

Proposte e progetti che facciano anche leva sulla disciplina comunitaria o comunque pubblica in tema di sostegno alle imprese e famiglie. Azioni che si facciano carico delle pressanti istanze provenienti dalle associazioni di categorie e dei consumatori.

Servono senza dubbio risorse economiche appositamente dedicate da destinare al finanziamento/garanzia di attività imprenditoriali e di richieste provenienti dalle famiglie che non dovessero rientrare nei ‘range d’impiego’ stabiliti asetticamente dai sistemi informatici delle banche.

Se è il caso, anche utilizzando il canale bancario che, a sua volta, potrebbe eventualmente attivare allo scopo anche le garanzie previste dalla legge 662/96.

Ciò impedirebbe o renderebbe meno probabile la fuga delle famiglie e imprese verso ‘finanziatori’ che operano nel sottobosco opaco ove campeggia l’insegna del massimo profitto, se non addirittura dell’usura.

Utenti le cui richieste di sostegno economico potrebbero malgrado tutto trovare accoglimento, soprattutto se e quando fossero inserite in un quadro di garanzie pubbliche fornite dal Fondo nazionale di Garanzia o da altri fondi pubblici.